Una ricerca Nomisma rivela quanto costa e quanto restituisce all’Italia il trasporto marittimo
Assarmatori, l’associazione datoriali delle shipping company presieduta da Stefano Messina, ha presentato la prima edizione del Rapporto annuale sull’industry del trasporto marittimo in Italia realizzato da Nomisma. Una ricerca utile a dimostrare con i numeri che i traghetti e le navi da crociera possono essere un volano per una crescita dell’intera economia connessa al mare, […]
Assarmatori, l’associazione datoriali delle shipping company presieduta da Stefano Messina, ha presentato la prima edizione del Rapporto annuale sull’industry del trasporto marittimo in Italia realizzato da Nomisma. Una ricerca utile a dimostrare con i numeri che i traghetti e le navi da crociera possono essere un volano per una crescita dell’intera economia connessa al mare, compresa l’occupazione dei marittimi, data la capacità di ogni posto di lavoro a bordo di generare tre posti di lavoro nell’economia di settore.
Il rapporto analizza, in maniera ‘ufficiale’, l’aiuto dello Stato italiano al trasporto e alla occupazione marittima in un quadro di coerenza europea a favore della competitività della sua shipping industry, mettendola così al riparo dalla concorrenza di paesi con bassa imposizione fiscale e ridotta o assente protezione sociale del lavoro, e delinea, attraverso una valutazione che utilizza la modellazione input-output, i vantaggi che la società civile e l’economia del Paese traggono dal regime di aiuto.
Il contributo dello Stato
Il settore del trasporto marittimo è destinatario di agevolazioni fiscali e contributive considerate necessarie dal legislatore per far fronte al rischio di delocalizzazione delle compagnie di navigazione a favore di paesi con una bassa imposizione fiscale e al rischio del ricorso al lavoro marittimo offerto da paesi che consentono condizioni e costi contrattuali più favorevoli.
Il regime di aiuti deciso con la legge n.30 del 1998, che ha introdotto il cosiddetto “Registro Internazionale” ha infatti garantito: il mantenimento nel nostro Paese delle imprese armatoriali, nel tentativo di evitarne la delocalizzazione con la conseguente perdita, non solo di importanti livelli occupazionali, ma anche delle competenze tipiche del settore marittimo per le quali l’Italia è conosciuta e stimata nel mondo; la salvaguardia dell’occupazione della gente di mare, una mission di altissima valenza sociale tenuto anche conto che, in determinati contesti territoriali, intere comunità vivono in gran parte del lavoro dei marittimi.
La più nota tra le misure è l’imposta sul tonnellaggio della nave (Tonnage Tax) in alternativa a un regime agevolato di imposta sul reddito. Il lavoro marittimo è agevolato dalla misura che prevede che la contribuzione sociale e l’assicurazione sugli infortuni del personale a bordo delle navi iscritte al registro internazionale sia posta a carico dello Stato. Il lavoro marittimo è ulteriormente incentivato dal credito di imposta riconosciuto al datore di lavoro pari al prelievo sul reddito alla fonte. Per l’anno in corso, per la Tonnage Tax sono stati stanziati 40,5 mln di euro e per il credito d’imposta sul reddito delle persone fisiche per i marittimi imbarcati sulle navi iscritte al registro internazionale 113,8 milioni di euro. Ammonta a circa 365 milioni di euro il costo per lo sgravio del personale di bordo erogato nel 2018. A tali risorse si aggiunge l’incentivo Marebonus (stimabile per la parte destinata agli armatori in 14,7 mln di euro, e cioè il 30% dell’importo stanziato).
L’impatto dell’aiuto alla shipping industry
Secondo il Rapporto di Nomisma il sostegno pubblico alla shipping industry viene ampiamente restituito alla collettività anche, e soprattutto, attraverso l’impatto economico e occupazionale che il settore del trasporto marittimo genera su tutta l’economia. Come emerge dai risultati dell’analisi Input-output, proprio l’armamento italiano, che è rimasto tale grazie al sostegno dello Stato, è caratterizzata da una forte capacità di attivazione sull’economia grazie a un coefficiente elevato (pari a 2,97, il che significa che per ogni euro investito in questo settore se ne generano circa il doppio nel complesso dell’economa nazionale).
