Allarme Webuild: “Per la diga di Genova ci vogliono 9 mesi in più”
Il costruttore chiede di modificare il progetto e bypassare la vagliatura del materiale di risulta della demolizione della struttura esistente: chiesta al Ministero dell’Ambiente la revisione della Via
“Tempi tecnici incompatibili con il cronoprogramma di progetto (…), sarebbero necessari almeno due anni, a fronte di un periodo di 15 mesi previsto nel cronoprogramma”.
L’oggetto sono le previste modalità di riutilizzo, nella realizzazione della nuova diga foranea di Genova, dei materiali dello scanno di imbasamento della diga esistente e a lanciare l’allarme, appena prima di Natale, sono stati gli appaltatori della nuova diga di Genova (il consorzio formato da Webuild, Fincantieri, Fincosit e Sidra, con i progettisti Ramboll e F&M), impegnati nella redazione del progetto esecutivo. Un’ombra rimasta finora ignota e che oggi emerge perché il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase) ha avviato un paio di settimane fa una verifica sulla soluzione proposta dall’appaltatore.
Una procedura non di ordinaria amministrazione per fronteggiare una problematica non indifferente, come si evince dalla disamina della documentazione progettuale, di quella depositata per la Via e di quella prodotta da Webuild&co per suggerire al Mase una via d’uscita.
Il progetto originario prevede per la fase a), quella in corso, la demolizione di 2.200 metri della diga esistente, fino a una profondità di 18,5 metri, e “una strategia di massimo riutilizzo dei materiali provenienti dalle demolizioni della diga esistente. Ciò comporta chiari benefici di carattere logistico, ambientale, funzionale, nonché economico”.
Ma se per i massi artificiali di calcestruzzo e i massi naturali salpati di peso e dimensioni idonei per la formazione di scogliere e mantellate di protezione, è previsto il riutilizzo diretto, “gli elementi di pezzatura più contenuta, derivanti dal salpamento del pietrame di imbasamento e dalla demolizione degli elementi ciclopici in calcestruzzo della diga esistente” (oltre 1,1 milioni di metri cubi), potranno essere utilizzati per la formazione di parte dello scanno d’imbasamento e del riempimento dei cassoni solo previa caratterizzazione e accertamento dell’idoneità al recupero e dopo esser stati “ulteriormente ridotti di pezzatura e vagliati con l’utilizzo di impianti mobili autorizzati ubicati nelle aree di cantiere”.
La previsione è logica: andando a demolire, meccanicamente o con esplosivo, materiale di incerta natura, in acqua in alcuni casi da più di cent’anni, occorre comprenderne appieno l’esatta composizione prima di disporne il riutilizzo o il conferimento in discarica, ad esempio per verificare “l’eventuale presenza di amianto negli aggregati del calcestruzzo”. Per farlo occorre sottoporre a ulteriore “frantumazione e vagliatura” ciò che risulterà dalla demolizione. Per questa ragione i materiali di demolizione e salpamento sono stati classificati come “rifiuti”, individuando già le discariche di destinazione e facendo riferimento “al Mercuriale dei Rifiuti da Costruzione e Demolizione, redatto dalla Camera di Commercio di Genova, contenente le principali informazioni circa i codici Cer (Codice europeo dei rifiuti) delle principali categorie dei rifiuti da costruzione e demolizione”.
Come accennato, questa procedura richiede però secondo Webuild & co. più tempo di quello a disposizione, perché sull’area di cantiere (Pra’) si potrebbe installare per ragioni di spazio un solo impianto che, lavorando giorno e notte sette giorni su sette, ci metterebbe comunque due anni per la frantumazione di 1,15 milioni di metri cubi. Con l’ulteriore complicazione che “l’immersione in mare per la realizzazione del nuovo scanno dei materiali dello scanno esistente, che siano stati qualificati come rifiuto, necessita che essi cessino dalla qualifica di rifiuto”.
La soluzione proposta, pertanto, prevede innanzitutto “un approfondimento sulla effettiva qualificazione dei materiali di scanno esistente rimossi, in particolare se essi rientrino effettivamente nel novero dei rifiuti”. Derubricando i materiali di demolizione a “sottoprodotti”, poi, la caratterizzazione dei materiali potrebbe essere solo preliminare e si potrebbe procedere alla “rimozione dello scanno di imbasamento mediante scavo meccanico con successivo carico dello stesso in nave autoscaricante con fondo apribile e/o pontoni”, dopodiché “il materiale verrà direttamente trasportato al sito di destinazione e versato tal quale a formazione dello scanno d’imbasamento della nuova diga”.
Secondo Webuild questa soluzione – bypassare il trasferimento a terra della risulta, il frazionamento e la vagliatura – apporterebbe vantaggi sotto il profilo ambientale (meno trasporti e quindi meno emissioni, meno rumore, meno polveri, etc.), ma starà al Mase stabilire se tali asseriti vantaggi valgano più del rischio di tralasciare i previsti approfondimenti sul materiale di risulta della demolizione della vecchia diga. In caso contrario occorrerà ottenere una dilazione sui tempi: la diga, infatti, è finanziata per mezzo miliardo con risorse del fondo complementare al Pnrr e conseguentemente va completata e collaudata entro fine 2026. Nove mesi prima, cioè, di quanto la cordata Webuild pensa di poter fare sulla base del progetto originario.
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