A Genova il calo dei volumi si abbatte sui lavoratori della Culmv
Psa si oppone alla richiesta della Compagnia Unica di alzare la tariffa sulla base di un accordo del 2021 e fronteggiare una crisi ribaltata in larga parte sull’articolo 17. Rischio sciopero in banchina
L’incontro decisivo sarà giovedì 29 giugno, ma in tempi recenti raramente si è stati così vicini alla dichiarazione, da parte sindacale, di uno sciopero dei circa mille lavoratori della Culmv, il fornitore di manodopera temporanea del porto di Genova ex articolo 17 della legge portuale.
I numeri inquadrano chiaramente il problema. Il porto nel 2023 sta scontando un calo dei volumi: ad aprile (ultimo dato disponibile) si era arrivati a -7,2% sul primo quadrimestre 2022, dato accentuato nel traffico contenitori (-7,4%). Ma gli avviamenti della Culmv sono calati molto più velocemente, marcando a fine maggio un -16%, segno che, come è fisiologico stante l’assetto normativo e organizzativo esistente a Genova e in Italia, i terminalisti hanno ribaltato il più possibile il crollo sul più flessibile dei fattori di produzione, ovvero i turni della Compagnia Unica.
Un dato che, se proiettato sull’intero anno, vorrebbe dire poco più di 174mila avviamenti, contro i 208mila e rotti del 2022, capaci di garantire stipendi e leggero utile di bilancio, appena chiuso. Ma lo scenario potrebbe rivelarsi anche peggiore, guardando all’andamento del terminal Psa di Pra’, il maggior terminal container italiano, che nel 2022 ha usufruito di oltre 105mila avviamenti Culmv, più del 50% del totale: con il traffico sceso del 6% rispetto al 2022, a fine maggio gli avviamenti erano già a -22,5%: un trend che a fine anno potrebbe voler dire scendere sotto i 170mila avviamenti complessivi per la Culmv.
Ecco quindi che la Compagnia Unica, fiancheggiata da Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, nelle scorse settimane ha avviato, con la mediazione dell’Autorità di sistema portuale del Mar Ligure Occidentale, un’interlocuzione con la controparte (la sezione terminalisti di Confindustria Genova, sebbene non tutti i terminal vi siano iscritti) per chiedere un intervento sul meccanismo che, fisiologicamente stante l’assetto normativo e organizzativo esistente, dovrebbe stemperare il ribaltamento delle crisi congiunturali sulle sole spalle del fornitore di manodopera. Condizionale d’obbligo, perché la tariffa – il cui livello massimo viene periodicamente fissato dall’Adsp e che viene poi concordata terminal per terminal attraverso singoli contratti – non riesce a computare quel che è per la Culmv, cooperativa di soci lavoratori, un rischio di impresa a tutti gli effetti. Ma nemmeno ad assorbire l’inflazione se si pensa che una banale indicizzazione avrebbe portato la prima tariffa massima fissata, 209 euro/turno del 2009, a 271 euro quando quella vigente è invece di 253.
Ad ogni modo dei passi avanti in questo senso negli ultimi anni sono stati fatti, anche a latere del piano di risanamento dei conti intrapreso dalla Compagnia. In particolare la Culmv si è rifatta, per fronteggiare la crisi in atto, all’accordo sottoscritto all’inizio di febbraio 2021 con Confindustria, con la benedizione della Adsp. Alla clausola h), sorta di indicizzazione sui generis, il documento prevede che “le tariffe corrisposte per le prestazioni di lavoro portuale temporaneo da ciascun terminal sulla base dei contratti stipulati sono soggette ad aggiornamento annuale in relazione alle variazioni del contratto nazionale di riferimento (per l’85%, nda) e alla variazione degli avviamenti complessivi realizzati nell’anno (per il 15%, nda)”.
A quel che consta a SHIPPING ITALY, tutti i terminalisti più significativi per Culmv avrebbero accolto la richiesta di applicare alle tariffe dei rispettivi contratti la clausola suddetta, legandola agli adeguamenti del Ccnl adottati da sigle datoriali e sindacali a fine febbraio 2021 (e al Ccnl applicati progressivamente fino a novembre 2023). Tutti tranne Psa però.
Il principale terminalista dello scalo eccepisce di aver sottoscritto l’ultimo contratto con la Culmv nell’agosto 2021 e che gli aumenti tariffari da essa rivendicati sarebbero già stati computati nell’incremento tariffario compreso nel rinnovo contrattuale. Inoltre, secondo Psa, sarebbe comunque dubbia l’applicazione della clausola h) dell’accordo confindustriale al proprio contratto con Culmv. E, ultimo argomento, la richiesta arriverebbe fuori tempo massimo, non essendo stata posta in occasione di alcuni incontri in materia tariffaria avvenuti a cavallo fra 2022 e 2023.
Difficile, senza l’accordo dell’agosto 2021, stabilire se il rinnovo allora negoziato comprendesse e assorbisse esplicitamente il ritocco tariffario legato al Ccnl o afferisse alla sola trattativa commerciale fra le parti.
Resta il fatto, tornando alla fragile trattativa in corso, che nel 2021 (e nel 2022 i volumi sono stati leggermente più alti) Psa a Pra’ ha registrato l’ennesimo utile record (23,3 milioni di euro su 165,6 di ricavi). Al netto di quel che sta scritto nell’accordo dell’agosto 2021 e delle schermaglie interpretative, ma soprattutto al netto della congiuntura – ché la richiesta di revisione tariffaria arriva durante un calo dei volumi ma ne prescinde –, se dalla parte di Psa c’è largo margine per impuntarsi, sul fronte dei lavoratori Culmv, che rappresentano circa metà della forza lavoro del terminal, sembra arrivata la consapevolezza che un rapporto così squilibrato non sia ulteriormente sostenibile. Giovedì si avranno risposte sul tema.
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