Sequestrati in porto a Genova container con macchinari per produrre armamenti diretti in Etiopia
Gli impianti, del valore di 3 milioni di euro, erano stati descritti genericamente come un “tornio parallelo” e “macchine per la formatura a caldo”
Due container sequestrati e tre persone indagate: questo al momento il bilancio di una operazione condotta nel porto di Genova che ha portato ad accertare la presenza nello scalo di macchinari per la fabbricazione di bossoli destinati all’esportazione, non autorizzata, in Etiopia.
Il fermo è stato messo in atto dai militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Genova con i funzionari del reparto Antifrode dell’Ufficio delle Dogane di Genova 1, coordinati dalla locale Procura e fa seguito a verifiche condotte lo scorso ottobre negli spazi doganali dello scalo e successive perquisizioni nelle sedi delle società coinvolte nell’operazione.
Sulla base di questi accertamenti si è appurato come gli impianti, del valore di oltre 3 milioni di euro, fossero stati descritti dall’esportatore – una azienda di Lecco – genericamente come un “tornio parallelo” e “macchine per la formatura a caldo”, senza alcun riferimento al fatto che potessero invece servire alla fabbricazione di materiali di armamento.
Il loro sequestro, ricorda la Guardia di Finanza in una nota, trova ragione nella Risoluzione con cui il 7 ottobre del 2021 il Parlamento Europeo ha bloccato l’esportazione di armi verso l’Etiopia, a causa della grave crisi umanitaria in corso nella regione del Tigray. Per i tre indagati si ipotizzano i reati di “esportazione di materiali di armamento senza la prescritta autorizzazione” e di “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”.
In una nota l’associazione The Weapon Watch spiega che il carico (valore approssimativo 3 milioni di euro) sarebbe stato spedito dalla società Forza 3M Srl, con sede a Lecco, “azienda che non ci risulta iscritta nel Registro nazionale delle imprese ex lege 185/1990, e che quindi non poteva richiedere l’autorizzazione all’esportazione come materiale d’armamento”. Non solo: l’azienda in questione risulterebbe “strettamente collegata a un’altra azienda lecchese, Minuterie 3M Srl, appartenente agli stessi esponenti societari e che opera dal 1995 nel settore delle minuterie metalliche”.
Le merci erano come detto destinate all’Etiopia, “paese verso cui il Parlamento europeo ha adottato nell’ottobre 2021 una risoluzione che invita gli Stati UE a bloccare l’esportazione di armi verso l’Etiopia, a causa di una grave crisi umanitaria nella regione del Tigray, dove sono in corso guerre con ingenti perdite di civili e violazioni di diritti umani” sottolinea The Weapon Watch. “I materiali – aggiunge l’associazione – presentati all’imbarco non erano qualificabili come dual use, perché specificamente destinati alla fabbricazione di munizioni, come conferma la presenza di stampi per il calibro 7.62×39 mm, tipico delle armi da guerra di produzione sovietica e in particolare dell’AK-47 ‘Kalashnikov’, fucile d’assalto che è stato anche prodotto su licenza in Etiopia negli stabilimenti del Gafat Armament Engineering Complex”.
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