Porto Petroli ancora vittoriosa contro l’Art
I terminal petroliferi non sono tenuti al pagamento del contributo di funzionamento del Garante perché non assimilabili agli altri terminalisti portuali né ad altri operatori del trasporto
Confermando l’orientamento assunto nel novembre 2020, il Tar di Torino ha nuovamente sentenziato che i terminal petroliferi non possono essere assoggettati al pagamento del contributo annuale preteso dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti.
Ancora in attesa di appello quella sentenza sfavorevole ad Art, infatti, due anni dopo la genovese Porto Petroli ha nuovamente adito con successo il Tribunale amministrativo del Piemonte per contestare il fatto che il garante le avesse chiesto il pagamento del contributo per il 2021, senza nemmeno specificare in ragione di quale qualificazione, cosa che, scrive il Tar, “basterebbe a pronunciare l’annullamento dell’impugnata nota che non consente obiettivamente, così come redatta, alla ricorrente di comprendere in virtù di quale qualificazione le viene accollato il debito”.
Ma i giudici sono andati oltre. Con un’articolata dissertazione hanno dapprima dato una definizione di terminalista (categoria soggetta al pagamento e entro la quale poteva ritenersi che Art volesse inquadrare Porto Petroli), un “privato beneficiario del provvedimento di concessione di aree e banchine del demanio portuale e del provvedimento di autorizzazione a svolgere operazioni portuali, che gestisce professionalmente un terminale marittimo e si rende responsabile nei confronti dell’utenza dell’intero ciclo dei servizi prodotti”.
E poi hanno sentenziato come tale qualifica a Porto Petroli non possa essere attribuita “per il solo fatto di essere concessionaria di una area del porto, astrattamente riconducibile ad un terminal ma che, come sopra evidenziato, viene di fatto utilizzato per lo svolgimento di operazioni del tutto assimilabili a quelle tipiche di un deposito/stabilimento costiero di cui all’art. 52 cod. nav.”. Non solo, perché “l’attività di movimentazione del prodotto, oltre il corretto scarico dalla nave, non risulta pacificamente riconducibile alla ricorrente che, per il suo inquadramento nell’ambito dei gestori di infrastrutture energetiche, risulta anche inquadrata nell’ambito di regolazione di altra Autorità” (Arera).
Concetti raccolti e ribaditi nell’efficace sintesi conclusiva: “In altri termini l’imposizione è legata alle attività concretamente svolte dai soggetti i quali, pertanto, non possono essere tenuti al pagamento del tributo per il solo fatto di essere titolari (o “concessionari”) di infrastrutture, necessitando altresì che gli stessi operino nel settore dei trasporti, e come tali siano regolati o beneficiari della regolazione, e quindi svolgano attività pienamente (e non accessoriamente o occasionalmente) riconducibili al trasporto. E’ evidente che, per come ricostruita l’attività della ricorrente ed esclusane la riconducibilità all’attività di terminalista, l’attività che si caratterizza lato sensu per la sua attinenza alle infrastrutture energetiche non è riconducibile ad un trasporto (come evidenziato anche la logistica secondaria di trasferimento degli idrocarburi all’esterno del porto è curato da terzi) se non accogliendo un concetto di trasporto talmente lato che potrebbe portare ad includervi qualsiasi deposito di idrocarburi o rete del gas”.
A.M.
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