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Tutto quel che c’è da sapere sulla composizione sociale delle proteste dei portuali a Trieste e Genova
Contributo a cura di Emanuele Nebbia Colomba * pubblicato su BollettinoAdapt.it * Allievo ordinario classe di Scienze Politiche – Scuola Normale Superiore I porti, nonostante la loro centralità all’interno delle catene globali del valore, sono stati spesso poco considerati dai quotidiani nazionali, forse perché ancora associati all’immaginario novecentesco dei camalli e delle compagnie dei […]
Contributo a cura di Emanuele Nebbia Colomba * pubblicato su BollettinoAdapt.it
* Allievo ordinario classe di Scienze Politiche – Scuola Normale Superiore
I porti, nonostante la loro centralità all’interno delle catene globali del valore, sono stati spesso poco considerati dai quotidiani nazionali, forse perché ancora associati all’immaginario novecentesco dei camalli e delle compagnie dei lavoratori.
Di conseguenza i media, essendosi occupati del settore solo sporadicamente, in questi giorni hanno dato una rappresentazione spesso superficiale e poco articolata degli scioperi dei portuali contro il green pass a Trieste e Genova e, in misura minore, Napoli ed Ancona. A Trieste le proteste sono state guidate dal Coordinamento lavoratori portuali Trieste (Clpt) mentre a Genova dal Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali (Calp). Entrambe sono organizzazioni afferenti all’area del sindacalismo di base. Tuttavia, mentre a Trieste il Clpt è oggi il sindacato maggioritario, a Genova la CGIL controlla la maggioranza degli iscritti. Il Calp invece, dopo anni passati all’interno delle fila della FILT CGIL è fuoriuscito per aderire ad USB Porti nel Novembre 2020.
Di seguito una cronologia degli eventi ed un tentativo di inquadrare la composizione dei due scioperi.
Cronologia sintetica degli eventi
Già da fine Settembre il Clpt Trieste aveva organizzato un’assemblea dei lavoratori in vista dell’entrata in vigore dell’obbligo vaccinale il 15 Ottobre. All’assemblea, a cui avevano partecipato circa cento lavoratori su mille, era stata deliberata la contrarietà al green pass. Anche il Calp Genova aveva preso posizione sul tema. Si legge in un loro post Facebook datato primo Ottobre:
Greenpass, una questione che non affronteremo solo il 15 ottobre. Risponderemo al tentativo di imporre il greenpass nello stesso modo in cui rispondiamo ai continui attacchi ai diritti, alla sicurezza, ai salari dei lavoratori.
Il Green pass altro non è che un tentativo autoritario che il padronato usa per rendere i lavoratori ancora più sottomessi e sottoposti a una logica di dominio che nulla ha a che fare con la sicurezza.
Lo stesso giorno il Clpt aderiva a Trieste ad un corteo cittadino di diecimila persone, secondo le stime della questura. Al corteo partecipava anche il candidato sindaco del movimento no vax 3V Ugo Rossi che l’indomani avrebbe ottenuto il 4,54% dei consensi al primo turno di amministrative, dato più alto in Italia della galassia no vax.
In un comunicato datato due Ottobre il Clpt ringraziava i partecipanti al corteo per aver manifestato: “contro un provvedimento criminale che vorrebbe dividere i lavoratori e ricattarli […] Un problema che il finanziere al governo e i suoi soci, che il ricatto se lo sono inventato, evidentemente non lo hanno.”
Al corteo del 3 Ottobre sarebbero seguiti quelli di Lunedì 11 Ottobre, all’indomani della manifestazione di Roma egemonizzata da Forza Nuova e culminata con l’assalto alla sede nazionale della CGIL.
A Trieste l’11 Ottobre ci sono stati due cortei, uno al mattino, svoltosi all’interno della cornice dello sciopero generale dichiarato dai sindacati di base (in una nota datata 6 Ottobre USB nazionale chiariva che la contrarietà al Green Pass non rientrava all’interno della piattaforma dello sciopero essendo stato indetto prima che l’obbligatorietà del green pass fosse esteso ai luoghi di lavoro) ed uno al pomeriggio formato da circa quindicimila persone di cui settecentocinquanta portuali, circa la metà della forza lavoro in porto. A quel punto il Presidente dell’Autorità Portuale Zeno D’Agostino, che fino ad allora aveva avuto ottimi rapporti con il Clpt, iniziava seriamente a preoccuparsi per l’operatività del porto minacciando le dimissioni. È in questo contesto che il caso è diventato di rilevanza nazionale. Dopo una riunione di coordinamento interministeriale, il Viminale infatti ha emanato una circolare con cui raccomandava, derogando alla normativa generale, di mettere a disposizione test gratuiti per i lavoratori delle attività portuali: “in considerazione delle gravi ripercussioni economiche che potrebbero derivare dalla paventata situazione anche a carico delle stesse imprese operanti nel settore, si è raccomandato, altresì, di sollecitare le stesse imprese affinché valutino di mettere a disposizione del personale sprovvisto di green pass test molecolari o antigenici rapidi gratuiti”.
