Demurrages & detentions: per Pitto (Spediporto) nessuno si salva da solo
Contributo a cura di Alessandro Pitto * * presidente Spediporto e vicepresidente Fedespedi Con piacere metto sul tavolo i miei two cents sul tema demurrages & detentions che, recentemente, ha animato un vivace dibattito sulle pagine di SHIPPING ITALY, cui va il mio ringraziamento per l’ospitalità. Non deve stupire, a mio avviso, il fatto […]
Contributo a cura di Alessandro Pitto *
* presidente Spediporto e vicepresidente Fedespedi
Con piacere metto sul tavolo i miei two cents sul tema demurrages & detentions che, recentemente, ha animato un vivace dibattito sulle pagine di SHIPPING ITALY, cui va il mio ringraziamento per l’ospitalità.
Non deve stupire, a mio avviso, il fatto che questo sia ritenuto un argomento piuttosto scottante dalla categoria degli spedizionieri (di cui, indegnamente, rappresento la compagine genovese) soprattutto alla luce delle difficoltà nella movimentazione delle merci conseguenti all’epidemia di Covid-19.
Ma prima di entrare nel vivo del dibattito, e correndo il rischio di perdere subito alcuni lettori, si rende necessario un breve excursus sulla natura e sulla ratio sottostanti alla nascita e all’applicazione di tali costi.
Le tariffe di demurrages & detentions sono un importante strumento adottato dai carriers per assicurare un efficiente utilizzo del parco container, che rappresenta per loro un significativo investimento. Per i carriers è essenziale assicurare un rapido turnaround del proprio equipment e, di conseguenza, gli utilizzatori devono essere scoraggiati dal trattenere i container per un periodo di tempo eccessivamente lungo (si veda Fiata demurrage and detentions in container shipping).
In linea di principio, quindi, demurrages & detentions (D&D) rispondono a due scopi ben precisi:
- remunerare i carriers per l’utilizzo dei loro container;
- incoraggiare gli utilizzatori (spedizionieri o clienti diretti) a restituire i container il prima possibile, in modo tale che possano essere rapidamente riutilizzati.
Allo stesso tempo, è però condivisibile che i carriers debbano riconoscere, senza addebitare alcuna spesa, un ragionevole periodo di tempo agli shippers affinché questi possano caricare e consegnare in porto i container pieni all’export, oppure ritirarli, svuotarli e riconsegnarli vuoti all’import.
Nel corso degli ultimi anni, per ragioni non disgiunte da una insoddisfacente remunerazione dei noli marittimi, ma che sarebbe troppo lungo qui esaminare, i periodi di cosiddetto free time (in cui il carrier non addebita alcun costo al cliente) sono andati riducendosi, mentre i costi di D&D sono progressivamente aumentati.
Questa circostanza ha finito per attirare l’attenzione dei regolatori pubblici, ad esempio negli USA, ove la Federal Maritime Commission (FMC) ha avviato un’investigazione che ha portato alla stesura di un rapporto (Final FF28 report).
Pubblicato a Dicembre del 2018, questo rapporto conferma l’importanza delle D&D quale incentivo ad assicurare un corretto comportamento da parte di shippers e spedizionieri nella gestione dei contenitori, ma, al tempo stesso, evidenzia come tali spese non debbano essere applicate laddove i clienti, pur avendo svolto tempestivamente e correttamente tutti gli adempimenti di loro competenza, non siano messi in grado di ritirare o restituire i contenitori per cause al di fuori del loro controllo, come interruzioni di servizio dovute ai terminal o agli stessi carriers, oppure nel caso di merce bloccata per controlli doganali.
L’interpretazione della FMC, pienamente sposata e sostenuta da CLECAT, è a mio avviso dirimente.
Demurrages & Detentions devono essere intese e applicate quali strumenti volti a incentivare l’efficienza del ciclo logistico del container e non diventare strumenti punitivi nei confronti della merce.
Alla luce delle recenti dinamiche di mercato, appare del tutto lecito pensare che le linee trovino nell’addebito di demurrages & detentions un revenue stream che consente loro di compensare una marginalità sui noli in continua erosione.
Nulla quaestio su una pratica che è, a mio avviso, del tutto legittima, ma nella misura in cui continui a rispondere alle esigenze per cui tali tariffe sono nate e non diventi, al contrario, irragionevolmente penalizzante rispetto agli shippers.
