Sull’Adriatico emergono opportunità per il futuro del maritime tourism
Quanto, come e perchè gli scali italiani rivolti a est stanno operando al di sotto delle proprie potenzialità nel settore traghetti e crociere
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Contributo a cura di Francesco di Cesare *
* presidente Risposte Turismo
L’Adriatico e il movimento passeggeri via mare hanno un legame secolare, un “pezzo” di Mediterraneo che ha visto spostarsi sulle proprie acque persone nel corso dei secoli per ragioni economiche, politiche, a volte belliche, ma altresì romantiche, e di esplorazione, di vacanza, di svago. L’Adriatico che ha avuto in Venezia una sorta di capitale di fatto, e certamente l’elemento di maggiore attrazione, non solo da un punto di vista storico-artistico.
Oggi, ma forse siamo più nel giusto scrivendo ieri e oggi, questo mare sta affrontando difficoltà di varie cause e tipologie, che ne hanno impedito un’affermazione piena, rispettosa delle proprie prerogative, sul fronte del maritime tourism. L’Adriatico infatti:
- ha faticato negli ultimi anni a mantenere, figuriamoci ad aumentare, dimensioni di traffico crocieristico di rilievo, esito senza dubbio da imputare all’annosa questione del porto di Venezia, con l’aggiunta di qualche altro elemento che non ha proprio favorito l’attrazione di questa tipologia di navi e relativi passeggeri. Basti pensare all’accessibilità aerea, non proprio di primissimo livello, con l’eccezione proprio di Venezia che però, nel frattempo, perdeva la sua centralità come home port dell’area; o a qualche, neanche poi timida, rimostranza verso gli effetti di questa forma di turismo da parte di rappresentanze della società civile – fatte proprie, o comunque interpretate, dalle locali amministrazioni pubbliche – in più di una destinazione, e, senza citare nuovamente Venezia, il riferimento potrebbe andare a Dubrovnik ; o all’annosa (almeno su sponda italiana) questione dei dragaggi nei porti che hanno limitato o ritardato la possibilità di accesso e approdo di alcune navi disponibili a sviluppare itinerari in Adriatico. E la pandemia ha inferto, come è noto, un duro colpo a tutte le destinazioni crocieristiche mondiali, ma l’Adriatico sembra faticare più delle altre a recuperare quanto perduto (a fine 2022, secondo le stime di Risposte Turismo, si dovrebbero registrare circa 3 milioni di movimenti passeggeri, ancora -49% sui dati del 2019, con tutte le altre aree del Mediterraneo a fare meglio, tra cui Mediterraneo Occidentale -33% e, nonostante le tensioni geopolitiche, Nord Europa, Atlantico e Mediterraneo Orientale tra -12 e -22%, sempre sui dati del 2019);
- ha visto, in particolare negli ultimi 10 anni, una stagnazione, o quasi, nell’assetto delle dinamiche ferry, con – a meno di qualche modifica non poi così impattante – le stesse compagnie, gli stessi porti e le stesse tratte a definirne la composizione. Se si torna indietro al 2013, il primo anno di realizzazione, da parte di Risposte Turismo, dell’Adriatic Sea Tourism Report, si contava a consuntivo per il 2012 un numero di movimenti passeggeri traghetti intorno ai 16 milioni, totale raggiunto sommando la frequenza a bordo sulle tratte transnazionali che allora erano 7 (con Bari e Ancona a contendersi, tra i porti, il primato dell’area anche allora) più i non trascurabili spostamenti tra isole anche all’interno dello stesso paese. Oggi non solo quel totale è rimasto pressoché inalterato, ma soprattutto ci sono state poche innovazioni nelle tratte e negli operatori presenti, se si esclude l’uscita dal mercato di alcuni di essi. Ma, se si vuole, quel totale movimenti passeggeri che oggi è sui livelli di dieci anni fa, nonostante lo stop pandemico, è emblematico dell’affidabilità del trasporto ferry rispetto ad altre forme di movimento nell’area (in primis quella aerea, pur al netto dei tempi di percorrenza e talvolta dal comfort di viaggio, sebbene su questo fronte alcuni armatori hanno investito molto in questi anni proprio per distinguersi con la concorrenza).
