Nel 2020 i porti italiani hanno perso 5,9 milioni di tonnellate di carbone: la foto di Assocarboni
Assocarboni, l’Associazione italiana degli Operatori del Carbone presieduta da Andrea Clavarino, ha presentato oggi nel corso dell’Assemblea Ordinaria dei Soci i dati del settore nell’anno 2020. Il carbone si conferma nel mondo il combustibile principale per la produzione elettrica: in particolare, la domanda di carbone si è spostata verso il Sud-est asiatico, area in cui […]
Assocarboni, l’Associazione italiana degli Operatori del Carbone presieduta da Andrea Clavarino, ha presentato oggi nel corso dell’Assemblea Ordinaria dei Soci i dati del settore nell’anno 2020. Il carbone si conferma nel mondo il combustibile principale per la produzione elettrica: in particolare, la domanda di carbone si è spostata verso il Sud-est asiatico, area in cui le economie emergenti lo utilizzano per il proprio sviluppo economico e industriale in percentuali molto elevate.
Per ciò che riguarda il commercio di carbone via mare, a livello mondiale il 2020 si è chiuso in negativo, con una diminuzione del -10% su base annua (1.157 milioni di tonnellate, rispetto ai 1.292 milioni del 2019). Per la prima volta dopo 10 anni di crescita continua, subisce una battuta d’arresto il trend che negli ultimi 10 anni aveva portato a un aumento del 50% dei volumi.
Per quanto riguarda lo steam coal, in particolare, i volumi si sono attestati a 910 milioni di tonnellate (-11% rispetto ai 1.021 milioni del 2019). Il commercio via mare di coking coal nel 2020 ha invece totalizzato 247 milioni di tonnellate (-9% rispetto ai 271 milioni del 2019).
Dai dati di Assocarboni, elaborati per l’anno 2020, sono stati delineati in modo dettagliato anche i trend che hanno caratterizzato le importazioni di carbone a livello mondiale. I Paesi che hanno contribuito maggiormente alla crescita delle importazioni, sono stati: Cina, Pakistan e Vietnam. Nell’area mediterranea, sono aumentate le importazioni di Israele, Marocco e Turchia.
Le importazioni totali di carbone della Cina per il 2020 hanno raggiunto un volume di 304 milioni di tonnellate, con un aumento dell’1,5% rispetto ai 299,67 milioni importati nel 2019. L’obiettivo iniziale dichiarato dal governo cinese, era quello di mantenere le importazioni in un range compreso tra i 277 e i 299 milioni di tonnellate. La produzione cinese totale di carbone per il 2020 ha raggiunto un volume di 3,84 miliardi di tonnellate (+0,9% rispetto al 2019). La produzione di acciaio grezzo per il 2020 ha raggiunto un risultato record attestandosi a 1,05 miliardi di tonnellate, superando per la prima volta la soglia del miliardo.
Nel 2020, le importazioni di carbone in Vietnam hanno continuato una rapida ascesa: il Paese ha infatti importato il 28% in più di carbone su base annua, a seguito di una maggiore domanda di energia a livello nazionale. In particolare, le importazioni totali di carbone hanno raggiunto un volume di 55,8 milioni di tonnellate lo scorso anno, contro i 43,7 milioni del 2019. Si tratta di un risultato davvero notevole, tanto più che i volumi delle importazioni sono comunque stati limitati dalla pandemia di coronavirus e dalle condizioni meteorologiche estreme che hanno caratterizzato in particolare i mesi di ottobre e novembre 2020, quando sul Paese si sono abbattuti i tifoni Molave e Vamco. Anche la produzione di acciaio vietnamita è cresciuta notevolmente, raggiungendo 31,0 milioni di tonnellate nel 2020, con un aumento del 52% rispetto ai 20,4 milioni del 2019.
Segnali positivi e un lieve aumento hanno interessato anche le importazioni di carbone termico della Turchia, che nel 2020 hanno registrato un aumento dell’1%, attestandosi a 19,8 milioni di tonnellate rispetto ai 19,6 milioni del 2019. Le importazioni di coking coal hanno mostrato invece un lieve calo, nella misura del -3%, attestandosi a 5,5 milioni di tonnellate rispetto ai 5,7 milioni del 2019.
Anche il Marocco nel 2020 ha registrato un aumento del +2% nelle importazioni di carbone termico, raggiungendo un volume di 10,3 milioni di tonnellate rispetto ai 10,1 milioni del 2019
Un aumento ha interessato anche le importazioni di carbone termico di Israele, che nel 2020 si sono attestate a 8,2 milioni di tonnellate, in crescita del 3% rispetto agli 8 milioni del 2019.
Infine, in Cile le importazioni di carbone termico nel 2020 hanno registrato un lieve aumento, attestandosi a 10,1 milioni di tonnellate e segnando un +2% rispetto ai 9,9 milioni di tonnellate del 2019.
