Ecco perché i porti, la cantieristica e la nautica chiedono le Comunità energetiche portuali
Un emendamento al Ddl Concorrenza chiede che azionisti e membri non siano solo le Pmi e che promotori possano essere anche i privati e non solo soggetti pubblici
Assiterminal, l’associazione confindustriale dei terminal portuali italiani, domani, martedì 19 settembre, sarà udita dalla IX Commissione del Senato in merito all’iter del DDL Concorrenza e nell’occasione rappresenterà una proposta normativa per dare corso alla costituzione delle Comunità Energetiche Portuali (Cerp). Si tratta di una proposta condivisa con le associazioni dello shipping, della cantieristica, del terminalismo e della nautica da diporto “perché l’obiettivo – spiega l’associazione – è ampliare la base di partecipazione per ampliare il consenso e provare a puntare al risultato”.
Ma cosa sarebbero in concreto e per quale motivo vengono ora invocate queste Comunità Energetiche Portuali? La risposta a questo interrogativo la illustrerà il presidente di Assiterminal, Luca Becce, durante l’audizione ma la spinta in questa direzione arriva dall’entrata in vigore della Direttiva comunitaria 2003/87/CE European Emission Trading Scheme (EU – ETS) estesa anche al trasporto marittimo.
Becce spiega infatti che “l’inclusione del trasporto marittimo è avvenuta per effetto della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio (UE) 2023/959 del 10 maggio 2023 che gli Stati membri UE sono tenuti a recepire entro fine anno. In base al sistema ETS, dal 2024 le compagnie di navigazione dovranno, progressivamente, acquistare e trasferire permessi (‘EUAs’) per ogni tonnellata di emissioni CO2eq rilasciata nell’atmosfera durante un anno solare. A partire dal 2027, le compagnie dovranno, in pratica, pagare, indipendentemente dalla nazionalità o bandiera della nave, per il 100% delle emissioni GHG generate nelle tratte intra-EU e il 50% delle emissioni GHG nelle tratte internazionali da o verso uno scalo europeo”.
Ciò comporta, per ammortizzare l’aumento dei costi di trasporto marittimo, l’esigenza di adottare tutte le iniziative utili a favorire la maggior capacità possibile dei porti di essere hub energetici: “Il Cold Ironing certamente è uno degli strumenti più utili – e non derogabili – ma non solo: questo, evidentemente può provocare un forte pregiudizio per la competitività del nostro settore verso l’industria portuale dei Paesi non-Ue (dai porti del nord africa a quelli inglesi…) che non è soggetta a analoghe normative ambientali e quindi che si troverà ad essere economicamente ancor più competitiva rispetto a noi” aggiunge il vertice di Assiterminal.
L’obiettivo di fondo è dunque quello di “accelerare la transizione energetica nei porti” e di “poter fruire di norme uniformi sul territorio nazionale, nonché di strumenti adeguati”. L’interesse è quello di “disciplinare compiutamente gli aspetti afferenti il ‘cold ironing’ insieme a quelli delle ‘comunità energetiche portuali’ funzionali alla promozione di un unico, potenziale, sistema e processo, utile alla transizione energetica, efficientamento energetico, nonché abbattimento delle emissioni in atmosfera derivanti dalle attività portuali e marittime nei porti italiani”.
Un’impostazione normativa uniforme su tutto il territorio nazionale “eviterebbe differenziazione tra modelli potenzialmente distorsivi della concorrenza interna (tra porto e porto, ovvero sistemi di Autorità di Sistema Portuale) e favorirebbe maggiormente il dialogo pubblico – privato (concedente – concessionario) per la realizzazione di progetti efficaci, così come avviene in altri analoghi contesti europei” sottolinea Becce.
“Siamo fermamente convinti – è la conclusione – che anche attraverso lo sviluppo di strumenti che agevolino i privati (che operano su demanio pubblico) a investire per favorire una propria autonomia energetica in collaborazione con il pubblico (che gestisce il demanio) possa favorire la messa a sistema della maggiore produzione possibile di fonti energetiche da utilizzare sia per le diverse modalità di trasporto che per i benefici conseguenti sul territorio.
Tutto ciò premesso la proposta di prevedere che la Cerp possa essere costituita/partecipata da un ampio alveo di soggetti esercenti concessioni demaniali, nonché da soggetti produttori, amplia potenzialmente l’efficacia della stessa sia dal punto di vista di produzione che dal punto di vista dei beneficiari”.
La relazione illustrativa specifica che la proposta emendativa “mira a favorire, nonché propone, una disciplina organica, effettiva e semplificata, alle Comunità energetiche in ambito portuale”. Fra le richieste c’è quella di “derogare al limite […] che, nel caso di comunità energetiche, i relativi azionisti o membri sono [..], piccole e medie imprese. Infatti diverse imprese concessionarie non rientrano nella definizione di Pmi e da una tale limitazione normativa si giungerebbe al tanto indesiderato, quanto irrazionale, effetto di impedire (o per lo meno svilire) la costituzione di Comunità energetiche portuali”.
Sulla costituzione e gestione della Comunità energetiche portuali si cheide poi di lasciare aperte due ipotesi: che la Cerp sia costituita su iniziativa ‘pubblica’, ossia dell’Autorità di sistema portuale, oppure, nell’eventuale inerzia delle ente pubblico, su iniziativa ‘privata’ delle imprese concessionarie di aree portuali interessate.
N.C.
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