A Ravenna manca ancora l’autorizzazione all’escavo dell’Hub
In audizione in Comune il presidente dell’Adsp Daniele Rossi spiega che la ricerca di 300mila mq non servirà per una cassa di colmata ma per installare pannelli solari nell’ambito di un progetto selezionato dal Mite nel bando Green Ports
“A causa delle ‘curiose’ regole sui dragaggi, ci sono stati problemi relativi ai fanghi da escavare e da spostare un km più in là, parte delle analisi si è complicata e ha richiesto molto più tempo del previsto. Ci aspettiamo che l’ultima delibera di Arpae (l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente dell’Emilia Romagna) arrivi a giorni, dopodiché potranno partire i lavori”.
Il riferimento alle ‘curiose’ regole riguarda le analisi ecotossicologiche previste (anche) per i fanghi da scavare nella canalina di accesso al porto e da conferire in mare aperto e le parole sono di Daniele Rossi, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale di Ravenna, convocato ieri in consiglio comunale per un’audizione di aggiornamento sulle attività dell’ente, progetto Hub in primis.
Incalzato dalle domande della consigliera Veronica Verlicchi (del gruppo La Pigna), Rossi si è inizialmente occupato del ‘curioso’ avviso pubblicato alcuni giorni fa per la ricerca di aree da acquisire: “Tutto si può pensare, tranne che si tratti di aree per una cassa di colmata, dato che nell’avviso si menziona la candidatura dell’ente al progetto Green Ports del Ministero per la Transizione Ecologica e che una cassa di colmata non c’entra nulla con esso” ha spiegato piccato Rossi, sorvolando sul fatto che il medesimo avviso, nei 4 punti che precedono il riferimento ai Green Ports, riassuma lo stato dell’arte del progetto Hub (incentrato proprio su escavo del porto e destino dei relativi sedimenti) e attribuendo a un “refuso” il riferimento esplicito a una “cassa di colmata” contenuto nella prima versione dell’avviso pubblicata (e poi cancellata) dalla port authority romagnola.
Come che sia, secondo quanto riferito da Rossi l’area servirà ad altro: “Manca ancora la formalizzazione, ma ci risulta che il Mite abbia selezionato un nostro progetto per il bando Green Ports, relativo alla produzione di energia fotovoltaica e, con essa, di idrogeno. I 30 ettari servono per installarvi i pannelli solari. Quanto all’avviso, essendoci candidati al bando del Mite, noi sappiamo se le aree ci sono, ma dobbiamo come ente ricorrere comunque a una procedura ad evidenza pubblica. Se poi qualcuno risponderà, vedremo. Certo è che abbiamo già manifestazioni di interesse per l’utilizzo dell’idrogeno da parte del tessuto industriale ravennate”.
Tornando all’Hub, l’ufficializzazione della mancanza, a tutt’oggi, delle necessarie autorizzazioni a iniziare l’escavo non è stata l’unica novità rivelata da Rossi. Il presidente dell’Adsp ha precisato che “le casse di colmata ci sono, i contratti sono stipulati da anni”, ma ha anche svelato che “non è certo servano, stiamo valutando una soluzione tecnica innovativa che potrebbe renderle parzialmente non indispensabili”, reagendo però in malo modo alla richiesta da parte dei consiglieri di un approfondimento su tale apparente contraddizione (se prevarrà la tecnica innovativa, sarà possibile e come rescindere o rettificare i “contratti stipulati da anni”?).
E, salvo ricordare che per la fase 2 del progetto Hub, che prevede di portare la profondità dei fondali dai 12,5 metri della fase 1 a 14,5 metri, “occorrerà accelerare perché 45 degli 80 milioni di euro di tale dragaggio sono finanziati con fondi Pnrr, da spendersi quindi entro fine 2026” (altri 85 serviranno per un impianto di trattamento dei fanghi per cui Adsp ha bandito un appalto in corso da 155 milioni di euro), non ha fornito i chiarimenti su come l’ente intenda far collimare le due fasi.
Dalla documentazione reperibile (progettazione definitiva, pubblicata sul sito dell’ente) relativa alla prima fase teoricamente ai nastri di partenza, si apprende che dei 4,7 milioni di metri cubi di fanghi, 1,4 milioni sono destinati all’immersione in mare e 3,3 alla sedimentazione/essicazione nella vasca di colmata Nadep (previo svuotamento della medesima) e successivo conferimento per 2,3 milioni di metri cubi a tre cosiddette aree logistiche (L1, L2, S3) e per il resto al riempimento di Cava Bosca.
Data la capienza di Nadep (900mila metri cubi), questa operazione avverrà in quattro momenti diversi ed è la tempistica ufficialmente prevista a sollevare i principali interrogativi. “Complessivamente – si legge nella progettazione definitiva – il cronoprogramma prevede dall’inizio dei lavori all’ultimo svuotamento della cassa di colmata Nadep 3.102 giorni (102 mesi circa), anche se in fase di progettazione esecutiva questo lasso potrebbe esser stato ridotto. In particolare, è prevista la consegna dei lavori a giugno 2020 e la fine dei lavori a novembre 2028”. Dato che, secondo il medesimo progetto, il dragaggio vero e proprio di questi 4,7 milioni di metri cubi sarebbe dovuto cominciare nell’ottobre 2021, che non è invece nemmeno stato autorizzato e che quindi terminerà (ipotizzandone l’avvio nei prossimi 2-3 mesi) alla fine del 2030, quale è il piano dell’ente per chiudere entro il 2026 lo scavo di ulteriori 2 metri di terra che, trovandosi a maggior profondità, non possono essere rimossi prima di aver tolto quelli che stanno sopra? Per trovare una risposta bisognerà forse attendere la prossima audizione comunale.
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