Zunarelli: “In caso di sconfitta a Bruxelles a rischio la sovranità nazionale nelle scelte infrastrutturali dei porti”
In occasione della presentazione e della spiegazione del ricorso che le 16 Autorità di sistema portuale italiane, con il supporto di Assoporti, hanno depositato al tribunale dell’Unione Europea contro la decisione della Commissione del 4 dicembre 2020 che vorrebbe imporre alle port authority nostrane il pagamento delle imposte sull’attività d’impresa svolta, alcuni dei legali coinvolti […]
In occasione della presentazione e della spiegazione del ricorso che le 16 Autorità di sistema portuale italiane, con il supporto di Assoporti, hanno depositato al tribunale dell’Unione Europea contro la decisione della Commissione del 4 dicembre 2020 che vorrebbe imporre alle port authority nostrane il pagamento delle imposte sull’attività d’impresa svolta, alcuni dei legali coinvolti insieme ai vertici dell’associazione nazionale dei porti, sono entrati nei dettagli di alcune questioni per spiegare il fondamento dell’impugnazione.
Il più esplicito nell’illustrare la sostanza della questione è stato il prof. avv. Stefano Zunarelli secondo il quale i calcoli dei corrispettivi imposti dalle AdSP, siano essi canoni di concessione, autorizzazioni o diritti portuali, “prescindono da logiche di carattere imprenditoriale”. Un quadro differente, secondo l’esperto legale bolognese, rispetto ad altri paesi come Francia e Belgio anch’essi soggetti a un’azione simile da parte della Commissione Europea negli anni passati. “Non può essere che un’attività non sia imprenditoriale se viene posta in essere da Capitaneria di porto, Comune o Regione ma diventa imprenditoriale se viene svolta da un’AdSP che è comunque un soggetto pubblico” ha proseguito Zunarelli rivelando quale sarà una delle tesi difensive del ricorso. La gestione del demanio, a secondo delle zone e delle funzioni, può essere infatti attribuita ad esempio anche alla Capitaneria di porto, così come i Comuni e le Regioni in taluni casi possono intervenire in certe scelte di pianificazione e gestione della cosa pubblica. Per cui, secondo la tesi dei legali (oltre a Zunarelli fanno parte del team anche Francesco Munari, Gian Michele Roberti e Isabella Perego) sarebbe impossibile attribuire alle port authority una funzione di attività d’impresa perché altrimenti lo stesso dovrebbe avvenire per gli altri organi dello Stato sopracitati.
Secondo Zunarelli il vero effetto potenzialmente dirompente di questa vicenda, se l’Italia dovesse uscire sconfitta dal ricorso avviato contro la Commissione Europea, “è la perdita da parte del nostro Paese del controllo sugli investimenti infrastrutturali importanti” perché Roma, per rispettare le norme sugli aiuti di Stato, si troverebbe a dover “assoggettare al parere preventivo di Bruxelles ogni scelta importante di investimento infrastrutturale”.
Che l’Italia rischi di vedere messa a rischio la propria sovranità nazionale in materia di pianificazione e sviluppo infrastrutturale ne è convinto anche Massimo Deiana, presidente dell’AdSP del Mare di Sardegna, che insieme al collega Ugo Patroni Griffi, vertice della port authority di Bari e Brindisi, è il delegato in seno ad Assoporti a occuparsi della questione. “Non è una battaglia contro l’Europa ma un fondamentale riconoscimento. Lo Stato non esercita attività d’impresa” ha affermato Deiana, aggiungendo poi: “Si discuterà se ogni Paese è libero di gestire i propri porti e il proprio patrimonio pubblico”.
Patroni Griffi gli ha fatto eco dichiarando: “Riteniamo che il ricorso abbia una valenza a sé stante, a prescindere da quello che sarà l’esito finale. Il modello di autorità portuali italiane non è assimilabile a quello degli altri Paesi” e “le Autorità di sistema portuale italiane non sono in grado di gestire attività d’impresa. Sono enti pubblici non economici che gestiscono opere che non vanno ad arricchire il proprio patrimonio ma quello dello Stato italiano”.
Lo stesso Patroni Griffi poco dopo però ha aggiunto: “Eventuali modelli alternativi (di gestione dei porti, ndr) presuppongono scelte politiche. Un eventuale modello ibrido non funzionerebbe. L’alternativa al modello italiano sarebbe maggiormente liberista che ha pure dei vantaggi. Se ci dicono che questo modello attuale non va più bene meglio abbatterlo”. Deiana, come la quasi totalità dei suoi colleghi presidenti, sulla questione di un eventuale modello di port authority sotto forma di società per azioni è parso critico dicendo che “privatizzare il gestore non sarebbe necessariamente un passo in avanti”.
Nicola Capuzzo
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