A Taranto ultimatum di Prete per il dragaggio del Molo Polisettoriale
La Commissione bicamerale d’inchiesta ambientale intanto attenziona la tenuta della vasca di colmata e ventila l’interessamento della Magistratura
Conclusa la gara nel 2014 e stipulato il contratto nel febbraio 2015, la realizzazione della vasca di colmata e il dragaggio di 2,3 milioni di metri cubi di fanghi necessario a portare a 16,5 metri di profondità i fondali del Molo Polisettoriale di Taranto (il terminal container), commissionati dalla locale Autorità di Sistema Portuale ad Astaldi, avrebbero dovuto richiedere meno di anno, ma nell’autunno del 2022 la fine lavori appare ancora lontana.
Tanto che, secondo quanto appreso da SHIPPING ITALY, pochi giorni fa il presidente della locale Autorità di sistema portuale, Sergio Prete (per la bisogna dotato anche di poteri commissariali), a seguito di una riunione tenutasi il 13 ottobre, ha inviato all’appaltatore (intanto divenuto Partecipazioni Italia, con passaggio nell’orbita di Webuild) una concisa comunicazione per invitarlo “a porre in essere tutte le necessarie attività e/o azioni finalizzate a dare concreto avvio, entro e non oltre 60 giorni dal ricevimento della presente, alle operazioni di dragaggio, preavvertendolo che, decorso inutilmente il suindicato termine, saranno assunte le conseguenziali determinazioni commissariali”.
Né la port authority né Partecipazioni Italiane hanno rilasciato al nostro giornale informazioni e dichiarazioni alla richiesta di chiarimenti.
Quel che è certo – lo si evince dalle numerose determine prodotte a partire dal febbraio 2021 dal Collegio Consultivo Tecnico (Cct), organo introdotto dal Decreto Semplificazioni per tentare di facilitare le controversie fra stazioni appaltanti e appaltatori, e dalla nomina, a maggio scorso, di un consulente legale, Maria Cristina Lenoci, per le “particolari criticità che si sono presentate durante l’esecuzione dei contratti” – è che il rapporto fra le due si è fatto via via più critico.
Alla fine del febbraio 2021 il Cct, riconoscendo all’appaltatore riserve per 12 milioni di euro (su una richiesta di oltre 60, per un appalto che ne doveva costare 59), impose alle parti la sottoscrizione di un atto transattivo che avrebbe dovuto portare a terminare il grosso del dragaggio entro la fine del 2021 e a completarlo entro fine giugno 2022. Se la vasca di colmata è stata nel mentre terminata (o almeno, come vedremo, così la considera l’appaltatore), l’escavo non è però ancora cominciato.
In un contesto da un punto di vista tecnico estremamente complesso e articolato di rimpallo di responsabilità, le problematiche principali emerse da allora sono almeno quattro. In ordine cronologico inverso, ad osteggiare l’avvio del dragaggio ci sarebbero la perplessità della Capitaneria in merito alle modalità dell’escavo prescelte e la richiesta di Arpa Puglia di procedere a un approfondimento delle caratterizzazioni.
Non va poi dimenticato come ad alimentare il ritardo sia stata, nell’estate 2021, la “scadenza della validità del decreto Via non tempestivamente oggetto di istanza di rinnovo” e la conseguente sospensione dei lavori fino al riottenimento dell’autorizzazione, nel marzo del 2022. Parzialmente connesso a questa criticità – nel senso che la nuova autorizzazione è stata rilasciata senza in realtà che la problematica fosse nel frattempo affrontata e risolta – c’è quella relativa alla dubbia tenuta, nella parte a mare, della vasca di colmata.
Un problema rilevato dal Rup, responsabile unico della procedura (non conformità numero 18), con la richiesta di elaborazione di un progetto risolutivo che Partecipazioni Italia non avrebbe sottoposto alle necessarie validazioni. Tanto che nel luglio scorso – si legge nella relazione depositata in Senato meno di un mese fa dalla Commissione bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti in merito a un’inchiesta relativa al territorio tarantino – il collaudatore dell’opera “ha informato la Commissione che l’opera si stava realizzando in grave difformità rispetto al progetto approvato, e che ciò avrebbe comportato grossi rischi di tenuta dei fanghi all’interno della colmata. Il Collaudatore, a causa di tali difformità, non avrebbe proceduto al collaudo, a meno di efficace rimedio”.
Descritto il rischio “sia di sicurezza e sia di inquinamento per la fuoruscita dei fanghi”, i membri della commissione concludevano – evidente auspicio, dato l’intervenuto termine della legislatura, rivolto ai successori – rimarcando la necessità di formalizzare “le dichiarazioni spontanee del Collaudatore” e che, “se del caso, data la gravità della situazione, la Magistratura debba esserne interessata”.
Malgrado tutto ciò e malgrado non siano mai state chiarite le ragioni della mancata risoluzione di un appalto in ritardo di circa 6 anni, Prete, rimandando l’intoppo del collaudo ‘rifiutato’ all’eventuale avvenuta esecuzione dei lavori, ha intimato a Partecipazioni Italia il summenzionato ultimatum.
Merita ricordare in proposito che, per quanto l’Adsp non abbia mai resi noti i dettagli del piano d’impresa e della concessione con il San Cataldo Container Terminal, l’effettuazione da parte dell’ente del dragaggio è uno dei cardini degli accordi di revisione del rapporto contrattuale presi pochi mesi fa col concessionario del terminal, ovvero il gruppo turco Yildirim. Il predecessore, Taranto Container Terminal, poté nel 2016 rescindere la concessione e lasciare a casa 500 addetti proprio per l’inadempienza dell’ente nell’effettuazione del dragaggio.
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER QUOTIDIANA GRATUITA DI SHIPPING ITALY