“Enfasi eccessiva sul piano degli investimenti nel regolamento concessioni”
Secondo Fabrizio Vettosi il documento presenta alcune criticità. Dubbi anche sul rischio che l’obbligo di spazi per i 16 sia il viatico ad anticoncorrenziali concessioni de facto
Come era prevedibile dopo un’attesa durata quasi trent’anni, l’emanazione del cosiddetto regolamento concessioni, il decreto attuativo del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Ministro dell’Economia e delle Finanze che d’ora innanzi disciplinerà la condotta delle Autorità di Sistema Portuale e delle Autorità Marittime nei confronti di concessioni, concessionari e aspiranti tali, ha dato la stura ad una ridda di commenti e valutazioni su quanto c’è e quanto non c’è nel provvedimento.
Queste le autorevoli considerazioni, articolo per articolo, di Fabrizio Vettosi, managing director di Vsl Club Spa e presidente del gruppo di lavoro ‘Shipping Finance’ dell’European Community Shipowners Association (Ecsa):
Art. 2.3.d : Viene citata l’espressione “equa remunerazione del capitale investito”: è un concetto generico che dovrebbe far riferimento a criteri oggettivi, a mio avviso ciò potrebbe essere propedeutico per una circolare che fissi dei termini definiti di remunerazione, facendo riferimento al “capitale di rischio” (equity) al momento del rilascio della concessione e rappresentato da una base free risk (Titoli di emittenti pubblici: ad es. Btp) e un premio di rischio per investimenti infrastrutturali rilevato da indici oggettivi di mercato;
Art. 2.3.g.2: Mi sembra che vi sia una ossessiva attenzione all’aspetto valutativo connesso al Piano di Investimenti, come se ciò fosse l’elemento maggiormente discriminante in sede valutativa; il Regolamento è fortemente influenzato dalla normativa relativa al Codice Appalti che mal si presta a mio avviso alla materia portuale. Con riferimento al presente articolo ci si domanda quale sia la motivazione che porti ad una disciplina diversa a seconda se la durata della concessione sia maggiore o minore dei 4 anni. Nel primo caso si richiede l’asseverazione conforme alla disciplina dei contratti pubblici (asseverazione da parte di una banca o di un intermediario iscritto all’albo dei medesimi e controllato da una banca, si sottolinea la coesistenza in questo caso di entrambe le condizioni); nel secondo caso, invece, si fa riferimento al “piano finanziario” asseverato da parte di un “professionista iscritto al pertinente albo professionale”; non è dato sapersi quale sia il riferimento al suddetto “pertinente” albo. Aggiungo che l’attribuzione della prerogativa di asseverabilità da parte di un Istituto di Credito (o società da esso controllata) potrebbe prestarsi a profili di conflitto d’interessi laddove lo stesso Istituto sia un finanziatore del terminalista stesso o si impegni a supportare il “Piano”. Si sarebbe potuto eliminare ogni forma di dubbio e conflitto individuando, quale profilo ammissibile per il rilascio dell’asseverazione del piano, indipendentemente dalla durata della concessione, il criterio di selezione prevista per l’asseverazione dei Pef ai sensi dell’art. 67 o 182 della L.F.;
Art. 2.4: Anche in questo articolo viene posta l’enfasi sui “piani di investimento” quale elemento prevalente e dirimente ai fini della definizione dei parametri valutativi, dimenticando che ci sono segmenti dell’attività terminalistica che sono meno capital intensive (v. crociere e passeggeri) in cui l’elemento valutativo centrale non può essere rappresentato solo dagli investimenti in capitale fisso;
Art. 2.4.c: L’aspetto relativo alla struttura del capitale utilizzato (finanziamento Pubblico e Privato) non può essere oggetto di valutazione in quanto strettamente pertinente alle decisioni imprenditoriali assunte dal candidato concessionario;
Art. 2.4.d: Il giudizio basato sulle prospettive di utilizzo della modalità ferroviaria non è corretto in quanto dipendente da volontà e fattori non governabili dal potenziale concessionario. In particolare molto spesso abbiamo assistito a ritardi o assenza degli adeguati investimenti infrastrutturali che hanno fortemente minato la realizzabilità del piano anche oltre la volontà del concessionario;
Art. 2.6: L’obbligo di rendere adeguatamente disponibili spazi destinati agli operatori portuali (art. 16) dovrebbe essere ponderata in base alla rilevanza dimensionale dei porti al fine di evitare l’abuso di utilizzo di aree a disposizione con il rischio che le stesse vengano abitualmente occupate con forme di concessione de facto ma senza la corresponsione del relativo canone e con relativo nocumento economico per l’Autorità Pubblica;
Art. 6.2: Anche su questo punto sembra darsi valore preponderante all’aspetto concernente gli investimenti ai fini della valutazione della richiesta di estensione;
Art. 7.3: Si dovrebbe contemplare anche la disciplina degli accordi parasociali che a volte possono determinare significativi impatti sulla governance aziendale. Su tale punto è da sottolineare, unicamente a quanto già evidenziato da altri autorevoli commentatori, che la previsione di un doppio (se non triplo) livello autorizzativo, che va a sommarsi a quanto già previsto dal Codice della Navigazione, potrebbe creare un’attenuazione dell’appetibilità da parte di investitori istituzionali verso forme di investimento in attività terminalistiche nel nostro Paese, generando un impatto negativo sui valori e sui prezzi;
Art. 8.3: Forse andrebbe reso più chiaro il testo, in quanto non si comprende se l’indennizzo si riferisca a tutti i beni, come sarebbe logico, o unicamente agli investimenti aggiuntivi.
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