La concorrenza dei porti liguri fra spesa pubblica e traffici generati
Contributo a cura di Riccardo Degl’Innocenti * * Esperto di lavoro portuale Sotto il profilo della regolazione e della tutela della concorrenza, il diritto dell’Unione Europea ci dice che il “mercato rilevante”, inteso come il contesto minimo per creare un significativo grado di potere di mercato, è dato dalla combinazione del mercato del prodotto […]
Contributo a cura di Riccardo Degl’Innocenti *
* Esperto di lavoro portuale
Sotto il profilo della regolazione e della tutela della concorrenza, il diritto dell’Unione Europea ci dice che il “mercato rilevante”, inteso come il contesto minimo per creare un significativo grado di potere di mercato, è dato dalla combinazione del mercato del prodotto con il mercato geografico. Il primo comprende i prodotti e/o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei prezzi e dell’uso; il secondo comprende l’area geografica in cui le imprese interessate forniscono o acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni di concorrenza siano sufficientemente omogenee.
Nel caso del trasporto marittimo in container i porti di Savona, Genova, La Spezia, Marina di Carrara e Livorno insistono notoriamente sullo stesso “mercato rilevante”. Vale a dire che, per esempio, chi spedisce un container da Milano può liberamente scegliere quale porto utilizzare tra questi, dato che le condizioni di concorrenza sono assicurate non più dalla pluralità di operatori in unico porto, bensì dalla pluralità dei porti, parimenti prossimi e collegati allo stesso bacino di mercato, nel nostro esempio a Milano, e attrezzati a offrire gli stessi servizi. La garanzia della concorrenza è data dal numero dei porti e non dal numero di operatori nello stesso porto. Alla luce di ciò si è sentenziato che non costituisce un abuso la posizione dominante raggiunta da PSA nel porto di Genova con la fusione con SECH, per cui è stato lecito derogare alla legge che vieta il cumulo di concessioni per la stessa tipologia di traffico nello stesso porto.
La concorrenza tra porti diversi, postulata dalla nozione comunitaria di “mercato rilevante”, pure essendo tutti di proprietà del demanio pubblico e amministrati dallo Stato italiano tramite le Autorità di sistema portuale, è esercitata nel nostro caso dai terminalisti privati, tutti controllati da capitali stranieri, che hanno ricevuto in concessione le banchine. La danese Maersk con la cinese Cosco a Savona, la singaporese PSA e la svizzera MSC a Genova, la tedesca Contship con la stessa MSC a La Spezia, la turca Arkas a Marina di Carrara, gli anglo-francesi GIP a Livorno. Tutti questi “grandi player” multinazionali sono distribuiti in un arco molto breve di operatività dal Ponente ligure all’alto Tirreno che misura 240 km terrestri e 92 miglia nautiche. Alla luce della nozione di concorrenza, che peraltro si è sommata alla tradizionale politica nazionale di moltiplicazione per lo più a pioggia degli investimenti per le stesse funzioni portuali negli oltre 30 porti lungo la penisola, sebbene oggi riassunti in 15 sistemi portuali, trova apparente giustificazione il fatto che in ciascuno dei porti in esame lo Stato abbia investito e stia tuttora investendo ingentissime somme di denaro pubblico per creare nuovi terminal (a Vado e Genova-Bettolo oltre 500 milioni) e per ampliare i vecchi, oltre a ammodernare gli accessi nautici e terrestri agli scali, con dighe foranee (solo per Genova e Vado 1,5 miliardi) e nuovi collegamenti stradali e ferroviari (almeno 1 miliardo ulteriore, al netto di Gronde, nodi ferroviari ecc.).
Con quali risultati ad oggi di tanta concorrenza e tantissima spesa pubblica?
Negli ultimi 4 anni dal 2017 (ultimo anno “felice” per i traffici) al 2021, nei 5 porti considerati il traffico di teus (l’unità di conto dei container, diventato l’indice sommario per misurare i porti moderni) è passato da 4.926.352.191 a 5.025.026 teus con un tasso annuo di crescita di 0,5%, nel contesto di un traffico nazionale cresciuto invece di 0,8%, per cui la quota dei 5 porti in esame sul totale nazionale è passata dal 46,2% al 45,7%. Anche le quote rispettive dei porti sono restate molto simili, Genova al 51%, crescono un po’ Savona al 4% e Carrara al 2%, mentre diminuisce un po’ La Spezia al 27% e Livorno si mantiene stabile al 15%.
Il “mercato rilevante” di questi porti, dunque, appare sostanzialmente stagnante (25.000 teus medi in più all’anno tra 5 porti (sic!)), legato a doppio filo com’è con l’andamento del PIL che si riflette nella stagnazione del traffico complessivo nazionale. D’altro canto, la concorrenza competitiva tra i 5 porti non mostra di avere portato assolutamente dei benefici in termini di quantità di traffico generato o attratto, così come gli enormi investimenti pubblici per sostenerla. La lieve tendenza a crescere, alla fine, si regge sul “rubare” un po’ di teus agli altri sistemi portuali. I profitti dei terminalisti peraltro si sono mantenuti apprezzabili e interessanti per i capitali privati investiti potendo godere dell’agio degli enormi investimenti pubblici a favore dei loro concessioni, che hanno consentito il mantenimento di notevoli margini di utile non essendo gravati da ammortamenti e interessi sugli investimenti infrastrutturali, compensati con canoni concessori notoriamente risibili.
Più che guardare sotto il profilo giuridico al “mercato rilevante” a sostegno dei “grandi player”, in attesa di un cambio di passo dello sviluppo economico italiano, le Autorità dovrebbero occuparsi invece dell’interesse pubblico preoccupandosi del valore aggiunto territoriale e sociale generato dai rispettivi sistemi portuali, calcolato con parametri trasparenti e condivisi con gli stakeholder locali non con indagini sommarie e inqualificabili presentate come spot pubblicitari. Invece, il Presidente dell’Autorità portuale che comprende i porti di Genova e Savona, due porti il cui “mercato rilevante” si sovrappone in modo pressoché coincidente, continua a celebrare irresponsabilmente i numeri di crescita di teus nel nuovo terminal di Savona-Vado (peraltro molto lontani dal target annunciato, come anche i numeri dei posti di lavoro), omettendo di mostrare come essi stiano determinando inevitabilmente il conseguente declino dei numeri del porto di Genova.
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