Come sta cambiando la pirateria in Africa e cosa manca alle guardie armate italiane per operare al meglio
Contributo a cura di Giuseppe Trizzino * * cofondatore di Praesidium International La pirateria marittima in Golfo di Guinea, e in Nigeria in particolare, appare oggi un argomento di grande interesse, complice la crescente attenzione mediatica sulle attività di pirateria e di contrasto alla stessa. Tralasciando i numeri, una delle numerose particolarità dell’ultimo triennio […]
Contributo a cura di Giuseppe Trizzino *
* cofondatore di Praesidium International
La pirateria marittima in Golfo di Guinea, e in Nigeria in particolare, appare oggi un argomento di grande interesse, complice la crescente attenzione mediatica sulle attività di pirateria e di contrasto alla stessa.
Tralasciando i numeri, una delle numerose particolarità dell’ultimo triennio è stato senz’altro il continuo confronto tra le società di sicurezza privata e i c.d “Pirate Action Group” ovvero quei gruppi di uomini che prendono il largo con uno o più motoscafi per andare ad assaltare le navi.
Sebbene questo confronto non sia ovviamente l’unica causa, è interessante notare come – logicamente – la distanza media degli attacchi dalla costa è andata ad accrescersi di pari passo con la distanza delle scorte private, o viceversa. Questo è stato un fenomeno particolarmente visibile nell’area a sud ovest dell’isola di Bonny, lungo la rotta di accesso ai porti di Onne e Port Harcourt e ultimamente nell’area di Lagos. Questa sorta di rivalità tra le due parti, che tra l’altro dimostra l’innegabile funzionalità delle navi scorta quale strumento di deterrenza, ha fatto registrare nel 2020 una delle medie più alte degli ultimi anni quando si parla di attacchi e della loro distanza media dalle coste del Golfo di Guinea, un trend seguito di pari passo dal settore della sicurezza privata. Si passa infatti dalle richieste di scorte di 40/60 miglia nautiche del 2018, alle richieste odierne di 150/250 MN dalla costa.
Con l’accrescersi delle distanze in gioco sono emerse alcune criticità di particolare rilievo. In primis, si è notevolmente estesa la superficie operativa dei pirati. Questo ha incrementato non poco i rischi per il naviglio mercantile nonostante la presenza di numerose risorse militari in zona, sia locali che estere. C’è da dire infatti, che le prime hanno spesso difficoltà a intervenire prontamente a notevole distanza dalla costa mentre le seconde sono presenti in zona senza continuità né temporale né spaziale, lasciando così campo libero ai pirati in vaste aree e per diversi mesi alla volta.
Altro problema direttamente collegato a questa evoluzione, è stato l’incremento di attacchi contro navi non dirette in Nigeria, una pratica già esistente ma maggiormente focalizzata nei confronti di un traffico marittimo che potremmo genericamente definire locale. Oggi sono invece sempre più coinvolte navi battenti bandiere di stati non appartenenti alla zona di interesse. Visitatori occasionali ma anche abituali dei porti dell’Africa occidentale, che si trovano a navigare protetti da un falso senso di sicurezza su rotte a sud della zona economica esclusiva nigeriana, rotte considerate – a torto – sicure ancora oggi da troppi nonostante l’ultima decisa estensione verso sud dell’area ad alto rischio del Joint War Committee lo scorso settembre (2020).
Infine, e sicuramente uno dei problemi di più difficile risoluzione, è l’impossibilità per le scorte private di sicurezza di oltrepassare i limiti della zona economica esclusiva dello Stato di appartenenza, una barriera internazionale invisibile che però non tange chi agisce ai margini delle leggi e delle convenzioni, come i pirati. Dimostrando una profonda conoscenza delle problematiche legate alle diverse giurisdizioni, i pirati nigeriani hanno negli anni imparato a sfruttare queste falle, specialmente se si pensa alle loro operazioni nel quadrante ovest verso il Ghana. Negli ultimi mesi lo stesso principio è stato man mano implementato verso sud-ovest e verso sud, con un incremento delle loro operazioni fuori dalla giurisdizione dei principali stati del Golfo di Guinea e dunque oltre le zone operative delle scorte private.