Appare condivisibile la posizione di CLECAT ove sostiene che “addebitare irragionevoli importi di D&D non dovrebbe costituire un modello di revenue per i carriers”.
A livello internazionale si sta peraltro consolidando una crescente giurisprudenza che censura applicazioni deteriori o eccessive del concetto di demurrages & detentions (si veda sempre CLECAT).
Ma teniamoci lontani dalle aule dei tribunali e veniamo ora alla situazione legata all’emergenza Covid-19 in cui ci troviamo oggi.
Con il noto DPCM del 22 marzo 2020, il governo italiano ha imposto il cosiddetto lock down a tutte le attività produttive, con eccezione di quelle ritenute essenziali.
Proviamo ora a vestire i panni di un’azienda importatrice italiana che ha in arrivo merce in svariati contenitori. Si tratta di merce già pagata al fornitore estero e che, con il commercio al dettaglio fermo, difficilmente riuscirà a vendere, se non fra diversi mesi. La sua attività non rientra fra quelle essenziali, per cui è soggetta al lock down e non è quindi in grado di ritirare i contenitori e svuotarli nei propri magazzini.
I contenitori rimangono in porto e accumulano port storages e demurrages & detentions, che dovranno essere pagate e che andranno a incidere sul prezzo finale dei beni importati (con tanti auguri!) e sul già precario equilibrio economico e finanziario dell’azienda.
Azienda che, a questo punto potrebbe anche rifiutarsi di pagare questi costi, invocando il ricorrere di una causa di force majeure (così come già fatto da alcuni player del settore trasportistico), oppure chiedersi se valga la pena ritirare la merce o non convenga piuttosto abbandonarla al suo destino.
Questo potrebbe essere un caso limite, tuttavia, il fatto che in paesi colpiti dall’emergenza Covid-19 come Cina, India e Nuova Zelanda (non certo un regime autoritario), l’addebito delle D&D sia stato congelato con provvedimenti governativi, ci dice che il problema c’è ed è giusto prenderne coscienza e discuterne costruttivamente, piuttosto che ignorarlo.
L’elefante è nella stanza ed è anche bello grosso.
Soluzioni organizzative proposte da singoli carrier, volte ad esempio a trasferire i container dai terminal portuali verso inland terminal o interporti, possono andare nella direzione di scongiurare il congestionamento dei porti, oltre che di limitare i costi a carico della merce, ma occorre che si svolgano con modalità tali da mantenere condizioni di fair competition e non favoriscano opzioni in carrier haulage piuttosto che in merchant.
Rischiano in ogni caso di non essere sufficienti.
Sarebbe utile, per una volta, ragionare su un approccio organico e di sistema a un problema di questa portata.
Il citato DPCM del 20 marzo prevede ad esempio la sospensione del versamento dei canoni concessori a favore dei terminal operators. Sarebbe impossibile pensare di cancellare, e non solo sospendere, i canoni demaniali per la durata dell’emergenza, a patto che tale beneficio si trasferisca sulla merce, esentandola dal pagare soste portuali?
Sarebbe altrettanto impensabile prevedere qualche forma di beneficio analogo a favore dei carriers, sempre nell’intesa che questo si trasferisca sulla merce, esentandola dal pagamento delle D&D?
A prescindere da sussidi governativi, sarebbe impensabile stilare un protocollo d’intesa fra tutti i player del nostro decantato cluster marittimo che individui alcune best practices che evitino (o limitino) gli effetti deteriori di un sistema altrimenti affidato a un tassametro che continua a correre?
Tutti noi operatori della logistica, qualunque sia la nostra professione, non dobbiamo dimenticare che le navi, le gru portuali, i camion, i magazzini lavorano se e in quanto c’è merce da trasportare, spedire, manipolare.
La nostra priorità deve essere quella di far sì che i contenitori vengano consegnati e la merce raggiunga rapidamente i nostri concittadini, ma gli oneri connessi alle restrizioni e ai rallentamenti causati dall’emergenza devono essere condivisi fra tutti gli stakeholders.
Penalizzare eccessivamente oggi la merce rischia di rendere ancora più lenta la ripresa e più onerosa l’attesa.
Come si dice, nessuno si salva da solo.
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