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Rossi (Assarmatori): “Le azioni per salvaguardare il trasporto marittimo nazionale”
Secondo l’esperto legale dello studio Nctm prima di riformare il Codice della Navigazione ci sono una serie di interventi urgenti da affrontare
Contributo a cura di avv. Alberto Rossi *
* segretario generale Assarmatori e partner dello studio legale Advant Nctm
Non c’è solo il Codice della Navigazione da rifondare.
Le azioni per salvaguardare il trasporto marittimo nazionale
L’anno in corso marca l’ottantesimo compleanno del nostro codice della navigazione. Ho partecipato volentieri, da giurista e da rappresentante del cluster armatoriale, alle relative celebrazioni, ben articolate e frequentate. Non v’è dubbio che l’impianto regolatorio del settore del trasporto marittimo e della portualità è oggi ben più complesso e articolato rispetto soltanto a trent’anni orsono. Concordo con chi ne chiede un aggiornamento, anche e soprattutto perché la modernità lo impone. Sono tuttavia scettico circa la progettualità proposta da coloro che invocano una costituente in grado di trasformare il nostro codice in uno strumento a tutto tondo perché ciò vorrebbe dire anni di approfondimenti e dibattiti senza alcuna garanzia che la nave possa mai approdare in un porto sicuro. Sento più urgente il bisogno di creare la necessaria consapevolezza che l’esistente impianto normativo e regolamentare rappresenta già un ottimo strumento per far progredire il nostro settore. Piuttosto, se si vuole proteggere meglio il comparto, dovremo attivarci tutti per affrontare le sfide che la digitalizzazione, la globalizzazione la competitività dei mercati e infine l’Europa e l’IMO ci hanno messo davanti.
Provo a menzionare le azioni più importanti e urgenti consapevole che ve ne sono molte altre che per ragioni di brevità debbo omettere.
Il comparto ha, in primis, bisogno di una capillare semplificazione burocratica che ben può essere conseguita con interventi manutentivi a zero costi per l’erario. Nessuna rivoluzione, nessuna erosione di competenze, bensì un mero allineamento a quanto accade in altri contesti europei. Le proposte, peraltro bipartisan, sono sul tavolo del Legislatore e dell’Amministrazione da tempo. Non serve fare tavoli. Serve una proposta legislativa da parte del Governo. Il Parlamento farà senz’altro la sua parte. Se si seguirà questa via chi si oppone dovrà alzare la mano e dire il perché. La nostra legge portuale non ha bisogno di una nuova riforma. Ciò non vuol dire che non si debbano fare alcuni correttivi ma, in un contesto in cui la più importante delle riforme del 2016, la centralizzazione delle scelte dei programmi delle singole AdSP, non è mai stata attuata, parlare della necessità di una riforma sembra un mero tentativo di rinunciare, per l’ennesima volta, ad attuare quello che c’è. Nel regolamento concessioni manca un serio regime di sanzione per chi si rende inadempiente rispetto al proprio piano di impresa e si tollera ancora che la proprietà dei concessionari possa essere attribuita a fondi speculativi che entrano ed escono dall’equity senza portare a termine gli impegni assunti al momento della concessione.
V’è l’attesa per la sentenza della Corte di Giustizia che si pronuncerà sulla natura giuridica delle attività delle AdSP. Questo sarà un momento importantissimo, nel quale il cluster non si dovrà dividere. Non dovremo discutere di trasformare le Autorità di Sistema Portuale in S.p.A., dovremo più semplicemente cercare di non buttare via il bambino con l’acqua sporca, mantenendo l’operatività delle Port Authorities, rendendole tuttavia più rispettose della concorrenza per il mercato ma senza pericolose rivoluzioni copernicane che nessuno si auspica.
La Legge n. 30/98 che detta le regole per gli aiuti di Stato al trasporto marittimo esercitato dalle imprese italiane, strumento che ha scongiurato la delocalizzazione delle imprese marittime nel contesto davvero critico per quel comparto degli anni ‘80 e ‘90, attende i suoi decreti attuativi per dare esecuzione agli impegni assunti con la Commissione europea. Qui il Governo ha lavorato bene e sono confidente che si arriverà a dotare gli armatori italiani dei necessari strumenti competitivi in un tempo ragionevole.
