L’associazione di caricatori americana U Shippers chiede i danni (180 Mln $) a Maersk
Denunciati alla Federal maritime Commission accordi non onorati per indurre i clienti ad acquistare noli spot
Dopo iniziative simili portate avanti da singole aziende, è ora una associazione di caricatori, chiamata U Shippers, ad avere depositato un reclamo ufficiale presso la Fmc (Federal Maritime Commission, agenzia governativa statunitense incaricata di vigilare sul mercato del trasporto via mare) nei confronti di un carrier, ovvero Maersk.
L’accusa, presentata lo scorso 30 agosto, ruota attorno a un comportamento già segnalato anche in Italia ad esempio da Fedespedi. Nel 2020 la federazione, per voce dell’allora vicepresidente e vertice del Maritime advisory body, Andrea Scarpa, aveva denunciato come “certe compagnie” avessero cancellato “i contratti che avevano in atto, e non solamente alle aziende di spedizioni medio-piccole” con l’obiettivo di spostare la clientela verso il più redditizio spot booking.
Lo stesso tipo di condotta che U Shippers lamenta ora essere stata messa in atto in particolare da Maersk (generando ai suoi associati extra-costi per circa 180 milioni di dollari) e che già era finita al centro di accuse mosse da varie aziende nei confronti di Yang Ming, Msc e Cosco già denunciate alla Fmc.
Più nel dettaglio nel reclamo alla Federal Maritime Commission, U Shippers – che spiega di avere siglato nel giugno 2020 con il gruppo danese un accordo esclusivo della durata di due anni per l’utilizzo di un sistema di prenotazione chiamato Twill – sostiene che la compagnia avrebbe poi negato parte dei volumi concordati, puntando non solo a far acquistare spazi con noli spot ma anche ad allocare spazi a singoli membri di U Shippers o associazioni di altri caricatori.
Secondo alcuni commentatori peraltro il varo lo scorso giugno della riforma bipartisan Ocean Shipping Reform Act, che ha lo scopo di contrastare in generale le criticità nel trasporto via mare di container, si pone come obiettivo specifico anche quello di impedire ai vettori di ridurre in “modo irragionevole” la capacità di stiva messa a disposizione del mercato statunitense.
Pratiche come quella di cui è ora accusata Maersk, come accennato sopra, sono state al centro anche di due reclami presentati tra gli altri contro Yang Ming, Msc e Cosco. La società di arredamento Achim Importing, di base in New Jersey, ha raggiunto recentemente un accordo (i cui termini non sono stati resi noti) con la compagnia taiwanese riguardo un caso simile. In particolare Achim lamentava di avere siglato con Yang Ming un accordo per il trasporto di 200 container tra Cina e Usa nel periodo compreso tra il maggio 2020 e l’aprile 2021. Secondo l’azienda sarebbero stati però solo 31 i container trasportarti nell’ambito del contratto, cosa che l’ha costretta ad acquistare sul mercato spot i noli per la spedizione dei restanti 169, con costi extra per 1,3 milioni di dollari.
Secondo Container News un reclamo dello stesso tenore (che includeva anche accuse di collusione, poi fatte cadere) era stato presentato alla Fmc lo scorso maggio congiuntamente nei confronti di Yang Ming e Hmm anche da Msrf, un importatore di prodotti gastronomici dell’Illinois, secondo il quale la condotta delle due compagnie aveva portato all’acquisto di noli spot con costi aggiuntivi di 2,2 milioni di dollari.
Nel luglio 2021, un’azienda di arredamento statunitense, Mcs, aveva inoltre presentato una denuncia dello stesso genere nei confronti di Msc e Cosco. L’azienda ha trovato un accordo con la compagnia cinese, mentre sarebbe ancora senza esito la causa intentata contro con la collega svizzera.
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