La (debole) difesa italiana a Bruxelles sulla tassazione ai porti
Mentre in Italia tengono banco gli emendamenti pro-fusione Sech-Psa elaborati dal Partito Democratico e da inserire nel Decreto Milleproroghe (prevista l’eliminazione dell’articolo 18 comma 7 della legge 84/1994 che vieta una doppia concessione all’interno di uno stesso scalo), a Bruxelles entra nel vivo la partita della tassazione delle autorità portuali voluta dalla Commissione Europea per […]
Mentre in Italia tengono banco gli emendamenti pro-fusione Sech-Psa elaborati dal Partito Democratico e da inserire nel Decreto Milleproroghe (prevista l’eliminazione dell’articolo 18 comma 7 della legge 84/1994 che vieta una doppia concessione all’interno di uno stesso scalo), a Bruxelles entra nel vivo la partita della tassazione delle autorità portuali voluta dalla Commissione Europea per l’attività economica svolta dagli scali marittimi.
Mai come adesso l’Italia dei porti si mostra divisa e indebolita sia dal lato delle imprese (fra i terminalisti portuali si preannuncia una resa dei conti all’interno di Assiterminal fra il blocco delle aziende fedeli a Msc da una parte e Gip con Psa dall’altra più alcuni outsider) che da quello della politica.
Leggendo la cronistoria recente della procedura avviata da Bruxelles per porre fine all’esenzione dall’imposta sul reddito delle società alle autorità di sistema portuale (pubblicata sulla Gazzetta Europea) si apprende pubblicamente quali siano state le tesi portate da Roma per difendere lo status quo. La sensazione è che queste tesi abbiano un fondamento piuttosto debole.
Nella comunicazione pubblicata sulla Gazzetta Europea, che si conclude dando 30 giorni di tempo all’Italia per presentare le proprie osservazioni e fornire ogni informazione utile ai fini della valutazione della misura in esame, si legge:
“Con lettera del 7 marzo 2019, l’Italia ha respinto la proposta della Commissione adducendo i seguenti motivi:
Ad avviso della Repubblica Italiana esistono, infatti, seri argomenti giuridici dei quali non pare la lettera della Commissione abbia tenuto debitamente conto, anche in ragione della peculiarità del sistema italiano rispetto agli altri paesi che sono stati interessati da analoghe decisioni (Belgio, Francia, Spagna)”.
La tesi difensiva dell’Italia prosegue dicendo: “Preme evidenziare, infatti, che la maggioranza dei porti italiani è decisamente lontana dal competere, anche potenzialmente, all’interno dei mercati europei e che la quasi totalità dei porti non gestisce significative relazioni commerciali con l’estero, come emerge dall’analisi dei dati di traffico delle Autorità di Sistema Portuale”. Sorprende leggere che la maggioranza degli scali italiani non competa a livello comunitario quantomeno sui mercati contendibili del Centro Europa e che addirittura la quasi totalità degli scali marittimi nazionali non abbia nemmeno relazioni commerciali con l’estero.
La posizione dell’italia poi aggiunge: “Occorre inoltre rilevare come, a differenza dei porti del Nord Europa, tutti concorrenti in ambito comunitario, i porti italiani, per la vicinanza al Nord Africa, dove si sta verificando uno sviluppo che segue regole e dinamiche di investimento molto diverse rispetto a quelle stabilite nell’UE, subiscono una spietata concorrenza (un caso clamoroso si sta verificando nel porto di Gioia Tauro, dove la società terminalista ha ridotto gli investimenti per spostare il suo business a Tangeri), anche in ragione della normativa in tema di lavoro che consente di sostenere costi enormemente inferiori a quelli delle imprese operanti in Italia, generando un’asimmetria competitiva molto marcata”. Una questione, quella di Contship a Gioia Tauro, di fatto già autonomamente ‘risolta’ dal mercato con la fuga di Contship Italia dalla Calabria e dalla Sardegna e il subentro di Msc al Medcenter Container Terminal di Gioia Tauro di cui ora è azionista al 100% e per il quale ha avviato un piano d’invesimenti da oltre 100 milioni di euro.
Sempre con riferimento alla presunta concorrenza del Nord Africa nei confronti dell’Italia si legge ancora: “A ciò va aggiunto che in tali realtà geografiche si sta registrando un forte sviluppo di aree logistico-produttive con regimi agevolati in tema di commercio/sdoganamento, investimenti (finanziamenti agevolati e a fondo perduto) e fiscalità (Free Trade Zones, Special Economic Zones, ecc.), che sono potenziali elementi di distorsione della concorrenza, stante l’inconciliabilità della loro regolazione con le norme comunitarie”. Da non dimenticare che anche in Italia sono in atto da tempo politiche volte alla creazione di Zone economiche speciali e Zone logistiche semplificate.
L’Italia conclude quindi sostenendo che “allo stato” ritiene “di non poter accogliere la proposta della Commissione”.
Analizzando ancora la posizione espressa dall’Italia in merito al ruolo e alle funzioni delle autorità portuali, si apprende che Roma ha aggiunto: “Le autorità italiane sottolineano che le Autorità di Sistema Portuale non esercitano attività commerciali, ma svolgono unicamente funzioni ufficiali di regolamentazione e controllo sulle attività svolte da imprese private che operano nei porti”. In realtà la legge n.84/1994 così come quella di riordino del 2016 dicono che, oltre a funzioni di regolamentazione e controllo, alle port authority spettano anche attività di indirizzo, programmazione, coordinamento e promozione mediante gli uffici territoriali portuali. Proprio la promozione è una delle funzioni che implicitamente certificherebbe la natura anche economica dell’attività svolta dalle Autorità di sistema portuale italiane.
All’Italia rimarrà ora meno di un mese di tempo per cercare di essere più convincente al fine di smontare le tesi di Bruxelles che fino ad oggi, a giudicare da quanto riportato sull’avviso apparso in Gazzetta Europea, appaiono piuttosto solide e imporrebbero all’ordinamento portuale alcune modifiche organizzative e fiscali non indifferenti.
Nicola Capuzzo
Leggi qui l’avviso della Commissione europea sulla tassazione ai porti italiani pubblicato in Gazzetta Europea
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