Le esportazioni di carbone termico dell’Indonesia nel 2020 sono diminuite del 13%, raggiungendo un volume di circa 400 milioni di tonnellate, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia di coronavirus che ha impattato la domanda globale e tutti i principali Paesi produttori di carbone. L’India è rimasta la principale destinazione per il carbone indonesiano e le esportazioni verso la Cina hanno registrato un aumento del 102% su base annua, a seguito dei divieti di importazione del carbone termico australiano nei porti cinesi. Al di fuori di questi due mercati chiave, tutti gli altri Paesi abituali importatori di carbone indonesiano (come Vietnam, Corea del Sud e Malesia) hanno registrato dei cali nel 2020. Per i prossimi venti anni, il Ministero dell’Energia e delle Risorse Minerarie indonesiano ha programmato un aumento del 21% della produzione di carbone, per un volume di 678 milioni tonnellate, ma questo tonnellaggio aggiuntivo sarà destinato al suo fabbisogno interno, a seguito della scelta di sostenere l’industria e la generazione di energia.
Nel 2020 le esportazioni totali di carbone dell’Australia sono diminuite del 7% su base annua, raggiungendo un volume di 369,81 milioni di tonnellate, rispetto ai 396,43 milioni del 2019. In particolare, le esportazioni di carbone termico sono diminuite del 6%, attestandosi a 198,74 milioni di tonnellate (212,48 milioni nel 2019), principalmente a causa del divieto cinese alle importazioni australiane nel quarto trimestre del 2020. Le esportazioni di carbone metallurgico sono invece diminuite nella misura del 7%, attestandosi a 171,08 milioni di tonnellate (183,96 milioni nel 2019), con un calo che ha interessato la maggior parte delle principali destinazioni di esportazione.
Le esportazioni di carbone termico e metallurgico della Russia sono aumentate invece di circa l’1% su base annua, raggiungendo un volume di 217 milioni di tonnellate, rispetto ai 215 milioni del 2019. I volumi maggiori sono stati come negli scorsi anni esportati via mare, mentre circa 24 milioni di tonnellate di carbone sono state esportate su rotaia, principalmente destinate a Cina e Europa. La produzione di carbone russa nel 2020, è invece diminuita del 9% attestandosi a 401,4 milioni di tonnellate.
A proposito delle stime per il 2021, secondo Assocarboni si sta assistendo a una forte ascesa dei prezzi del carbone termico e metallurgico, guidata dalla forte ripresa dell’economia e dalle aspettative di uscita dalla pandemia.
Il commercio via mare tornerà a crescere: già per la fine del 2021 si attende un aumento del 5% dei volumi scambiati, con un dato totale finale di 1210 milioni di tonnellate. In particolare, il carbone termico dovrebbe attestarsi a 947 milioni di tonnellate (+4% rispetto ai 910 milioni del 2020) e il carbone metallurgico a 263 milioni di tonnellate (+6% rispetto ai 247 milioni del 2020).
Un focus particolare merita l’Italia che nel 2020 ha registrato una diminuzione sia delle importazioni di carbone da vapore, a quota 5,3 milioni di tonnellate (-29% rispetto ai 7,5 milioni di tonnellate del 2019), sia delle importazioni di carbone metallurgico e PCI, che hanno raggiunto un volume di 2,35 milioni di tonnellate, con una diminuzione del 22% rispetto ai 3 milioni del 2019.
Il phase‐out del carbone dovrà essere progressivo nel tempo e strettamente connesso agli interventi strutturali riguardanti sia capacità produttive sostitutive, sia i sistemi di trasmissione, di distribuzione e di stoccaggio dell’energia.
Per Assocarboni il phase‐out delle centrali italiane a carbone al 2025, in particolare, in un mondo che continuerà comunque a produrre energia elettrica dal carbone, porterà benefici modesti alla riduzione dei cambiamenti climatici, in quanto le emissioni di CO2 delle centrali a carbone italiane rappresentano lo 0,04% delle emissioni mondiali.
I giganti dell’Asia continentale, India e Cina, ma anche altre economie asiatiche come la Corea del Sud, il Giappone e Taiwan, hanno sempre fondato sul carbone i rispettivi piani energetici nazionali e continuano a pianificare espansioni a carbone utilizzando le migliori tecnologie oggi disponibili.
La Germania, Paese che ha sempre utilizzato altissime percentuali di carbone a copertura del fabbisogno energetico nazionale, si prepara a un’uscita dal carbone, ma su un orizzonte temporale più ampio: nei prossimi vent’anni, infatti, verranno gradualmente chiusi gli impianti più datati, mentre le centrali più efficienti resteranno ancora in funzione, con le ultime dismissioni previste entro il 2038. Tutto questo avrà comunque un costo non indifferente, stimato in 40 miliardi di euro di aiuti federali per compensare la perdita di circa ventimila posti di lavoro e favorire la riconversione degli impianti, più compensazioni da definire per gli operatori elettrici che dovranno dismettere gli impianti.
“In conclusione, riteniamo che il Sistema Elettrico Italiano debba aumentare la quota di rinnovabili rispetto all’attuale e auspichiamo che il Paese possa affrontare correttamente le graduali modalità di chiusura delle centrali così come è già stato previsto in altri Paesi europei” si legge nella nota di Assocarboni, associazione che rappresenta oltre 40 aziende fra produttori di energia elettrica, importatori, rappresentanti di società estere, commercianti, utilizzatori, cementifici, acciaierie, spedizionieri, agenti marittimi, terminalisti, surveyors, società di ingegneria, costruttori di impianti per la movimentazione e l’utilizzo del carbone.
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