Con il ddl approvato dal Governo all’orizzonte una nuova portualità differenziata
La Regione Liguria farà probabilmente da apripista ma anche Veneto e Friuli Venezia Giulia potrebbero ridisegnare i rispettivi modelli di gestione dei porti
Il disegno di legge sull’autonomia differenziata messo a punto dal ministro leghista per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, e approvato dal Consiglio dei ministri nei giorni scorsi, potrebbe essere il cavallo di Troia per accelerare su un nuovo progetto di federalismo portuale. Un progetto di riforma lontano in parte dagli ultimi ritocchi inseriti dal duo Paita/Rocchi e volto invece a riconoscere e differenziare, anche con strumenti d’azione studiati ad hoc, mission economiche differenti fra i diversi scali italiani.
Con l’iter normativo appena iniziato (che sarà lungo e complesso) dell’autonomia differenziata tornano alla mente le parole pronunciate appena due mesi fa a Roma dal viceministro dei Trasporti, Edoardo Rixi: serve “trovare – aveva detto – un sistema per cui la crescita di un sistema portuale lasci qualcosa sul territorio. Perchè se in un porto storico arrivano 6 navi da crociera avrò un problema con la popolazione. Se il traffico container di un porto passa da 4 a 7 milioni di Teu avrò un problema con la popolazione. Bisogna trovare un sistema per cui il porto porti anche una riqualificazione”. Federalismo che va a braccetto con una maggiore autonomia finanziaria dei sistemi portuali: “Ogni bacino portuale dovrebbe avere un polmone finanziario proprio”. E a proposito di Pnrr e della nuova diga di Genova aveva aggiunto: “Un paese che impiega oltre metà delle risorse per un’unica opera ha un problema”.
Il modello che piace alla coalizione di Governo potrebbe essere, come noto, quello delle società per azioni a controllo pubblico: “Non sono innamorato del modello Spa per la gestione dei porti ma se può servire a qualche scalo maggiore per essere più competitivo… ben vengano le Spa controllate dal pubblico” erano state le parole di Rixi.
Il ragionamento di fondo, oltre all’aspetto legato all’autonomia finanziaria, è quello che i porti del Nord Tirreno e del Nord Adriatico hanno un mercato contendibile in Centro Europa che li vede (teoricamente) competere con gli scali marittimi del Nord Europa mentre le banchine del Centro e Sud Italia sono quasi esclusivamente al servizio dei rispettivi territori regionali (fatta eccezione per Gioia Tauro che, in quanto hub di transhipment per container, ha una mission ancora diversa). Quanto basta, secondo la Lega e i propri alleati di Governo, per avviare una riflessione all’interno del progetto di autonomia differenziata che non a caso, nelle 23 materie oggetto di prossima trattativa fra Roma e le Regioni, include anche porti, trasporti e aeroporti.
Friuli Venezia Giulia e Veneto hanno governatori leghisti (rispettivamente Massimiliano Fedriga e Luca Zaia), mentre in Liguria il presidente di Regione è Giovanni Toti ma elevato è il peso specifico e l’unità d’intenti con il viceministro leghista Edoardo Rixi: una congiunzione astrale che potrebbe veramente aprire a un’idea di portualità differenziata. Tanto più se si considera che Veneto ed Emilia Romagna sono fra le Regioni che hanno già firmato un patto con l’Esecutivo per ottenere l’autonomia differenziata e la prima lo ha fatto espressamente anche per la materia che include infrastrutture, porti e aeroporti.
Già a dicembre Giovanni Toti era stato esplicito: “Per l’autonomia dei porti liguri, io punto sulla Riforma delle Autonomie del ministro Calderoli; noi insieme ad altre regioni abbiamo chiesto di sfruttare maggiormente le potenzialità del Titolo V in Costituzione. È evidente che il piatto forte avanzato dalla Liguria riguarda la logistica, i porti, la fiscalità a essi collegati. Il Veneto ha fatto la stessa cosa, e la regione potrebbe legiferare sulla governance dei porti. Nulla di diverso da quello che succede nei porti del Nord Europa”. Il governatore ligure aveva poi aggiunto: “I porti del Nord Europa hanno una governance più snella; in Italia lavorare senza competizione e una governance nazionale è più difficile. Taranto e Gioia Tauro hanno il difetto di essere rispetto a noi più distanti di 1.000 chilometri rispetto ai grandi mercati di riferimento, per questo servono politiche mirate e differenti sui singolo porti”.
Nei giorni scorsi è tornato sulle materia spiegando che cn l’autonomia differenziata per porti e logistica “aumenta la nostra voce in capitolo verso i concessionari, aumentano le risorse dirette che possiamo spendere su strade e ferrovie. Sui porti, come è noto, proponiamo una diversa struttura delle autorità portuali, più legate al territorio e il ritorno per investimenti delle risorse fiscali generate dai traffici dei porti. È anche un modo per aumentarne la competitività”.
N.C.
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