Fuochi (Propeller Milano): “Non basta sbarcare container, bisogna aprirli e lavorarli”
Contributo a cura di Riccardo Fuochi * * presidente The International Propeller Clubs – Port of Milan Oggi ci troviamo di fronte a un cambiamento epocale delle attività di spedizione e logistica, derivante dalla digitalizzazione dei processi, dalla verticalizzazione delle attività dei carrier, dallo sviluppo dell’ e-commerce, dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale che tendono a far […]
Contributo a cura di Riccardo Fuochi *
* presidente The International Propeller Clubs – Port of Milan
Oggi ci troviamo di fronte a un cambiamento epocale delle attività di spedizione e logistica, derivante dalla digitalizzazione dei processi, dalla verticalizzazione delle attività dei carrier, dallo sviluppo dell’ e-commerce, dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale che tendono a far scomparire alcune attività tradizionali e a sostituirle con nuove professionalità e modalità operative. Quindi miglioramento dell’informazione, semplificazione delle procedure, pianificazione, controllo, tracciabilità, snellimento delle formalità doganali, utilizzo dei big data per ulteriore efficientamento dei processi. Ma la gestione fisica delle merci rimane l’elemento più importante e crea il vero valore aggiunto .
La realizzazione di terminal container e l’efficienza dei trasporti multimodali sono la catena di alimentazione della filiera logistica, soprattutto oggi con l’utilizzo delle mega navi che scaricheranno nei nostri porti migliaia di contenitori. Movimentare 3, 4, 5 milioni di Teu è un obiettivo facilmente raggiungibile dai nostri porti principali ma la vera sfida è la realizzazione di piattaforme logistiche integrate ai porti o collegate con l’intermodalità, dove effettuare lavorazioni a valore aggiunto per una ridistribuzione delle merci verso tutta Europa e non solo. Un contenitore in transito può valere dai 2 ai 300 euro, ma se il container viene svuotato il valore aumenta a 800/1.000 euro oltre all’indotto (dogane, trasporto a destino, ecc.).
Se però la merce entra in un ciclo logistico completo questi valori aumentano in maniera esponenziale: prendiamo ad esempio un contenitore di abbigliamento. Può contenere 10-11.000 capi che con le lavorazioni di un ciclo logistico completo (controllo, etichettature, inventory, picking, packing) possono generare un fatturato di 7/8 mila Euro con un grande utilizzo di risorse umane, pur considerando l’automazione e la robotizzazione delle operazioni. Pensiamo poi alle vendite via e-commerce e alla reverse logistics. Quindi l’obiettivo vero è sì di sbarcare i milioni di container, ma sopratutto di aprirne una buona parte e di lavorare le merci.
Sono state realizzate le Zes e le Zls ma se non vengono dati dei veri contenuti in relazione alle formalità doganali il loro utilizzo rimane vanificato. Le merci devono rimanere allo stato estero, poter essere controllate, stoccate, manipolate e il pagamento dei dazi deve avvenire soltanto al momento dell’immissione in consumo nell’Ue. Se poi il prodotto viene venduto in Paesi extra UE questo significa poter risparmiare milioni di dazi doganali, consentendo una maggior competitività agli operatori. In effetti le normative doganali comunitarie prevedono forme di deposito che consentono tutto questo ma in un modo estremamente complicato. Le Zls devono assolutamente prevedere una semplificazione di queste procedure, nello stesso modo in cui si opera nelle vere zone franche del mondo: Jebel Ali, Wai Gao Qiao, Singapore, Hong Kong, Shenzen.
La logistica italiana necessita di un’alleanza tra industria, shippers e operatori logistici. Primo obiettivo è rinunciare alle vendite ex-works in export e franco destino o Cif in import e mantenere il controllo della supply chain favorendo gli operatori logistici italiani e realizzando così un ciclo virtuoso che avvantaggerà tutte le parti. Se il trasporto è organizzato da uno spedizioniere estero nominato dal compratore si consegna una parte rilevante del valore aggiunto a un soggetto estero con una perdita di fatturato per la nostra economia. Il controllo delle merci fino a destino consente di avere la certezza dei costi, del transit time, in alcuni casi di scoraggiare il “parallelo” o la deviazione di traffici ma anche di dare la possibilità agli operatori logistici italiani di espandere la propria presenza in altri Paesi e fornire tutto il supporto logistico/operativo indispensabile per una corretta e puntuale distribuzione delle merci fino alla destinazione finale. In questo il settore della moda è all’avanguardia in quanto le aziende di questo settore tendono a mantenere il controllo della supply chain dalle fabbriche al punto vendita finale.
I competitor sono ormai globali e trasversali. I provider di e-commerce diventano operatori logistici, le compagnie marittime verticalizzano le attività sconfinando in ogni settore, gli integrator che diversificano nelle spedizioni internazionali e ora le varie piattaforme: Webcargo.net, Freightos, Freight Amigo, Flexport, ecc.
L’e-commerce sta modificando radicalmente l’impostazione della logistica creando nuove “necessità” ai consumatori. Se un ordine non viene ricevuto entro un paio di giorni o in alcuni casi di ore, si lamenta un disservizio. Quindi oltre ai grandi centri distributivi i magazzini tendono ad essere sempre più vicini al cliente finale e la gestione dell’ultimo “metro” strategica.
Un quadro veramente challenging per le nostre Pmi che se però sapranno dotarsi di strumenti adeguati potranno continuare a svolgere il loro lavoro di estrema specializzazione e di personalizzazione del servizio. L’informatica, l’intelligenza artificiale e i big data consentono oggi una vera ottimizzazione dei processi che sono alla base di una catena logistica efficiente: ottimizzazione di spazio e tempo.
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