A fronte, quindi, di una produzione diretta di 12.670 milioni di euro, nel 2019 lo shipping italiano ha generato, secondo Nomisma, sull’intera economia un impatto complessivo di 37.630 milioni di euro (dei quali 18,5 miliardi si devono agli effetti indiretti e 6,4 mld sono riconducibili all’indotto). L’impatto complessivo attivato dalla shipping industry rappresenta circa il 2,1% del Pil italiano. E forte è anche l’attivazione nel campo occupazionale: il settore, infatti, oltre alle 48.800 unità lavorative annue (Ula) direttamente impiegate riesce ad attivarne altre 129 mila nei comparti collegati.
È inoltre del tutto rilevante il contributo ambientale del trasporto marittimo di corto e medio raggio, nella sua funzione di alternativa alla modalità stradale. Si stima infatti che la quota di veicoli-km sottratti al trasporto stradale sulle tratte nazionali abbia generato nel solo anno 2017 un risparmio in costi esterni pari a 264 milioni di euro, in termini di inquinamento atmosferico, cambiamento climatico, incidentalità, congestione e rumore.
Sempre in termini di ritorno dell’investimento, lo Stato, se da un lato sostiene dei costi per salvaguardare l’industria nazionale e l’occupazione del trasporto marittimo, dall’altro ottiene ricavi diretti costituiti dal gettito proveniente dal settore: attraverso l’attivazione diretta, indiretta e indotta del sistema economico nazionale il settore del trasporto marittimo, nel 2019, ha generato versamenti nelle casse dello Stato per 326 milioni di euro di imposte per tacere del ruolo di primo piano che il settore del trasporto marittimo gioca nel garantire l’introito di circa 1,5 miliardi di euro costituiti dai dazi sulle merci imbarcate e sbarcate nei porti nazionali.
Ma anche limitandosi al semplice ritorno economico dagli sgravi contributivi garantiti al personale di bordo delle navi che beneficiano dell’aiuto di stato, si può facilmente rilevare un saldo attivo per lo Stato. Si può stimare, infatti, che i 23.639 marittimi imbarcati (dati 2018) diano luogo a una produzione diretta, indiretta e indotta pari a 14,6 miliardi di euro e attivino all’incirca altri 62 mila occupati lungo tutta la filiera dell’economia.
Le prospettive dell’estensione del regime di aiuto alle navi europee
Partendo da questi presupposti il rapporto analizza anche i prevedibili impatti della estensione del regime di aiuto imposta dalla Commissione europea. Con la sua decisione C (2020) 3667 dell’11 giugno 2020, la Commissione ha infatti approvato, fino alla fine del 2023, la proroga delle misure italiane di sostegno del settore del trasporto marittimo cd. internazionale richiedendo tuttavia una serie di adeguamenti, il più importante dei quali è l’estensione dei benefici a tutte le navi che battono bandiera di un Paese dell’UE o dello Spazio Economico Europeo (See).
Una condizione che potrebbe favorire l’aumento dell’occupazione marittima italiana con importanti ricadute positive anche sull’economia nazionale. Si creerebbero, infatti, nuove occasioni di lavoro soprattutto nel mondo delle crociere, settore nel quale il personale italiano – sia quello impegnato nelle attività prettamente marittime a bordo, sia quello dedicato ai servizi accessori assunto da imprese di gestione navale – è molto ricercato dalle compagnie internazionali che gestiscono oltre il 95% della flotta mondiale e che hanno ed avranno sempre di più nelle loro flotte, navi battenti bandiera della Unione o dello Spazio Economico Europeo.
A titolo di esercizio, nel rapporto si è stimato quale sarebbe l’impatto di un incremento del 10% dei marittimi oggi beneficiati dall’aiuto, tenendo conto del costo medio della agevolazione pro capite. A fronte di un costo per lo Stato di circa 36,5 milioni di euro per 2.360 nuovi occupati, vi sarebbe una prevedibile attivazione della produzione nazionale lungo tutta l’economia pari a circa 1,5 miliardi di euro.
Analogamente, gli occupati aggiuntivi attiverebbero ulteriori circa 6.200 Ula per un totale di circa 8.600 nuovi occupati. Si stimano poi in circa 106,4 milioni di euro i redditi lordi che sarebbero generati nel complesso, con una ricaduta sulla capacità di spesa delle famiglie coinvolte pari a 62,5 milioni di euro, oltre a quanto destinato a risparmio. Il tutto senza considerare l’esistenza di una posizione contributiva attiva a fronte di una inattività lavorativa o di un salario pagato da armatore straniero nell’ambito di un rapporto di lavoro retto da regole contributive nulle o di risibile valore.
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