“Rischio tsunami” per la nuova diga di Genova ma per il Ministero dell’Ambiente i lavori possono proseguire
Il dicastero ignora il parere contrario del Cnr (relativo all’insufficienza dei dati sulla stabilità dei fondali) e sancisce l’ottemperanza alle condizioni ambientali ante operam
Le condizioni ante operam cui il Ministero dell’Ambiente aveva condizionato il placet della Valutazione di impatto ambientale del progetto preliminare della nuova diga foranea di Genova sono ottemperate, anche se alcune “con raccomandazioni”.
Il verdetto del dicastero di Gilberto Pichetto Fratin, che raccoglie quanto già avallato dai colleghi della Cultura qualche giorno fa, è arrivato in queste ore, con un giallo, però. Né il decreto né la densa relazione di accompagnamento della commissione tecnica di Via, infatti, menzionano mai che, per la parte di competenza di una delle cinque condizioni ambientali, l’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche, il massimo ente pubblico di ricerca scientifica) ha sancito che “la condizione non risulta ottemperata dal Proponente”.
L’Istituto era chiamato a verificare l’implementazione e valutare la qualità del sistema di monitoraggio degli effetti morfobatimetrici dei lavori sui fondali, uno degli aspetti più controversi del progetto, oggetto di numerose osservazioni in sede di Via. Il parere, che, malgrado dati 18 aprile, è stato pubblicato solo ieri sera dal Ministero, è articolato quanto impietoso.
Il problema di fondo rilevato dal Cnr è che i dati raccolti per redigere il progetto preliminare sono insufficienti per dettaglio ed estensione. L’aspetto più critico riguarda i due canyon sottomarini che fronteggiano la città, le cui ‘testate’ secondo l’Autorità di sistema portuale e i suoi progettisti (capeggiati da Technital) stanno a 4 km da dove sorgerà la diga. Per il Cnr, invece, la distanza è stimabile in 1,5 km. Il che, dato che le testate “possono rappresentare lineamenti geologici a elevata dinamicità con evoluzione retrogressiva” (cioè tendenti ad avvicinarsi alla costa, nda), avrebbe richiesto analisi ben più approfondite ed estese di quelle condotte, che non possono escludere “che siano attivi processi erosivo-deposizionali significativi”.
Tanto più che le azioni antropiche (come la prevista posa di 7 milioni di tonnellate di roccia e quasi cento cassoni in cemento armato) possono determinare “l’accumulo di sedimenti e l’innesco di frane in corrispondenza delle testate dei canyon”, come avvenne, ricorda il Cnr, a Gioia Tauro nel 1977 e a Nizza nel 1979 in occasione della costruzione, rispettivamente, di porto e aeroporto, “con lo sviluppo di onde di tsunami” che devastarono le infrastrutture costiere e nel secondo caso causarono anche morti e feriti. Episodi già richiamati da Piero Silva, l’ex responsabile della direzione lavori, dimessosi di fronte al rifiuto della stazione appaltante di cogliere i correttivi proposti al progetto da lui ritenuto altamente rischioso proprio quanto a stabilità dei fondali.
Inoltre l’area di monitoraggio “non è conforme con quella indicata dalla prescrizione. L’area proposta, infatti, è circoscritta alle sole testate dei canyon in considerazione della distanza dall’opera, della pendenza e della presunta stabilità del fondale. Tale considerazione, tuttavia, non è supportata da dati morfo-batimetrici” e “la stabilità del fondale non è neppure desumibile dai dati batimetrici utilizzati”.
“Inadeguate” a evidenziare eventuali rischi geologici, poi, sono ritenute le indagini sismostratigrafiche dell’area compresa fra le testate dei canyon e la diga. E il parere rileva che “anche nel settore di fondazione della diga” emergono “interpretazioni contrastanti” fra la relazione geologica presentata per l’ottemperanza e i dati raccolti e prodotti nella fase iniziale della Via. Tanto che “pur non essendo il modello geologico oggetto di questa validazione, in quanto non esplicitamente menzionato nella condizione in verifica, preme qui sottolineare come tale modello costituisca un riferimento essenziale per il monitoraggio. Si raccomanda quindi di verificare la coerenza del modello geologico prodotto, integrando le indagini disponibili in occasione del rilievo ante-operam”.
Un problema rilevato dagli stessi tecnici ministeriali per cui “il modello geologico presentato appare tuttora non del tutto congruo e idoneo a evidenziare tutti i potenziali elementi morfologici, stratigrafici e strutturali noti in letteratura (…) che possano concorrere a incrementare le pericolosità geologiche cui la medesima diga di progetto sarà esposta”.
Ciononostante, come detto, la luce è verde, sebbene la seconda parte del parere del Cnr sia un dettagliato vademecum sulle azioni da condurre per reimpostare correttamente il piano di monitoraggio proposto da Webuild, a partire da analisi e rilievi, appunto da effettuare, nell’eventualità che ciò comporti una necessaria radicale revisione dell’intero progetto, prima di iniziare i lavori, che sono invece in corso. Un rebus che non preoccupa il Ministero, il quale, forte di un regime speciale per le opere Pnrr, ripropone testualmente le prescrizioni del Cnr, sorvolando sul fatto che potrebbero decretare la dannosità dei lavori fin qui effettuati.
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