I “nuovi” strumenti per l’efficientamento energetico e la sostenibilità ambientale dei porti
Spunti di riflessione a valle dell’adozione del D.M. attuativo dell’art. 18 della l. n. 84/1994
Contributo a cura di avv. Andrea Bergamino *
* Associate – studio Deloitte Legal
Il tanto atteso regolamento attuativo dell’art. 18 della l. n. 84/1994, adottato con decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti («MIT») n. 419 del 28 dicembre 2022, costituisce uno strumento ricognitivo snello, ma completo, delle best practices sviluppate negli ultimi venticinque anni dalle Autorità di Sistema Portuale («AdSP») italiane con riferimento sia alle procedure di assegnazione e rinnovo delle concessioni demaniali marittime rilasciate per l’esercizio di attività terminalistica, sia alla fase esecutiva del rapporto concessorio.
Ponendosi in linea con gli obiettivi del Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza e in coerenza con gli strumenti di pianificazione strategica del settore, il decreto conferma la centralità dell’esigenza di un sviluppo sempre più efficiente e sostenibile dell’attività d’impresa svolta nei porti italiani, identificando i «principi … di tutela dell’ambiente e di efficientamento energetico» quali parametri necessari da tenere in considerazione per il rilascio di concessioni demaniali marittime ai sensi dell’art. 18 della l. n. 84/1994 (v. l’art. 2, comma 1, del D.M. in questione).
La particolare attenzione prestata dal MIT alla tematica qui in discussione si evince inoltre da ulteriori disposizioni del nuovo regolamento, che occorre guardare più da vicino per poi cercare di trarre qualche riflessione preliminare sul tema.
Innanzitutto, attraverso un puntuale rinvio alle rilevanti disposizioni della l. n. 84/1994, il D.M. è chiaro nell’evidenziare che le procedure e i principi in esame trovano applicazione non solo alle concessioni di piazzali e banchine tipicamente asservite ad attività cd. “terminalistiche” (i.e. operazioni e servizi portuali ai sensi dell’art. 16 della stessa l. n. 84/1994), ma anche alle concessioni (i) per l’impianto e l’esercizio di depositi costieri di sostanze infiammabili, «dichiarati strategici ai sensi della legge 23 agosto 2004, n. 239» e menzionati al comma 5 dell’art. 18 l. n. 84/1994; (ii) per l’esercizio di depositi e stabilimenti di prodotti petroliferi e chimici allo stato liquido, nonché di altri prodotti affini, siti in ambito portuale e richiamati al comma 12 dello stesso art. 18 della l. n. 84/1994.
Fermo l’ambito di applicazione del regolamento, il MIT ha poi tenuto in considerazione le esigenze di sviluppo sostenibile dei porti italiani anche all’atto di dettare i criteri generali cui le AdSP dovranno conformare i parametri di valutazione delle istanze di concessione che dovessero pervenire su aree e beni demaniali di loro competenza.
In particolare, la lett. g) dell’art. 2, comma 4, detta un criterio volto a valorizzare, tra l’altro, la «sostenibilità ambientale del progetto industriale proposto» dall’aspirante concessionario, che quindi dovrà necessariamente caratterizzare gli investimenti prospettati sul demanio portuale da parte degli operatori privati che intendano occuparlo ai fini di garantirne quel «proficuo utilizzo» alla cui tutela sono, appunto, istituzionalmente preposte le Autorità di Sistema Portuale.
Tale importante riconoscimento, che si pone nel solco delle precedenti “linee guida” per il rilascio di concessioni demaniali marittime in ambito portuale già illustrate dallo stesso MIT nel 2018 (circolare n. 3087 del 5 febbraio 2018), pare centrale al fine di coniugare le esigenze di sviluppo imprenditoriale dei concessionari privati con l’interesse pubblico a un utilizzo del demanio conforme a finalità sistemiche, collegate a un’evoluzione green dei porti italiani e delle attività ivi prestate in coerenza con gli strumenti pianificatori in essere e con gli obiettivi condivisi a livello euro-unitario.
