“Per la transizione ecologica in mare serve una visione sistemica”
Fabrizio Vettosi replica all’intervento di Transport & Environment: un approccio disarmonico ai vari aspetti della decarbonizzazione (e alle relative normative) è controproducente
Intervento a cura di Fabrizio Vettosi*
*Managing director di Vsl Club Spa, consigliere di Confitarma e presidente del gruppo di lavoro ship finance di Ecsa
Mi fa piacere vedere la passione che anima i colleghi di T&E nei confronti del trasporto navale, ma onestamente non limiterei la discussione alle quote di eco-carburanti previste dalla futura (ricordo che non abbiamo ancora un regolamento approvato) regolamentazione FuelEU. Purtroppo il trasporto navale è caratterizzato da una complessità e variabilità dei modelli di business che non consentono un facile paragone con altri segmenti del trasporto. Giusto per fare qualche esempio: esistono circa 30 sub-segmenti che rispondono a modelli di business ben diversi; il traffico di linea (contenitori, passeggeri, ro-ro, etc.) non è paragonabile al tramp deep sea in cui molto spesso la funzione dell’armatore non coincide con quella dell’operatore il quale, quest’ultimo, è il responsabile dell’utilizzo della nave. La collega di T&E cita, non a caso, un’iniziativa sostenuta da Maersk che, essendo un liner owner/operator, ha esigenze e responsabilità del tutto diverse da un puro owner che arma una bulk carrier noleggiata ad un trader che decide che rotte percorrere e come utilizzare la nave, in alcuni casi senza prevedibilità. Già questo è sufficiente a far comprendere come l’aspetto logistico connesso alla disponibilità di carburanti di origine non biologica sia una criticità non banale, anzi vitale. Come ho più spesso detto, una nave non è una Fiat Panda che si parcheggia sotto casa, ma i suoi destini sono connessi alla volontà di chi la utilizza e non sempre di chi la arma. Una delle maggiori criticità nell’ambito della futura normativa FuelEU è per esempio la responsabilizzazione del fornitore di bunker rispetto all’armatore in relazione alla Bunker Delivery Note.
Purtroppo, dovremmo tutti concentrarci sui macro temi piuttosto che lanciare atti d’accusa su eventuali responsabilità che concernono i micro temi. Pur apprezzando quanto afferma la Dott.ssa Mingozzi, c’è da dire che il settore di goal, più che di autogoal, ne ha fatti tanti negli ultimi anni; lo dico a beneficio, e senza polemica, di coloro, che via social, e forse per ignoranza o incapacità nostra a comunicare, ha accusato (indirizzando a me il messaggio) di fare “melina” sul tema della transizione.
Se fare melina significa aver investito circa 90 bn. $ (di risorse proprie e senza alcuna contribuzione pubblica) negli ultimi quindici anni per ridurre l’impatto globale in termini di emissioni dal 3,2 al 2,4% rinunciando a circa 2 punti percentuali di ritorno sul capitale, allora vuol dire avere gli occhi bendati. Così come è a mio giudizio errato dire che il settore navale emette quanto il trasporto aereo; se ciò può esser vero (e non lo è) in termini assoluti, non lo è se lo si rapporta all’unità pagante trasportata, che è poi il metro di misura più idoneo per misurare l’efficienza del trasporto in termini di emissioni. Basti verificare i grafici sottostanti per rendersene conto:
Ad oggi circa il 30% delle oltre 27 mila navi convenzionali (containers, bulkers, tankers) sono dotate di motori “eco”. Con ciò senza aver toccato il tema della sostenibilità sociale che non rientra nella tematica specifica e sui cui lo shipping ha fatto moltissimo. Se, pertanto utilizziamo la suddetta metrica, il rapporto tra trasporto navale e trasporto aereo genera un multiplo in termini di maggiori emissioni di quest’ultimo di oltre 20 volte. L’efficienza dello shipping in termini di emissioni va valutata in relazione al servizio offerto e alle necessità della catena logistica, cosa che abbiamo apprezzato nei momenti più tragici della nostra storia (es. pandemia), in cui il trasporto navale ha rappresentato l’unica alternativa capace di assicurare la continuità e la connessione territoriale.
È ovvio che la transizione verso carburanti neutrali non è ancora avvenuta ma è altrettanto vero che lo shipping viene tassonomicamente definito “transizionale” (art. 10.2 del Reg. EU 852/2020) e che i valori assoluti unitari degli investimenti sono rilevanti e che il concetto del c.d. life cycle approach non può che guidare tale processo di transizione. Purtroppo ciò di cui mi rammarico è non vedere un approccio sistemico e comprensivo alla tematica della transizione in cui le diverse metriche relative a normative globali (CII, EEXI II) e Regolamenti Comunitari (ETS, Innovation Fund, FuelEU, CBAM, Taxonomy) sono disarmonizzate e non tengono conto delle specificità suddette.
Alcuni esempi: i futuri criteri tecnici di vaglio della tassonomia post 2025 saranno impostati sulla traiettoria del FuelEU, ma si rischia che gli Atti Delegati della Tassonomia vengano approvati prima che lo sia il Regolamento FuelEU. E ancora questi criteri sono declinati su una traiettoria (voluta proprio da T&E) che è irragionevole in quanto con una concavità rivolta verso il basso lungo i quinquenni dal 2030 al 2050, cosa del tutto illogica rispetto al concetto del life cycle approach e in virtù della totale incertezza sulle nuove tecnologie e carburanti che non potranno essere chiarite a stretto giro.
E ancora la mancanza di criteri concreti e ragionevoli su come e dove verranno allocati i proceeds ricavati dalle allowances del ETS, e su come tali fondi potranno ridurre concretamente il gap, attraverso il sistema dei CfD (Contract for Difference), tra il costo dei carburanti fossili e quello teorico degli eco—carburanti che, ad oggi, è stimato in circa 8 volte e renderli così effettivamente ed economicamente disponibili per un’ampia gamma di navi rispetto alle mere 40 attuali di cui parla la Dott.ssa Mingozzi (ricordo che nel mondo circolano 104 mila navi con un’età media di poco superiore ai 12 anni riferita a quelle convenzionali).
A ciò va aggiunto anche il tema dell’idonea formazione e sicurezza in quanto, ripeto, mettere in moto e far funzionare le stive di una nave in oceano non è come accendere il motore di una Panda e richiede un’idonea formazione per evitare di perdere vite umane che valgono forse di più di qualche decimo di punto di emissioni. Potrei aggiungere altri temi, mi viene in mente, nell’ambito della normativa FuelEU, quello della non responsabilità del fornitore di carburante addossando la stessa tramite la Bunker Delivery Note sull’armatore. Potrei andare ancora avanti ma mi fermo.
La verità è che tale disarmonizzazione non fa che generare effetti distorsivi sulla concorrenza e, soprattutto, genera pericolosi fenomeni di greenwashing. Spero davvero che l’attenzione di tutti gli stakeholders, in primis di Organizzazioni come T&E, si concentrino dunque su questi aspetti di coordinamento sistemico al fine di fornire all’industry un framework regolamentare concreto, razionale e coerente per guidarci verso un’efficace transizione.
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