- non sembra riuscire da affermarsi, più di tanto, come destinazione di turismo nautico, nonostante una forte accelerazione negli investimenti e negli stimoli economici ed al consumo da parte di alcuni paesi della costa orientale (Croazia innanzitutto) ed un’offerta di marine, e loro servizi, piuttosto densa e, pur con spiccata differenziazione interna, sufficientemente attrezzata e completa. Dal punto di vista della domanda, e dunque della presenza di turisti della nautica, è sempre complesso fornire delle stime, per ragioni riconducibili ai diversi obblighi di notifica della propria presenza e dei propri spostamenti, ma quanto è stato possibile ricostruire in questi anni di lavoro per osservare anche questa parte del maritime tourism è che la durata media dei noleggi da charter nautici, le dimensioni dei gruppi che salgono a bordo, l’eterogeneità di origine della clientela e soprattutto i tassi di occupazione delle marine, non sono variati molto in questi anni. Le società di charter guardano certo con interesse a questo mare, ma gli investimenti dedicati – ad esempio quanto a centri di noleggio – non sembrano corrispondere all’interesse stesso. Le marine, come si scriveva, sono aumentate, ma contano prevalentemente su una clientela stanziale che non coincide certo con quanto può essere classificato come turismo nautico. Gli stessi operatori della distribuzione turistica non sembrano dedicarsi particolarmente a tale offerta e relativa fruizione.
Non sembra quindi azzardato poter affermare come il maritime tourism in Adriatico si presenti come sotto il suo potenziale: una considerazione che certo può essere letta in positivo, enfatizzando quindi le opportunità che potrebbero e potranno essere colte, ma nello stesso tempo una constatazione venata di rassegnazione, visto che negli anni poco è cambiato.
Ma dal momento che essere ottimisti non costa molto, è giusto propendere per la prima delle due opzioni e guardare ancora una volta – come certamente imprenditori, manager, professionisti e amministratori avranno fatto in passato e staranno facendo – a ciò che può essere deciso e realizzato per cambiare passo, magari puntando su alcune specificità, alcune eccellenze che potrebbero gettare sull’Adriatico una nuova positiva luce. Non sembra, però, questa eccellenza poter essere il contenimento degli impatti ambientali, la progressiva decarbonizzazione, se è vero che non v’è traccia di porto nel quale sia disponibile il cold ironing, così come una postazione di rifornimento navi alimentate LNG, gap certamente da colmare velocemente (e, per fortuna, investimenti in corso ve ne sono) per evitare di restare fuori dalla nuova geografia degli itinerari cruise e collegamenti ferry (ma anche, presto, dei movimenti dei grandi yacht) che si andrà a determinare.
Ma certo altri fattori non mancano, a cominciare dal patrimonio – infinito – paesaggistico, storico ed artistico che tutta la macroregione adriatica può vantare. Un patrimonio che va valorizzato e promosso meglio, e che deve essere reso accessibile da un punto di vista informativo e fisico. E qui il tema della mobilità diventa centrale, e su di essa bisognerà investire. Perché, infatti, l’attrattività dell’Adriatico come mare non può essere concepita fermandosi a quanto c’è lungo le coste (di per sé già significativo) ma va estesa al suo entroterra, rendendolo raggiungibile. Bisognerà lavorare sull’asse “mare-terra”, attivando o rendendo più fitti il dialogo e la collaborazione tra chi gestisce i traffici di maritime tourism, chi li accoglie nei porti o nelle marine, e chi è responsabile delle varie mete e destinazioni che possono aumentare e completare la motivazione e la soddisfazione del fare una vacanza in Adriatico. Un fronte di lavoro di cui beneficerebbero non solo la nautica e la crocieristica, ma anche i traghetti, la componente che spesso viene meno legata alla dimensione turistica, e molto più a quella di trasporto.
E poi, si scriveva, una accessibilità anche informativa. E qui la riflessione si sposta sul tema della promozione, tallone d’Achille del “sistema” Adriatico, se mai ve n’è uno. Al centro del progetto Adriatic Sea Forum, l’appuntamento internazionale sul maritime tourism lanciato da Risposte Turismo nel 2013, che giunge a Bari i prossimi 6 e 7 ottobre per la quinta edizione, vi è sempre stata la convinzione della necessità di promuovere e affermare il brand Adriatico, un obiettivo certamente ambizioso ma senz’altro alla portata, anche seguendo le orme di altre “regioni” che sono riuscite già da tempo ad affermarsi e promuoversi come tali (si pensi, tra le altre, ai Caraibi e al Baltico) e, dunque, come somma, o combinazione se si preferisce, delle varie mete e possibilità di scoperta e vacanza lì localizzate. Ma è un lavoro che richiede tempi lunghi, un orizzonte strategico certo non di corto respiro, e di conseguenza lungimiranza, visione, prospettiva, attitudini non sempre possedute da chi poi – in primis la parte pubblica – è chiamato in causa per avviare certe azioni.
Mobilità, accessibilità, promozione, valorizzazione dell’asse mare-terra, e, non ultimo, impegno nella riduzione degli impatti ambientali. Una crescita, ancorché lenta, quantitativa e qualitativa, del maritime tourism in Adriatico non può che passare da queste priorità.
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