Barbera: “Intervenire sulle urgenze affinché non si tramutino in allarmi”
Contributo a firma del presidente dell’associazione dei terminal portuali Uniport
(Questo articolo rientra fra i contenuti pubblicati all’interno dell’inserto “Un anno di SHIPPING in ITALY” – Edizione 2022 – CLICCA e LEGGI)
Contributo a cura di Federico Barbera *
* presidente Uniport
Un anno in forte chiaroscuro. Volendolo rappresentare in una battuta, così ritengo si possa definire l’anno che si avvia a chiusura dal punto di vista degli operatori e terminalisti portuali e dei porti in genere.
Iniziato con la prospettiva del definitivo superamento (pur se non per tutte le categorie di traffici, crocieristica in primis) di un biennio “buio” segnato dalla pandemia, ma anche dalla chiara dimostrazione che il sistema logistico nel suo complesso e i porti con i loro sistemi di imprese avevano assicurato la continuità del sistema Paese, già nei primi mesi il 2022 non solo ha dovuto ancora tenere conto dei postumi della pandemia e ancor di più si è trovato ad affrontare l’impatto e le conseguenze di un nuovo evento imprevedibile: il conflitto russo-ucraino.
Un evento che in termini di volumi di massima non ha provocato sconvolgimenti sull’intero sistema dei porti nazionali quanto piuttosto effetti differenziati, come conseguenza scontata della diversa localizzazione e della tipologia di traffici e prodotti tradizionalmente facenti capo a un porto piuttosto che ad altro. Ricadute più negative si sono avvertite sul versante Adriatico; flessione di traffici di rinfuse secche (granaglie e materiali da costruzione anzitutto), ma impatti che, sempre considerando solo i volumi, per la gran parte sono stati riassorbiti da modifiche dei flussi di traffico delle merci provenienti tradizionalmente dall’area del Mar Nero, che però ha inciso sulla maggior lunghezza delle rotte percorse da quelle merci e dal tendenziale vantaggio di avvalersi su quelle tratte di naviglio di maggiori capacità.
Un evento, il conflitto generato dall’attacco della Russia, con impatti ancor più negativi della pandemia sotto i profili dei costi, dell’andamento di macro-variabili quali i tassi di inflazione o le prospettive di crescita, poiché effetti non contingenti, non destinati a essere riassorbiti nel breve-brevissimo periodo. Piuttosto impatti destinati a far avvertire il loro effetto nel medio-lungo periodo.
Penso soprattutto, esemplificando con argomenti che interessano direttamente gli operatori e i terminalisti portuali, alle conseguenze sul costo del lavoro che indurrà il ritorno a tassi di inflazione “a due cifre” proprio nell’anno – il 2023 – in cui si avvierà il confronto per il rinnovo del CCNL dei lavoratori dei porti.
Mi riferisco all’incremento atteso dei canoni di concessione per il prossimo anno; nel 2022, a fronte di un’inflazione tra il 5 e il 5,3%, i canoni sono aumentati di più dell’8%: quanto dobbiamo attenderci per il 2023? Il rischio (invero concreto, purtroppo) è che nell’arco di 4 anni ogni concessionario finirà per pagare cinque volte il canone del 2021!
Ho in mente, ancora, i costi dell’energia e mi chiedo se possano considerarsi sufficienti le misure fin qui messe in campo, mirate anzitutto ad attività tipicamente di produzione di beni, ma forse sottovalutando quanto la logistica e il segmento portuale, che ne è componente essenziale, sia funzionale alla vocazione produttiva manifatturiera del Paese, ai collegamenti marittimi di breve e medio raggio alternativi al tutto-strada (ovvero a obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale), ad attività crocieristiche che vedono l’Italia tra le eccellenze non solo europee o mediterranee.
Penso infine, ma non in ultimo, agli incrementi dei costi del settore delle costruzioni che rischiano di mettere in dubbio la realizzazione, anche di opere necessarie per l’adeguamento dei nostri scali marittimi o addirittura di interventi tra quelli previsti nel PNRR e nel PNC; interventi che devono essere realizzati in tempi contenuti che non hanno precedenti nell’esperienza dell’Italia, con il rischio di perdere le risorse dell’UE in caso di mancato rispetto delle tempistiche fissate da Bruxelles.
Partendo dall’oggettiva percezione del livello dei problemi da affrontare, da un contesto politico istituzionale nuovo che può traguardare i tempi di un’intera legislatura e dalla consapevolezza che sono necessari in egual misura interventi urgenti ma anche azioni intese a permettere al sistema delle imprese di programmare in un’ottica di più lungo periodo (presupposto di uno sviluppo vero, di nuovi e maggiori investimenti, di occupazione), le imprese terminalistiche non solo chiedono di intervenire sulle urgenze affinché non si tramutino in “allarmi” (a partire dal contenimento dei costi delle concessioni e dei costi dell’energia) ma propongono alle istituzioni, agli altri attori del ciclo logistico, alle rappresentanze dei lavoratori il confronto su temi di sistema e di prospettiva: il lavoro e, in particolare, aspetti quali la formazione e la qualificazione intesi come strumenti funzionali al miglioramento delle capacità competitiva dell’impresa; la semplificazione non per rimuovere adempimenti e verifiche effettivamente necessarie, ma per evitare duplicazioni che si traducono in aggravi inutili e impedimenti ingiustificati per le imprese o in allungamento dei tempi incoerenti e incompatibili con un settore evolutivo e dinamico come quello della logistica ma anche in sovraccosti per la pubblica amministrazione; lo sviluppo sostenibile, ovvero non tanto un’immobile conservazione quanto piuttosto in una dinamica combinazione di sviluppo economico, tutela delle risorse naturali e benessere sociale.
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