Traffici e avviamenti: perché a Genova i conti non tornano per i portuali
Il caso Psa pare essere centrale per spiegare il previsto calo delle chiamate della Culmv fra 50 assunzioni, incrementi di produttività e concorrenza coi nuovi terminalisti
Contributo a cura di Riccardo Degl’Innocenti *
* esperto di lavoro portuale
Da 15 mesi si aspetta che l’Autorità portuale pubblichi, come da legge, il Piano Organico dei lavoratori portuali e ora si scopre che il ritardo sarebbe dovuto al fatto che le imprese terminaliste hanno previsto per i prossimi anni un impiego insufficiente dei lavoratori della Culmv. Inferiore, cioè, alle previsioni indicate nei piani industriali con cui le stesse imprese hanno ottenuto e mantengono la concessione pubblica delle banchine, e insostenibile per il bilancio della Culmv, che dagli avviamenti ottiene gli unici ricavi, che è garantito sotto il profilo patrimoniale dall’Autorità portuale mediante uno strumento finanziario partecipativo. La preoccupazione di Palazzo San Giorgio si dividerebbe quindi tra le sorti della propria finanza di sostegno al debito della Culmv e la prospettiva di diminuzione del lavoro portuale.
Questa seconda non sarebbe un bel messaggio da dare alle forze sociali e alla città mentre si celebrano, da parte dei commissari Marco Bucci e Paolo Emilio Signorini, gli investimenti miliardari pubblici nel porto con la promessa di una crescita dei traffici e della ricchezza sociale senza precedenti. Per questo probabilmente il Piano Organico, che smentisse ufficialmente questa prospettiva, tarda a essere pubblicato. In attesa che si trovi una via di uscita proviamo a decifrare la questione.
L’oggetto del contendere pare stia in due numeri. Dopo un 2021 sugli scudi (205mila chiamate contro le 177mila previste dal piano di risanamento della Culmv avallato da Adsp), le imprese avrebbero previsto 192mila avviamenti per il 2022 e per il 2023 solo 185mila, in forte contrasto con le previsioni del suddetto piano, 198mila e 219mila rispettivamente (e con i primi mesi dell’anno in cui le chiamate sarebbero più di quelle del primo bimestre 2021). Da 15 anni, dal 2007 si è scesi oltre questo numero nel 2020 di lockdown da pandemia (un anno generalmente escluso dai confronti statistici) e altrimenti negli “orribili” anni di crisi 2009-10 e 2013. Rispetto ad allora però, nel 2021 la merce varia lavorata è cresciuta in tonnellate di +17,4% e i container di +28,7%, e di riflesso, con una certa proporzionalità, anche gli avviamenti della Culmv. Per cui, l’annuncio di 185mila avviamenti farebbe intendere delle due l’una: o i terminalisti mirano a ottenere in due anni, all’attuale tasso di crescita dei traffici, un aumento di produttività tale da risparmiare l’impiego del 10% di manodopera Culmv; oppure prevedono che i traffici calino. In realtà, le due tendenze si intrecciano: già oggi calano i traffici in tonnellate di merce varia (dal 2017 con media annua di -0,6% di contenitori) e già aumenta la produttività dei lavoratori Culmv nello stesso segmento operativo (+1,2%, dopo essere cresciuta con un tasso di +3,5% nei 15 anni precedenti a fronte di un aumento dei container di +2,3%).
Nel passato i dirigenti di Psa Prà, nel frattempo fuso con Sech Calata Sanità consolidando il suo primato nel porto (68% dei container) e sul mercato del lavoro con oltre la metà degli addetti diretti e il 63% degli avviamenti Culmv, dichiaravano che non assumevano personale per fare lavorare quelli della Culmv. Un “nobile intento” che ha determinato la situazione odierna in cui sulle banchine gestite da Psa operano contemporaneamente, tutti i giorni, più lavoratori Culmv che dipendenti, tanto da farne maturare una concreta dipendenza organizzativa. Non mi soffermo sulla convenienza economica di un tale assetto per l’azienda (basti pensare al rapporto tra costi fissi e costi variabili), bensì su quella produttiva, visto che, dato il suo peso massimo nel fronte dei terminalisti e nella sezione confindustriale, probabilmente è Psa che detta i numeri a Palazzo San Giorgio.
Psa che, per la concorrenza crescente di Apm a Vado Ligure e quella nascente di Msc a Calata Bettolo, vede i suoi traffici calare (-9% rispetto al 2017) insieme ai suoi profitti, per cui ha necessità urgente di aumentare la produttività del lavoro non potendo contare per ora, che su un apporto marginale dell’automazione, diversamente dai terminal concorrenti concepiti e equipaggiati più modernamente. In questo senso, a formare la cifra di 185mila potrebbe avere contribuito l’accordo sindacale con cui Psa si è impegnato a assumere 50 nuovi lavoratori tra il 2022 e il 2024. Tenuto conto che 50 addetti diretti equivalgono a circa 13mila avviamenti Culmv in meno. Si tratta probabilmente per Psa di riequilibrare il mix di personale che opera in banchina, più che di un cambio di strategia col rinunciare alla risorsa Culmv che più di ogni altra consente loro flessibilità produttiva e i margini di utile. Così si spiega?
Prima delle imprese private, lo dovrebbe spiegare l’Autorità pubblica portuale, riconoscendo innanzitutto la stagnazione dei traffici e dell’occupazione, avviando quindi una indagine sulla composizione professionale e sulla produttività invece crescente dei lavoratori portuali, dipendenti e Culmv di cui il Piano Organico delinea solo la struttura quantitativa.
Per misurare la produttività in porto, in cui vige da sempre un regime sostanziale di cottimo collettivo fissato sui tempi della nave e sui flussi di merce, sebbene oggi imbellettato con incentivi o premi divenuti la parte cospicua del salario, Palazzo San Giorgio dovrebbe finalmente fare luce su due ordini di fenomeni: la precarizzazione e la flessibilizzazione del lavoro dipendente, che i terminalisti vorrebbero fare assomigliare sempre di più al lavoro temporaneo, per cui rischiano anche il peso dei costi fissi pur di alleggerirsi della dipendenza dalla Culmv; l’intensificazione dei ritmi di lavoro di tutti i lavoratori perseguita con l’aumento delle ore effettivamente lavorate, con quelle di straordinario e il raddoppio o la triplicazione dei turni di lavoro, a danno della salute e della sicurezza e in cambio di quote di salario variabile che accrescano i minimi contrattuali nazionali a soglie di sostenibilità economico-sociale. Sono questi i numeri da tenere in considerazione oltre quelli delle mere previsioni, quelli che fanno sempre di più da moltiplicatore degli organici, numeri che mi auguro troveranno spazio nel Piano Organico a fare finalmente luce sul mercato del lavoro del porto.
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