Come noto, la raccomandazione del ministero ha suscitato svariate reazioni da parte sindacale e datoriale. Il 15 Ottobre i portuali di Trieste e Genova sono entrati in sciopero ma la protesta, iniziata con grande clamore mediatico si è subito sgonfiata, fino alle dimissioni del leader del Clpt di Trieste Stefano Puzzer avvenuta Domenica.
Uno degli aspetti che è rimasto più in secondo piano nel racconto di questi giorni sono state le varie sfaccettature e la composizione sindacale della posizione del Calp Genova e del Clpt di Trieste.
La composizione sindacale degli scioperi
Già dalle dichiarazioni riportate nel paragrafo precedente si può intuire la diversa “cultura politica” delle due organizzazioni. Per spiegare la situazione odierna è necessario ripercorrere alcuni dei passaggi fondamentali della storia recente di queste due organizzazioni.
A Genova il Calp nasce dopo la manifestazione nazionale di Piazza San Giovanni a Roma contro la crisi economica e le politiche di austerità nell’Ottobre 2011 e riprende anche nel nome il Collettivo Operaio Portuale attivo nel porto di Genova per tutti gli anni settanta. Come allora, il Calp ha un’impostazione militante di impegno politico e conflittuale, un’organizzazione molto più snella ed orizzontale dei sindacati confederali. Scrive Riccardo Degl’Innocenti: “Da alcuni anni c’è dentro il porto di Genova un nuovo Collettivo, si chiama Collettivo Autonomo dei Lavoratori del Porto, un filo rosso lo lega ai padri del 1967 nella ricerca dell’unità dei portuali, non più tra avventizi e soci come allora, ma tra dipendenti e soci che semmai riproducono per analogia le contraddizioni tra soci della Compagnia e dipendenti del Consorzio Autonomo del Porto di 40 anni fa”.
La sociologia americana lo definirebbe un caso di social movement unionism, infatti la loro attività non si limita alle rivendicazioni sul piano salariale e delle condizioni di lavoro ma si spinge anche “oltre la cinta muraria del porto”. Una mobilitazione degna di nota è stata quella contro il commercio di armi con l’Arabia Saudita impiegate poi nella guerra in Yemen. Il Calp ha intessuto una rete di relazioni con associazioni cittadine come la Rete Pace Disarmo e l’osservatorio Weapon Watch e con lavoratori di altri scali nazionali ed europei come Livorno, Marsiglia e Bilbao con cui hanno dato vita ad alcuni scioperi transnazionali.
Per alcuni anni la strategia del Calp è stata di “entrismo” nella FILT CGIL per spostarla più a sinistra, arrivando ad eleggere diversi delegati nelle RSU nei vari terminal del porto (PSA Prà, Spinelli, Stazioni Marittime). Dopo una frattura provocata dallo sciopero non dichiarato della CGIL per l’arrivo di una nave della Bhari Yanbu, a detta del Calp la rottura definitiva è avvenuta per posizioni non conciliabili sul decreto sicurezza contestando in particolare la posizione sul reato di blocco stradale, si legge in un’intervista:
La Cgil ha deciso di non occuparsene. Sia all’emanazione, sia quando, con un Governo più vicino, vi si è messo mano, ma solo nella parte che riguarda l’immigrazione. Le norme che hanno compresso gravemente il diritto di sciopero sono rimaste, senza che il sindacato abbia nemmeno protestato. Ma la classe operaia ha pochi strumenti: i cortei, i blocchi stradali, una certa ruvidezza del confronto. Se si eliminano queste armi, si chiude tutto.
Mentre a Genova il sindacalismo di base incide ma resta minoritario, a Trieste negli ultimi anni, è cresciuto sino a superare i sindacati confederali per una serie di circostanze particolari. Prima della nomina di Zeno D’Agostino nel 2015 il porto versava in uno stato di crisi dei traffici e di frammentazione del lavoro. Per Sergio Bologna, tra i massimi esperti di lavoro portuale in Italia, si trattava di una delle situazioni più degradate della penisola con cooperative fallite, gioco al ribasso sul costo del lavoro per competere con Capodistria. Ciò aveva comportato una situazione di malessere e sfiducia nei sindacati confederali che ha trovato uno sbocco nel momento dell’arrivo di D’Agostino e del segretario generale Mario Sommariva, attualmente alla guida dell’Autorità Portuale della Spezia. Sommariva, partito dal basso facendo come primo impiego il facchino, arrivato a Trieste istituisce un’agenzia per il lavoro del Porto che assorbe i lavoratori delle cooperative in crisi e permette al contempo di stabilizzare i lavoratori e funzionare come prestatore di manodopera per far fronte alla flessibilità dei traffici.
