Luigi Negri: “Oggi i vettori marittimi hanno troppo potere. E non c’è freno”
Intervista al presidente di Finsea che offre il suo punto di vista sul terminalismo portuale di oggi indicando i settori di business dove vede margini di crescita per il suo gruppo
Genova – In prima fila a celebrare il 30° anniversario del Terminal Sech del porto di Genova, nel frattempo diventato Psa Sech essendo entrato a tutti gli effetti parte del Gruppo Psa, c’era Luigi Negri, presidente di Finsea nonché colui che ebbe l’intuizione (lui la definisce incoscienza) di farsi assegnare l’allora Calata Sanità per avviare un’impresa di imbarco e sbarco di container. Una missione non semplice sia dal punto di vista burocratico, ma soprattutto da quello pratico e operativo perché quelli erano anni di forti tensioni con la Culmv guidata da Paride Batini.
“Ero preso dalla disperazione: il porto non lavorava da quattro mesi, ostaggio dei portuali, per riuscire a servire il mio armatore sbarcavamo ad Amburgo, imbarcavamo ad Anversa e portavamo tutto su Genova con il treno, alla fine sono andato da Carena (allora alto dirigente del Consorzio autonomo del porto, ndr) e gli ho chiesto il terminal. Lui rispose che si poteva fare. Ricordo che quando uscii ero ovviamente felcie della risposta ma poi non dormii per tre giorni dalla preoccupazione” ha raccontato Negri.
Arruolo altri tre compagni di viaggio in questa avventura (le famiglie Magillo, Cerruti e Schenone) e dopo un franco confronto proprio con il console della Culmv, Paride Batini, l’attività inizio.
A margine delle celebrazioni per i 30 anni del Sech, Luigi Negri a SHIPPING ITALY ha offerto il suo punto di vista sull’evoluzione del mercato del terminalismo portuale a cui si è assistito negli ultimi anni.
Dott. Negri voi di Gip (Gruppo Investimenti Portuali) avete venduto ai fondi Infracapital e Infravia nel 2017: a distanza di 6 anni ritiene ancora sia stata la scelta giusta?
“Sul ramo container noi siamo usciti appena in tempo perchè avevamo davanti il grande terminalismo, che non morirà mai perchè sono dei colossi enormi – tipo Psa – e soprattutto avevamo di fronte i grandi armatori che ormai avevano messo gli occhi, e in certi casi anche le mani, sulle operazioni portuali. Ci stavano piano piano togliendo quello che era il nostro lavoro; hanno cominciato col toglierci le agenzie marittime, perchè si sono fatte le loro, e adesso stanno cominciando a toglierci tutta la logistica stradale e ferroviaria.”
E’ sempre più difficile lavorare in questo segmento di mercato?
“Molto.”
Tra l’altro negli ultimi 6/7 anni il comparto è andato ulteriormente consolidandosi anche tra vettori marittimi. Gruppi enormi che fanno sempre di più: trasporto aereo, ferrovia, camion, logistica…
“Sì, e soprattutto c’è un altra questione da considerare: quando noi abbiamo cominciato ricordo che c’erano 24 compagnie di navigazione che operavano dall’Estremo Oriente al Mediterraneo, adesso sono 9 raggruppate in 3 alleanze. Lei capisce la differenza enorme tra allora e oggi, la competitività che ci può essere. Io sono sempre stato convinto che la funzione fosse quella, visto che loro si raggruppavano la parte marittima era praticamente uguale per tutti. Noi dovevamo fare la differenza e abbiamo iniziato a cercare di farla.”
Da osservatore esterno vede oggi uno strapotere incontrollato dei global carrier?
“Sì, troppo, e purtroppo non c’è modo di mettere un freno. Lei vede che ultimamente Hapag-Lloyd è entrato nel terminal e nelle attività di Spinelli, Cma-Cgm, altro grande colosso prima o poi qualcosa lo farà. Quindi c’è sempre meno spazio per l’imprenditoria privata, quella che nasceva quando è nato il Sech con tutti i rischi che comportava, però erano tempi dove potevi esprimere te stesso. Oggi o sei un manager di un grande colosso o rimane poco spazio per fare del business.
Noi facciamo, ad esempio, abbastanza bene, parlando di terminal portuali privati; siamo entrati con l’amico livornese Piero Neri, con la Compagnia Portuale di Livorno, nel terminal della cellulosa, sbarchiamo cellulosa e sbarchiamo anche altro. C’è ancora spazio per l’imprenditoria privata, a Livorno forse un pò di più. Però adesso anche il Terminal Darsena Toscana se lo è comprato Msc.”
Proprio il Gruppo Msc, forse più di chiunque altro in questo momento in Italia, è il vero dominatore sia lato portuale che terrestre. A questo proposito cosa pensa della nuova diga di Genova? Servirà soprattutto a loro per Terminal Bettolo?
“Solo a loro…”
E anche al Genoa Port Terminal di Spinelli…?
“Servirà a loro e anche a Spinelli, però le pressioni sono state poste da Msc. Pressioni giuste devo dire, perchè quando è stato deciso di riempire la Calata Bettolo le navi erano da 2.500, massimo 2.800 Teu. Lì ormeggiata ci metti una sola nave, se ne entra un’altra (nel canale, ndr) gli spacca i cavi. Quindi se vuoi fare arrivare le navi importanti è una necessità fare spostare la diga.”
Guardando sempre al terminalismo portuale si può dire che non esistono più vie di mezzo? O il terminal è completamente indipendente, come è il caso di Psa, oppure formule ibride come a La Spezia dove c’è dentro anche un armatore rischaano di rivelarsi complicate?
“Si stanno rivelando molto complicate.”
Se dovesse sbilanciarsi su un epilogo per la vicende che stanno riguardano il La Spezia Container Terminal su quale finale scommetterebbe?
“Non ne ho la minima idea. Poi io ho una simpatia particolare per gli imprenditori di La Spezia (Contship Italia, ndr): sono stati i primi, i più importanti. Noi per anni abbiamo camminato sulle loro impronte. Loro hanno messo piede nella Sogemar per avvicinare La Spezia ai punti di caricazione, noi abbiamo messo in piedi un po’ più avanti la Logtainer per avvicinare il nostro terminal ai punti di carico importanti.
Quindi per noi è sempre stato un esempio importante e fondamentale e, per questo, gli augurerei ogni bene. Ma hanno un socio pesante.”
Come Gruppo Finsea da quando siete usciti dal terminalismo avete fatto degli investimenti nella cantieristica navale, nei traghetti e poi?
“Abbiamo fatto investimenti in cantieristica, nel piccolo cabotaggio di traghetti che uniscono le isole minori, abbiamo avuto un’esperienza purtroppo molto breve in Tirrenia, che ci sarebbe piaciuto tanto continuare, ma purtroppo il fondo (Clessidra, ndr) che dettava legge in quel momento ha pensato bene di vendere.”
In che direzione guarda il gruppo Finsea per il prossimo investimento importante da realizzare?
“Chi lo sa? Lo deve chiedere ai miei nipoti (Aldo e Raffaele, ndr). Credo che siamo molto orientati sulla logistica, sulle spedizioni e sul piccolo cabotaggio di navi passeggeri per le isole minori. Questi sono i tre campi migliori perchè c’è ancora spazio per fare, probabilmente perchè alle grandi potenze non interessano.”