“Il blocco di Suez ha complicato ulteriormente i rapporti fra vettori marittimi e spedizionieri”
Intervento firmato da Clecat * * European Association for Forwarding, Transport, Logistics and Customs Services Il recente blocco di Suez ha nuovamente richiamato l’attenzione sui rischi associati alle navi portacontainer di grandi dimensioni (Ultra Large Container Vessel). I social media sollevano la questione se queste mega-navi siano diventate troppo grandi per navigare mentre l’International […]
Intervento firmato da Clecat *
* European Association for Forwarding, Transport, Logistics and Customs Services
Il recente blocco di Suez ha nuovamente richiamato l’attenzione sui rischi associati alle navi portacontainer di grandi dimensioni (Ultra Large Container Vessel). I social media sollevano la questione se queste mega-navi siano diventate troppo grandi per navigare mentre l’International Transport Forum (Itf) ha già sottolineato i rischi delle Ulcv con il rapporto sull’impatto di queste grandi scafi pubblicato nel 2015. Ma i decisori politici hanno dato per scontate quelle raccomandazioni, colpiti dalla lunghezza delle navi e dal numero di container che trasportano generando economie di scala nell’era della globalizzazione. Altri si aspettavano che un incidente prima o dopo sarebbe successo mentre le navi continuavano a diventare sempre più grandi. Non c’è dubbio che le navi di grandi dimensioni creino problemi maggiori, in caso di incidenti, danni ambientali e impatti più ampi sulla catena di approvvigionamento.
Clecat non è mai stata molto estimatrice della crescita dimensionale delle navi portacontainer poiché i vantaggi delle economie di scala ricadono esclusivamente sui vettori, mentre altre parti della catena ne sostengono i costi. In varie dichiarazioni sono state espresse preoccupazioni circa il proliferare delle Ultra Large Container Vessel che esercitano pressioni sui collegamenti con l’entroterra creando picchi di capacità ai terminali e criticità nei trasporti verso l’hinterinland.
Va ricordato che le tariffe di nolo sono state relativamente basse a volte nel periodo pre-covid a causa della corsa a costruire navi sempre più grandi e creando sovraccapacità; in conseguenza caricatori e spedizionieri hanno assistito a una continua erosione della qualità del servizio. Prima della crisi generata dal Covid alcuni vettori avevano indicato che la corsa verso navi sempre più grandi stava volgendo al termine e che c’era il desiderio di concentrarsi maggiormente sulla qualità del servizio. Oggi però, durante la crisi in corso e con noli di trasporto che hanno raggiunto massimi senza precedenti, la qualità del servizio è al livello più basso mai raggiunto e non vi è alcun segno di miglioramento. L’affidabilità in termini di puntualità delle linee marittime è scesa al di sotto del 35% nel mese di gennaio 2021. Con solo tre alleanze che condividono le loro mega-navi, praticamente senza concorrenza da parte di operatori indipendenti, resta la domanda se ci siano margini di miglioramento in futuro.
I vettori danno la colpa della crisi al Covid ma uno dei motivi dell’attuale congestione dei terminal portuali e della mancanza di capacità di container è che negli ultimi mesi i vettori sono stati estremamente selettivi nella scelta della capacità, trasportando i container in Asia vuoti per raccogliere migliori tariffe di trasporto per le merci importate, il che ha portato a disfunzioni e ha impedito agli esportatori europei di rifornire i commerci. Di conseguenza ci sono irregolarità nell’arrivo delle navi che sta creando problemi operativi, ritardi nella connettività con l’entroterra e costi aggiuntivi.
La causa principale della bassa affidabilità della pianificazione di tutti i tempi sono le navi Ulcv e l’impatto sull’infrastruttura terrestre che è ai limiti. Chiaramente qualsiasi miglioramento su tale infrastruttura deve essere pagato con denaro pubblico. Da alcuni anni abbiamo assistito all’effetto domino delle navi più piccole che si riversano su altri traffici e delle grandi portacontainer che creano picchi più elevati sui traffici Est – Ovest, congestioni nei e attorno ai terminal a causa delle ‘finestre’ strette concesse ai container per la consegna verso infrastrutture congestionate. Il blocco di Suez sta solo peggiorando l’attuale interruzione della catena di approvvigionamento marittima aggiungendo da 2 a 3 settimane al tempo di andata e ritorno per nave e riducendo di fatto la capacità di carico della flotta esistente dedicata al mercato Asia-Europa sostanzialmente dall’oggi al domani. Nel bel mezzo di questa crisi Msc Belgio ha annunciato che non consentirà più al trasporto mercantile di ritirare container vuoti nell’entroterra. I vettori hanno cercato da tempo di trovare il modo di avvicinarsi direttamente ai caricatori (bypassando gli spedizionieri, ndr), ma ora stanno sfruttando la carenza di container (aggravata dalla crisi di Suez) per attirare più flussi. Fanno lo stesso attraverso le controstallie e i costi di fermo che sono più alti per il trasporto mercantile a causa di ritardi e tempi di attesa ai terminal. Con questo comportamento vediamo ancora una volta che le compagnie di navigazione integrate verticalmente traggono vantaggio dalla loro posizione dominante, discriminando il trasporto mercantile che chiede invece parità di condizioni e un sano ambiente competitivo.
Non c’è dubbio che le navi portacontainer ultra grandi sono ormai una realtà e sono sul mercato per restarci, ma i decisori politici, i vettori e altri stakeholder potrebbero voler riconsiderare il trend attuale per la prossima generazione di navi. L’economista Geert Noels, nel suo libro ‘Gigantisme”’, ha fatto riferimento ai rischi e alle vulnerabilità creati dalle economie di scala riferendosi anche ai ‘mega vasi’. Il blocco del canale di Suez potrebbe segnare un punto di svolta e indurre i responsabili politici in Europa a riflettere sui rischi delle mega navi gestite da vettori integrati.
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