L’altro tema che viene ripreso da D’Agostino è quello dell’allegato VIII del trattato di pace tra Italia e paesi alleati alla fine della seconda guerra mondiale, mai applicato ma che prevedeva l’extradoganalità del Porto di Trieste. D’Agostino lo riprende in mano nella speranza di trovare investitori attratti dai vantaggi fiscali che l’extradoganalità offrirebbe alle imprese. In ciò l’Autorità Portuale gioca di sponda con il Clpt, che si inserisce e cresce nel vuoto lasciato dalla crisi del sindacato confederale e che ha al suo interno una forte componente di indipendentisti. In cambio il Clpt contribuisce a pacificare un porto precedentemente segnato da molta conflittualità. Un articolo de Il Piccolo di Trieste spiega: “il Clpt nasce contro il sindacalismo tradizionale e raccoglie grande successo, arrivando a 300 iscritti nel primo anno. L’aiuto arriva anche da un collante ideologico di cui gli altri sindacati non dispongono: l’indipendentismo, la rivendicazione dell’extraterritorialità del porto contenuta nel Trattato di pace, la richiesta di defiscalizzazione delle attività logistico-industriali e degli stipendi.”
Anche il portavoce del Clpt, Stefano Puzzer è un ex tesserato Cisl. Indipendentisti, ex Cisl, ex CGIL, ultras della Triestina di area Forza Nuova, il Clpt ha una composizione molto più eterogenea rispetto al blocco sociale ben definito del Calp. Infatti, i rapporti con USB entrano in crisi due anni fa fino ad arrivare alla rottura per una divergenza di posizioni sull’extradoganalità. Per USB nazionale il problema sarebbe stata la volontà del Clpt di togliere il limite dei tremila euro l’anno per la de-tassazione dello straordinario. In una nota di USB si legge: [togliendo il tetto dei tremila euro di straordinario defiscalizzati nel porto franco] “Un’ora di straordinario costerebbe praticamente meno di un’ora di lavoro normale, facendo da disincentivo a nuove assunzioni e col rischio di avere pesanti ripercussioni sulla sicurezza a causa degli aumentati carichi di lavoro che ne conseguiranno”.
Perciò, per dichiarare sciopero, dopo che i confederali si erano tirati indietro perché soddisfatti dall’accordo raggiunto di far pagare i tamponi alle aziende, sono dovuti ricorrere a due sigle semi-sconosciute, la Fisi e la Confscafi. La Fisi, riporta un articolo di Fanpage, ha sede ad Eboli ed ha come segretario dei medici, tal Pasquale Bacco, noto tra i complottisti, convinto no vax.
Sabato sera, al termine del secondo giorno di sciopero, è uscito un comunicato del Clpt dove si parlava di “ritorno al lavoro”. Un’ala più oltranzista invece ha chiesto e ottenuto poi una rettifica dove si dice di voler continuare il presidio fino al 20 Ottobre. È in questo avvicendamento che sono avvenute le dimissioni volontarie del portavoce del Clpt Stefano Puzzer.
Nel momento in cui questo articolo viene consegnato, lunedì 18 ottobre mattina, a Genova è in corso un presidio in Via Albertazzi e il Varco di Ponte Etiopia è chiuso ma i flussi sembrano scorrere regolarmente passando per gli altri varchi. A Trieste così come a Genova i portuali sembrano in minoranza con i movimenti che hanno preso il sopravvento. Anche dalle immagini dei telegiornali sono poche le pettorine gialle visibili nella folla a Trieste e la polizia sta trattando per sgomberare i varchi portuali.
Conclusioni
Questo articolo ha voluto gettare un primo sguardo alla composizione sindacale in due dei principali porti italiani, microcosmi poco studiati negli ultimi anni dalla sociologia del lavoro. Se da un lato i sindacati confederali mantengono la maggioranza delle tessere nei principali scali italiani, dall’altro i sindacati di base hanno iniziato ad attecchire in aree che finora erano state impermeabili.
Il presumibile ritorno ad una fase di concertazione nei prossimi mesi da parte della triplice aprirà ulteriori spazi a questo modello di sindacato più grassroot e conflittuale nel settore dei porti?