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Santi: “Nei porti italiani sapremmo gestire un aumento dei Teu?”
In un mondo della portualità contraddistinto a livello globale da gravi criticità in termini di congestionamento in banchina, i terminal container italiani almeno da questo punto di vista non segnalano problematiche degne di nota per i caricatori e i ricevitori. Oltre alle ormai celebri code di navi portacontainer di fronte agli scali statunitensi di Long […]
In un mondo della portualità contraddistinto a livello globale da gravi criticità in termini di congestionamento in banchina, i terminal container italiani almeno da questo punto di vista non segnalano problematiche degne di nota per i caricatori e i ricevitori.
Oltre alle ormai celebri code di navi portacontainer di fronte agli scali statunitensi di Long Beach e Los Angeles, l’analista Lars Jensen di Vespucci Maritime, in uno dei suoi consueti post di approfondimento su LinkedIn, mostra come in realtà molti altri terminal anche in Europa (e non solo) vivano situazioni di congestionamento crescenti. In particolare, riportando gli alert circolati al mercato da parte di alcuni grandi carrier come Maersk, Cma Cgm, Hapag Lloyd e One, Jensen rileva particolari criticità nei porti di Felixstowe in Gran Bretagna, Le Havre in Francia e Puerto Angamos in Cile, Savannah in Usa, Rijeka in Croazia, Napier in Nuova Zelanda, Dalian in Cina e Vancouver in Canada.
In nessuno scalo italiano nell’ultimo anno e mezzo sono state segnalate problematiche che abbiano comportati ritardi significativi per l’approdo in banchina delle navi portacontainer. Un vantaggio competitivo da sfruttare per il nostro Paese?
Alessandro Santi, presidente di Federagenti, a SHIPPING ITALY risponde dicendo: “Questo è un dato sicuramente interessante da prendere in considerazione e la speranza è che possa effettivamente tradursi in un’opportunità da cogliere”. C’è un ‘però’: “Nel caso le compagnie di navigazione scegliessero di puntare maggiormente sul Sud Europa bisognerebbe anche essere pronti a gestire eventuali arrivi extra di navi. I nostri terminal a livello di hardware e software sarebbero in grado di fare fronte a eventuali picchi di attività? In termini di organizzazione del lavoro, delle regole di gestione, dell’apertura h.24, del flusso e deflusso dei carichi, ecc.”.
Santi porta ad esempio il caso recente dei prodotti siderurgici che per ragioni di quote di traffico hanno scelto di arrivare in porti come Monfalcone e Ravenna: “In quei casi alcune criticità sono emerse. La verità – aggiunge l’agente marittimo veneziano – è che i porti, non solo quelli italiani, erano abituati a lavorare con un equilibrio del sistema logistico internazionale che ha subìto una disruption imposta dal polo produttivo cinese e dal polo dei consumi negli Usa”.
Nel nostro Paese la situazioni fino ad oggi è stata ben gestita: “Un rapporto appena pubblicato da Confindustria dice che, a fronte di specifica domanda sull’impatto della logistica sulla propria attività, solo il 20% delle aziende ha rilevato criticità, contro una media europea del 30-40%, con punte ancora più alte in Germania”. In Italia si è assistito nei mesi scorsi a “sliding degli arrivi delle navi, non ci sono stati casi particolari di sovrapposizioni di navi in banchina, idem dicasi per le soste nei piazzali dei container, mentre alcuni blank sailing ci sono stati ma per scelte selettive fatte dalle compagnie che hanno preferito privilegiare alcuni scali piuttosto che altri”. Secondo Santi la vera sfida per il futuro sarà quella degli “investimenti da fare nei terminal, in termini di equipment e organizzazione, per accogliere il gigantismo navale”.
Nicola Capuzzo