“Servono 2 miliardi e 15 anni”: si è dimesso il supervisore della nuova diga di Genova
Per Piero Silva “fattibilità tecnica a rischio” e opera “inattuabile nei tempi e ai costi previsti”. La “diga giusta” che invece suggerisce ospiterebbe anche i depositi costieri
“Per un progetto di tali dimensioni – posto e non concesso che il consolidamento geotecnico si riveli fattibile – ci vorranno almeno 2 miliardi di euro e 15 anni di lavori”.
In attesa che entro fine mese il Ministero della Transizione Ecologica rilasci l’annunciato decreto di Via (dovrebbe trattarsi di parere positivo con prescrizioni) al progetto di fattibilità tecnica ed economica della nuova diga foranea del porto di Genova, sbloccando la conclusione della conferenza dei servizi e la gara per l’appalto integrato, sulla più importante opera portuale italiana, pilastro del Pnrr e cavallo di battaglia del sindaco Marco Bucci (commissario per il piano delle opere straordinarie del porto in cui rientra la diga) e della stazione appaltante, l’Autorità di Sistema Portuale di Genova presieduta da Paolo Emilio Signorini, che è anche commissario straordinario per la realizzazione, si abbatte una doccia gelata.
La ‘sentenza’ fra virgolette non è infatti una nefasta profezia di un qualche avversore dell’opera, ma solo uno dei numerosi passaggi critici di una relazione di 32 pagine in cui Piero Silva ha messo in fila le ragioni per cui a marzo si è dimesso per evidenti ragioni etico-deontologiche dall’incarico di direttore tecnico che, in ragione dei suoi 41 anni di esperienza da ingegnere idraulico e marittimo in giro per il mondo, gli era stato assegnato da Rina Consulting, aggiudicataria dell’appalto da 19 milioni di euro per il Pmc (Project Management Consulting) dell’opera (aggiudicazione annullata dal Tar e oggetto di appello in discussione a luglio). La cui prima fase (peraltro proprio un paio di giorni fa riaggiudicata a Rina Consulting dala locale Autorità di sistema portuale col placet di Progetti Europa & Global, la ricorrente che ha ottenuto l’annullamento) consiste proprio nel predisporre, sulla base del progetto di fattibilità tecnico economica (Pfte), la documentazione per il bando integrato per progetto definitivo, esecutivo e i lavori.
Silva non fornisce ulteriori commenti, ma il documento che ha prodotto (anche con fini propositivi, come vedremo) e che SHIPPING ITALY ha potuto consultare è eloquente e spiega chiaramente che le dimissioni sono state una scelta inevitabile, “verificata l’impossibilità di modificare significativamente il progetto del Pfte, in cui non credo”.
Le criticità individuate da Silva sono molteplici, dalla scelta del doppio canale alla “lunghezza della diga largamente sopradimensionata”, e comportano “problemi di fattibilità tecnica” a causa delle dimensioni fuori da ogni standard. Un concetto che l’ingegnere argomenta ma riassume anche in un paio di grafici di confronto con opere raffrontabili per la soluzione tecnica scelta:
Ma da un punto di vista tecnico preoccupano Silva anche “l’importanza dei volumi di rocce da cava necessari per creare l’imbasamento, nonché la logistica per il loro trasporto e versamento in sito”, dato che gli 11 milioni di tonnellate di rocce in questione arriveranno per lo più via mare e saranno stoccate (secondo il Pfte) su una porzione del terminal Psa di Pra’, con evidenti ricadute sull’accessibilità e sull’operatività dello scalo.
Una problematica aggirabile, secondo Silva, scegliendo altre soluzioni tecniche. Se non fosse che “il concetto costruttivo di cassone cellulare su imbasamento roccioso è imposto dal Capitolato e non soggetto a variante”. Nessuno, secondo quanto riferisce Silva, ha mai usato questa tecnica – che prevede sostanzialmente l’appoggio della diga su colonne ballastate (cioè zavorrate) conficcate sul fondale – per la lunghezza e alla profondità (anche 50 metri) previste nella Pfte genovese.
Con l’ulteriore enorme problema che i “sondaggi geotecnici hanno messo in luce la presenza di uno strato superficiale di limo argilloso, avente consistenza in pratica nulla e spessori variabili dai 5 ai 25 metri”. Cioè meno appropriati per il consolidamento dell’opera: “Applicare una tecnologia molto delicata e sperimentata a grande scala su fondali dell’ordine dei 30 metri a fondali di 20 metri più profondi, necessiterà la progettazione e la costruzione di macchinari speciali differenti, e non c’è attualmente alcuna garanzia sulla fattibilità tecnica – in costi e tempi ragionevoli – di tale operazione”. Come detto le alternative tecniche esisterebbero (compreso il dragaggio della porzione di limo argilloso), ma sono state scartate, anche perché l’iter burocratico, compresa la Via, è ormai stato istruito sulla base della Pfte.
Da qui la constatazione che per la diga (prima fase) ci vorranno “ottimisticamente 1.700 milioni di euro (e non i 950 previsti) e 132 mesi (e non 60)”, ma “più realisticamente, tenendo conto che è in pratica impossibile che tutto fili liscio per la totalità del cantiere in un progetto di tali dimensioni, ritengo che – posto e non concesso che il consolidamento geotecnico si riveli fattibile – ci vorranno almeno 2 miliardi di euro e 15 anni di lavori”.
La relazione, tuttavia, contiene però anche una pars costruens. Silva, cioè, spiega che l’attuale Pfte è di fatto una soluzione “No Diga”, ma che esiste una soluzione capace di garantire gli stessi atout previsti oggi (migliore accessibilità nautica e conseguente potenziale crescita dei traffici containeristici, previo potenziamento dell’accessibilità terrestre al porto di Sampierdarena) ma a condizioni di fattibilità. Una soluzione che Silva avrebbe approntato “insieme a un gruppo qualificato di attori portuali”.
Anche in questo caso, riconosciuto dallo stesso Silva che il suo “concetto” ribattezzato “diga giusta” (e risolutivo peraltro anche del problema dei depositi chimici a Ponte Somalia) deve molto al progetto Ix Machina di Guido Barbazza, la sintesi più efficace è quella di grafico e tabelle:
Le perplessità di Silva sono agli atti e, secondo quanto si è potuto apprendere, conosciute da Bucci e Signorini, ma le sue dimissioni fanno pensare che tornare indietro sia ormai quasi impossibile: “Percorrere una strada alternativa, caratterizzata da fattibilità tecnica sicura, costi e tempi molto inferiori – conclude Silva – vorrebbe certo dire perdere qualche anno e qualche milione. Meglio però che sprecarne 30 a qualche miliardo”.
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