“Perchè i metri quadrati all’interno dei porti valgono meno che nella logistica?”
Nello scalo del capoluogo ligure i canoni demaniali secondo le ultime statistiche disponibili (2016) stanno in un range compreso fra 1,5 e 5,7 euro a mq. Altrove si raggiungono i 65 euro
Contributo a cura di Riccardo Degl’Innocenti *
* Esperto in materia di lavoro portuale
SUPPLY CHAIN ITALY ha pubblicato un articolo sulla logistica in Italia secondo cui nel primo semestre 2023, nonostante i volumi in calo, essa continua a rappresentare il segmento immobiliare più interessante per gli investitori. In particolare brilla il mercato delle locazioni. In questo scenario, i canoni di locazione ‘prime’ hanno raggiunto il record con 65 €/mq/anno e potrebbero salire ulteriormente. (https://www.supplychainitaly.it/2023/08/17/logistica-ancora-prima-per-numero-di-investimenti-in-italia-nel-mercato-immobiliare/)
Mettendo in relazione due ambiti distinti ma tra loro strettamente correlati, sorge spontanea una domanda: come mai il “mercato” delle aree destinate ai terminal portuali presenta valori delle concessioni demaniali molto inferiori?
È vero che la concessione demaniale non è esattamente una locazione, è un rapporto giuridicamente diverso in cui interviene l’interesse pubblico. Inoltre, una banchina è un’area pubblica sì di grande pregio sotto il profilo logistico, ma va attrezzata a spese del terminalista con importanti investimenti. Tuttavia, resta aperta la domanda sulla distanza del canone applicato dai privati e dal pubblico sul “mercato immobiliare della logistica”, tenuto conto che una banchina ha anche il pregio di essere un monopolio naturale e che sono a carico dello Stato proprietario sia i costi di costruzione che quelli principali di mantenimento.
La domanda si pone a buon diritto, soprattutto da parte dell’opinione pubblica, visto il conflitto in corso tra lo Stato, che deve applicare la legge che prevede l’aggiornamento annuale dei canoni in base all’andamento dei prezzi, e le associazioni dei terminalisti che contestano la sostenibilità degli aumenti (più o meno quello che accade con i balneari). Il Governo, con il vice ministro ai Trasporti Edoardo Rixi, ha assunto l’impegno di risolvere la questione in favore delle esigenze dei terminalisti, dobbiamo immaginare che lo faccia in nome dell’interesse pubblico, quale che sia dovrebbe essere tuttavia dichiarato. Alcuni media hanno fatto circolare dati rilevanti nel merito, senza tuttavia indicarne le fonti, per esempio quelli dell’incidenza dei canoni sul fatturato dei terminalisti. Si è scritto infatti che i terminalisti “pagano le concessioni più salate (il 50%-100% della misura minima), pari in media a una cifra che va dall’8 al 20% del fatturato annuo”.
Abbiamo fatto una verifica con molta fatica, dato che l’entità dei canoni portuali e come siano calcolati sono tra gli aspetti di maggiore opavità da parte delle Autorità portuali. Gli ultimi dati disponibili per Genova che abbiamo potuto riscontrare sono fermi al 2016 e segnalano una realtà diversa (nel 2017 e 2018 è scomparsa dalla tabella, allegata alle relazioni presenti nel sito “Amministrazione trasparente”, la colonna con i valori dei canoni, poi è scomparsa anche la tabella!). Il seguente riquadro contiene un campione casuale dei terminal portuali genovesi:
I canoni, nel campione presentato, stanno tra 1,5 e 5,7 euro a mq, mentre le percentuali di costo sul fatturato non superano il 4%. Per GMT e Messina non è possibile distinguere il fatturato dell’attività terminalistica genovese dalle altre attività societarie.
Penso che il Ministero dei Trasporti e le Autorità portuali dovrebbero presentare all’opinione pubblica un quadro trasparente e comprensibile della questione e rispondere alla domanda: perché le aree operative del demanio portuale, così preziose e uniche, hanno canoni concessori di gran lunga inferiori dei canoni di locazione delle aree logistiche a terra? In ragione di quale interesse pubblico e come questo interesse si declina a favore dei diversi stakeholder dell’attività portuale?
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