Oggi in Italia si riapre il dibattito sull’impiego di personale privato armato a bordo per tutelare i nostri connazionali e le nostre navi di bandiera in tali aree. In fondo, in Oceano Indiano i risultati si sono visti e sono stati estremamente positivi ma occorre valutare attentamente il contesto operativo, sostanzialmente diverso e particolarmente complesso, prima di lanciarsi in tale direzione.
L’Italia ha per certi versi una delle normative sull’antipirateria marittima tra le più interessanti esistenti oggi a livello globale in quanto considera la possibilità di difesa delle proprie navi di bandiera con personale privato di sicurezza anche oltre la classica “High-Risk Area” dell’Oceano Indiano. E’ del 2015 il Decreto del Ministero della Difesa (Decreto 24 settembre 2015 “Individuazione delle acque internazionali soggette al rischio di pirateria nell’ambito delle quali è consentito l’impiego di guardie giurate a bordo delle navi mercantili battenti bandiera italiana”) che considera anche l’Africa occidentale quale area a rischio ed in cui di fatto viene consentita l’operatività delle nostre guardie giurate. Tuttavia, nonostante la possibilità venga concessa dalla normativa, il tutto rimane ancora ad oggi un puro esercizio teorico a causa di alcuni fondamentali particolari, tra cui quanto richiesto dall’Art. 12 par 3 (b) del D.M.139/2019, ossia la necessità di “Assolvere ad ogni altro adempimento previsto dalla legislazione degli Stati dei porti d’imbarco e sbarco, inclusi quelli relativi all’imbarco ed allo sbarco delle armi e delle munizioni a bordo della nave”. Tale operazione risulta estremamente difficile se non impossibile quando gli Stati che costeggiano le aree c.d. a rischio pirateria, di fatto vietano tassativamente la presenza di personale privato armato a bordo già all’interno della loro zona economica esclusiva e men che meno i loro equipaggiamenti (armi). Ma non è questo il problema principale.
Una novità di riguardo, passata giustamente inosservata a chi non opera in questo settore di nicchia, è stata nel luglio 2020 la pubblicazione dell’“Arrêté Interministériel” n°016/2020, frutto di un lavoro congiunto di vari dicasteri della Repubblica del Benin, che di fatto acconsente sulla carta con il suo Art.2, l’ingresso nei porti del Benin di navi aventi a bordo personale privato armato. Questa apertura da parte del Benin è sicuramente un fattore positivo per il nostro settore, tuttavia ad oggi, la rigidità presentata da questa soluzione, che scaturisce in molteplici difficoltà di carattere logistico nonché portatrici di critiche implicazioni commerciali, non vergono in favore di una sua implementazione in quanto limita fortemente quello che è il naturale e imprevedibile movimento delle navi e delle merci ivi trasportate.
Non sarà un percorso facile né immediato e serviranno senz’altro ulteriori concessioni da parte di altri Stati rivieraschi con il Golfo di Guinea, in primis la Nigeria. La nostra Marina Militare sta svolgendo un lavoro egregio di tessitura di rapporti strategici attraverso le sue missioni in area alla pari del Ministero degli Esteri attraverso la sua rete diplomatica, ed è questa senz’altro la strada da percorrere per un successivo subentro di attori privati, oggi alle prese con altre difficoltà più impellenti, come la tuttora mancata applicazione di quanto previsto dal D.M.154/2009 relativamente alla formazione del personale addetto ai servizi di antipirateria marittima e la prossima scadenza di giugno dell’attuale ennesima proroga che il settore si porta avanti dal 2012.
Nel mentre, uno dei miglior modi che abbiamo per tutelare le navi, ma soprattutto il personale che vi lavora, è dato dalla conoscenza della zona e delle sue particolari dinamiche e da un’attenta analisi delle rotte e dell’evolversi del rischio. Tanti sequestri potevano essere evitati con semplici piccole accortezze.
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