Dobbiamo misurarci con la recente iniziativa della Autorità di Regolazione dei Trasporti che ha dato il via a una nuova consultazione in merito all’accesso alle infrastrutture portuali che anticipa un lavoro regolatorio che si prevede estremamente dettagliato. Sarà importante usare la regolazione in maniera efficiente, utile e non ostativa delle esigenze di mantenimento e di sviluppo della nostra attività. Il mercato ha bisogno di regole certe ma deve evitare di essere compresso da un impianto regolatorio poco chiaro e farraginoso che aumenterebbe le inefficienze e il contenzioso disincentivando gli investimenti stranieri. Occorre che sia integralmente rispettato il Regolamento (UE) n. 352/2017 che abbiamo imparato a conoscere per la regolazione dei servizi portuali, in particolar modo per la loro tariffazione, ma che regola anche la maggior parte delle attività portuali e impegna le Amministrazioni a decisi cambi di paradigma. Parimenti è necessario che si rispetti il Regolamento (UE) n. 1084/2017 che, al suo articolo 56-ter, detta le regole che conciliano le scelte di infrastrutturazione delle opere portuali da parte delle AdSP con quelle vigenti in materia di aiuti di Stato. Trattasi di una delle norme meno conosciute e più violate e ciò la dice lunga sulla quantità di strada che occorre ancora fare per realizzare un ambiente competitivo nei nostri porti. Occorre dare attuazione al D. Lgs n. 71/ 2015 che consente, sulla base di una direttiva europea, di applicare disposizioni più favorevoli ai lavoratori marittimi che prestano servizio a bordo di navi adibite esclusivamente alla navigazione costiera. La crisi occupazionale al contrario (posto che non si trovano marittimi da imbarcare), si combatte anche riducendo il carico dei certificati idonei a navigazioni oceaniche ma imposti a chi lavora in contesti infra regionali e talvolta comunali.
Potrei andare avanti per molto ma mi fermo qui auspicando di aver convinto il lettore che, prima di affrontare l’epica opera di modifica del codice occorre, con spirito di servizio e spogliandoci dei noti e consolidatissimi conflitti di interesse, applicare le norme esistenti perché grandi sarebbero i risultati.
Infine c’è l’Europa, con il suo illuminismo ambientale a cui fa eco l’Imo. Partiamo da quest’ultimo. Dal prossimo 1° gennaio entrerà in vigore il Carbon Intensity Indicator (CII) che impatterà in modo dirompente sull’industria marittima nazionale, soprattutto nel settore dei traghetti dove noi siamo tra i leader mondiali per carico e passeggeri trasportati oltre che per numero di navi impegnate sia nel corto che nel lungo raggio. La metrica adottata, in modo apparentemente superficiale, non tiene in debito conto la sosta in rada o in banchina e deve essere revisionata. Sul principio siamo tutti d’accordo. Sarà uno sforzo che dovremo fare con l’Amministrazione nell’interesse del Paese posto che non possiamo correre il rischio che, già nel 2025, molte delle navi impegnate nei collegamenti marittimi a servizio del Paese non possano essere più utilizzate. L’infrastruttura del Paese è a rischio, dobbiamo agire.
V’è infine il tema, oramai arcinoto, del pacchetto proposto l’anno scorso dalla Commissione detto pomposamente Fit for 55. La FuelEU, l’ETS, l’ETD sono regole che entreranno in vigore prossimamente e che saranno sicuramente impattanti sul costo dei servizi soprattutto resi alle comunità insulari e alle cd. autostrade del mare. Il Trilogo europeo si sta consumando a Bruxelles dove si discute del futuro di servizi cruciali per il Paese mentre in Patria si preferisce discutere di come portare a casa un sostegno nella prossima legge finanziaria. Azioni meritorie e assolutamente necessarie visto il contesto di permanente emergenza in cui viviamo da tre anni ma che dimostrano la poca visione del nostro ambiente.
E’ giunta l’ora che il settore si sprovincializzi e provi a ragionare in modo olistico cominciando a comprendere che la regolazione europea e internazionale è la più insidiosa. Abbiamo l’abitudine di subire le scelte europee senza neppure aver fatto una seria analisi preventiva degli effetti associati a esse e ci preoccupiamo solo a posteriori, quando è già troppo tardi. Cosa dobbiamo fare subito? Dobbiamo definire e applicare regole chiare che incentivino i migliori e penalizzino chi sbaglia o fallisce gli obiettivi del mercato. Dobbiamo cambiare con urgenza la metrica del CII dell’IMO e ammortizzare, per quanto sarà possibile, la proposta del Fit for 55 nel settore dei trasporti con le isole e nelle Autostrade del Mare, il tutto per evitare gli impatti negativi sulle popolazioni insulari e buttare al vento venti anni di sostegno allo shift modale. Dobbiamo avviare una seria opera di semplificazione e sburocratizzazione del codice e non solo per rendere la nostra bandiera competitiva anche riportando i marittimi possibilmente italiani a bordo delle nostre navi. Dobbiamo infine rispettare le norme che ci sono senza se e senza ma.
Poi, quando avremo fatto almeno questo, ci siederemo al tavolo per parlare del nuovo codice della navigazione con la necessaria serenità e consapevoli che avremo, almeno per qualche tempo, messo in sicurezza il lavoro del mare.