Catene logistiche in trasformazione secondo il report ‘Trade in Transition 2023’
Ben il 96% degli intervistati ha segnalato di stare introducendo variazioni ai propri flussi per effetto dei rischi geopolitici percepiti. Il just in case prevale sul just in time
Le catene logistiche globali hanno continuato ad accorciarsi anche nel 2022, per effetto di varie considerazioni, economiche e non solo. Lo si legge nell’ultimo report Trade in Transition 2023 (elaborato da Economis Impact e sponsorizzato dal gruppo emiratino Dp World) che offre un quadro delle tendenze osservate nell’anno appena passato e attese in quello in corso, sulla base di interviste a 3.000 operatori del settore di tutto il pianeta.
Da queste emerge innanzitutto la volontà delle imprese di continuare a cercare la crescita, anche in quest’anno più debole, tramite l’espansione sui mercati globali. A ‘tirare’ l’export nel 2023 sarà innanzitutto secondo il report l’aumento della domanda nei mercati chiave (per il 25% degli intervistati), seguito dall’allargamento a nuovi mercati (20%), dall’efficientamento tramite digitalizzazione (18,1%) e dalla riduzione dei tempi di consegna (16,5%).
L’inflazione continuerà a essere una minaccia gli scambi globali, e anzi viene percepita come la principale. La sua pressione si sentirà in vari ambiti ma in particolare nelle importazioni, come aumento sia del costo degli approvvigionamenti (per il 26% del campione) sia di quelli del trasporto (25%).
Per quel che riguarda il 2022, nel report viene constatato che le aziende abbiano continuato a modificare le loro supply chain intervenendo in diversi modi. Se la diversificazione resta la strategia preferita (scendendo però tra le risposte degli intervistati dal 48% al 47% rispetto al 2021), aumenta l’attenzione verso scelte di nearshoring o regionalizzazione (dal 12% al 20%) o di reshoring (dal 5% al 15%). In netta flessione la riduzione del numero di fornitori, indicata dal 10% del campione (contro il 36% del 2021), mentre è pari all’8% del campione il numero di aziende che dicono di non avere ridisegnato la propria supply chain.
Guardando alle ragioni che spingono verso la configurazione delle catene logistiche (per chi la sta ricercando), queste sono simili indipendentemente dalla strategia poi adottata. Al primo posto viene indicata la necessità di ridurre i costi, seguita dalla volontà di contenere i rischi di interruzione. Seguono, come fattore di spinta, gli incentivi finanziari governativi.
Ben il 96% degli intervistati ha inoltre segnalato di star introducendo variazioni ai propri flussi per effetto dei rischi geopolitici percepiti. Tra le iniziative adottate in cima si segnala l’espansione in mercati più stabili e trasparenti (32,7%). Alcune aziende hanno aggiunto di avere accorciato le proprie catene logistiche a seguito di queste considerazioni (27%), altre invece di averle allungate (29,8%). Ulteriori strategie indicate sono la riduzione del numero di mercati in cui si opera (27,6%) e una maggiore due diligence sulle catene (29,3%).
Dall’analisi emerge infine ancora come prevalente l’approccio al magazzino cosiddetto just in case, che domina su quello del just in time. Quest’ultimo nel 2022 è stato indicato come in uso dal 13% del campione (era del 14% nel 2021). Le società indicano inoltre scorte in aumento (in media per 10,1 settimane contro le 8,9 del 2021). Complessivamente risulta avere scorte per più i 2 settimane il 74% del campione contro il 71% dell’anno prima.
Interessante infine rilevare come tutte le macroregioni analizzate (Nord America, Sud America, Europa, Medio Oriente, Africa e Asia-Pacifico) preferiscano esternalizzare i servizi al loro interno, ma come questo avvenga in particolare nelle economie avanzate. Questa tendenza, secondo il report, farà sì che gran parte della crescita legata a queste attività resterà all’interno di questi mercati, verso i quali si riverserà anche la domanda dei paesi in via di sviluppo.
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