Da Merk (Ocse) l’idea di un’aliquota fissa internazionale per le imposte dei liner
Il dibattito si è riacceso dopo la pubblicazione dei risultati delle compagnie marittime di trasporto container relativi al secondo trimestre 2022
Il tema dei profitti record delle compagnie marittime di trasporto container sta tornando al centro del dibattito nel settore dopo la pubblicazione dei nuovi eccezionali risultati relativi al secondo trimestre dell’anno. Maersk, ad esempio, ha riportato utili pari a 8,6 miliardi di dollari (circa 8,46 miliardi di euro), mentre per la collega Hapag Lloyd questi sono stati pari a 8,94 miliardi di dollari (8,7 miliardi di euro).
Per la verità, l’attacco frontale lanciato poche settimane fa da Joe Biden, l’avvicinarsi di una decisione da parte della Commissione Europea sull’eventuale ulteriore proroga del regime di esenzione dalla normativa antitrust standard (al riguardo Bruxelles ha anche lanciato una consultazione nei giorni scorsi), ma anche le analisi dell’Ocse che indicavano la fase del trasporto via mare come una delle cause maggiori dell’inflazione hanno fatto sì che questo non sia uscito dai radar nemmeno nei mesi scorsi.
Su Splash 24/7 il tema degli utili monstre delle compagnie però è stato ora nuovamente affrontato dal punto di vista delle imposte cui questi sono soggetti, ovvero per vedere come, in particolare in caso di presenza di un regime di tonnage tax, queste siano particolarmente basse, forse troppo.
In altre parole la testata, sulla base di una analisi di Sea-Intelligence, si è chiesta – o meglio, ha chiesto a due autorevoli osservatori del settore – se i livelli di tassazione cui sono sottoposti gli armatori delle navi portacontainer siano adeguati o meno considerando che, per tornare ai due esempi di prima, Maersk pagherà in relazione al secondo trimestre 2022 imposte per 164 milioni di dollari (1,8%) e Hapag Lloyd per 20,8 milioni (0,5%) e che, secondo stime di Blue Alpha Capital, quest’anno i profitti degli 11 liner più grandi ammonteranno complessivamente a 256 miliardi di dollari, il 73% in più rispetto al 2021.
Si tratta di un quesito già affrontato direttamente in Francia, dove alcuni rappresentanti politici nei mesi scorsi hanno ipotizzato di introdurre una tassazione del 25% sugli extraprofitti di liner e compagnie energetiche, suscitando la (scontata) reazione indignata del vertice di Cma Cgm Rodolphe Saadé, che poi nel tentativo di allontanare questa possibilità ha avviato una campagna di ‘sconti’ per le aziende del paese.
Secondo Olaf Merk, a capo dell’International Transport Forum dell’Ocse, uno dei due commentatori interpellati, la ratio alla base dell’introduzione della tonnage tax era quella di garantire agli armatori una certa prevedibilità della tassazione, considerando che nel settore i profitti erano stati per diverso tempo molto volatili. Questa considerazione non giustifica tuttavia però secondo l’analista il fatto che questo regime sia applicato con livelli di tassazione così bassi. Merck ha anche suggerito che la comunità internazionale possa trovare in materia un accordo per una aliquota fissa e condivisa tra diversi paesi, come del resto fatto recentemente per la minimum corporate tax rate (ovvero l’aliquota minima globale dell’imposta sulle società).
Diversa l’opinione di Lars Jensen, amministratore delegato di Vespucci Maritime, per il quale sul tema non può invece esserci una risposta ‘oggettiva’ dato che a modificare le condizioni di gioco nei diversi paesi non è solo la presenza o meno della tonnage tax ma anche altri elementi come sovvenzioni statali, requisiti di bandiera, accessibilità del credito e così via. Per Jensen in aggiunta un suo incremento o modifica potrebbe avere l’effetto di spingere gli armatori verso paesi dalle legislazioni più vantaggiose. Infine, a rendere poco utile una revisione dei regimi di tassazione per i liner è la tendenza verso un ritorno dei noli container a livelli più bassi, che rischia di rendere poco utile l’avvio di una revisione della normativa in materia.
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