Insomma, attraverso la declinazione puntuale e specifica dei vari criteri che possono meglio caratterizzare il parametro generale di più «proficua utilizzazione della concessione» previsto all’art. 37 cod.nav., il nuovo regolamento conferma – ove ve ne fosse bisogno – la centralità della concessione ex art. 18 l. n. 84/1994 quale strumento essenziale per dare una dimensione stabile e permanente alla collaborazione pubblico-privata ai fini della gestione del demanio portuale, così da soddisfare obiettivi strategici attraverso l’interazione tra iniziativa imprenditoriale e interessi pubblici.
Quanto precede affianca e completa, ad avviso di chi scrive, gli schemi tipici del partenariato pubblico-privato previsti dall’ordinamento (artt. 180 e ss. del Codice dei contratti pubblici, d.lgs., n. 50/2016) e utilizzabili – sempre in un’ottica win-win per i soggetti coinvolti – al fine di realizzare progetti imprenditoriali in cui possano essere coinvolte risorse pubbliche. Tale aspetto è in effetti di stretta attualità, stante il particolare momentum generato delle opportunità offerte dal PNRR ai fini della realizzazione, tra l’altro, di obiettivi di transizione ecologica anche dei porti italiani, la cui valenza non può certo considerarsi limitata alla “finestra temporale” traguardata dagli strumenti attuativi di tali importanti risorse ma è certamente destinata a caratterizzare la gestione delle infrastrutture portuali anche negli anni a venire.
Nel contesto appena tracciato, il nuovo regolamento presenta tuttavia un aspetto che, a una prima lettura, pare in controtendenza rispetto all’obiettivo di incoraggiare le sinergie pubblico-private sopra descritte e che, nella prassi, potrebbe costituire un “freno” alla possibilità per i concessionari incumbent di sviluppare investimenti per il rinnovamento delle aree e dei beni in concessione.
Il riferimento è al limite massimo di «cinque anni» di estensione della durata del rapporto concessorio, riconoscibile – ai sensi dell’art. 6, comma 2, del regolamento – in caso di richieste avanzate da un soggetto concessionario ai sensi dell’art. 18 della l. n. 84/1994 al fine di continuare a occupare il demanio «per il periodo di tempo necessario al recupero di investimenti relativi a interventi occorrenti per l’adeguamento delle strutture portuali … non previsti» dal programma di attività originariamente allegato alla concessione.
La predeterminazione ex ante di una durata massima riconoscibile per il rinnovo di concessione, soprattutto in termini così limitati, rischia di rappresentare un disincentivo per i concessionari a sviluppare investimenti che – specialmente quando mirati a un sostanziale revamping in chiave sostenibile di un terminal portuale o di un deposito costiero – possono essere anche molto onerosi e, quindi, richiedere tempi di ammortamento maggiori dei cinque anni contemplati dalla disposizione in rilievo. Al tempo stesso, tale previsione può privilegiare ipotesi di investimenti “a singhiozzo” da parte del privato o, comunque, non satisfattivi dell’esigenza di effettivo rinnovamento delle infrastrutture portuali e dei beni su di esse insistenti.
Ferma la necessità di pubblicare tali richieste ai sensi di legge, sicuramente ineludibile laddove l’Amministrazione portuale valuti una variazione del periodo di occupazione esclusiva di una risorsa scarsa e limitata quale il demanio portuale, una soluzione probabilmente preferibile avrebbe potuto essere quella di lasciare alla discrezionalità amministrativa delle AdSP la valutazione e quantificazione delle prospettive di recupero degli investimenti in questione. Ciò, ovviamente, nell’ambito di un giudizio adeguatamente istruito, motivato e attento anche alle esigenze di terze parti eventualmente intervenute nella menzionata fase ad evidenza pubblica del procedimento.
Tutte caratteristiche che, a ben vedere, contraddistinguono da tempo proprio quelle best practices amministrative correttamente valorizzate dal MIT nel regolamento di cui trattasi ma che, su questo punto specifico, non risultano del tutto comprensibili. Ferma quindi la necessità di procedure trasparenti, pubbliche e partecipate, l’auspicio è quello di un’interpretazione funzionale della norma, volta a non pregiudicare la ratio sottesa a una disciplina che, dopo quasi trent’anni, finalmente colma una lacuna nel sistema mettendo anche condivisibilmente in chiaro la titolarità in capo al MIT delle competenze sul demanio portuale e sulla gestione delle sue infrastrutture.
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