“L’autogol sul transhipment container rischia di far perdere completamente i traffici extra-Ue”
Rossi (Assarmatori) quantifica invece in 100mila euro in più a viaggio per navi da 8.000 Teu l’extra-onere per i container destinati all’Europa
“Siamo di fatto alla vigilia dell’entrata in vigore della normativa e solo adesso si prende piena consapevolezza del rischio che stiamo correndo”. Inizia così il contributo che Alberto Rossi, segretario generale di Assarmatori e avvocato partner dello studio Advant Nctm, dedica al tema dell’Emission Trading System intitolandolo ‘Gioia Tauro a rischio per l’ETS: bisogna fare presto!’.
Ma andiamo con ordine e facciamo un piccolo passo indietro. L’estensione del regime al trasporto marittimo origina nel 2021, con una proposta della Commissione in tal senso, contenuta all’interno del pacchetto Fit for 55. All’esito del negoziato europeo, nel solito trilogo dove si fa fatica a toccar palla, e grazie al lavoro emendativo di alcuni Europarlamentari del nostro Paese che comprendono i rischi contenuti nella misura, nella Direttiva finale del Parlamento e del Consiglio dello scorso maggio vengono inserite alcune misure di esenzione per tutelare alcuni segmenti ritenuti a rischio, come i collegamenti con le isole minori. Peraltro la stessa Direttiva fortunatamente riconosce – ma si sono sudate le sette camicie per arrivare a questo risultato – il pericolo di elusione e “trasferimento delle attività di trasbordo verso porti al di fuori dell’Unione in assenza di una misura mondiale basata sul mercato” o di “misure di mitigazione”. Rischi che comprometterebbero anche il raggiungimento degli obiettivi e, quindi, l’efficacia stessa della Direttiva a causa delle distanze supplementari percorse dalle navi a scopi elusivi.
Tuttavia, il correttivo pensato per non incappare in questa problematica non è sufficiente. Per scongiurare il rischio di elusione, infatti, la Direttiva delega alla Commissione di mettere a terra la cd. “regola delle 300 miglia”. In sintesi, la regola esclude dalla definizione di “porto di scalo”, rilevante per la determinazione della tratta ai fini del calcolo ETS, i porti situati nell’arco delle 300 miglia nautiche dai confini della Unione in cui la quota di trasbordo di container superi il 65% del traffico totale di container. In questi porti la toccata non verrebbe conteggiata. Pertanto, il regime ETS (che si applica alle emissioni realizzate nella tratta immediatamente precedente e successiva al porto europeo) vedrebbe conteggiato non il 50% delle emissioni registrate dallo scalo nei porti situati nelle 300 miglia e fino al successivo scalo UE, ma nell’intera tratta percorsa dal porto extra-UE immediatamente precedente (per esempio un porto cinese) fino al primo porto europeo.
In questo modo si è pensato di pareggiare il level playing field competitivo tra servizi portuali resi nei porti del nord Africa rispetto a quelli dei principali porti di transhipment dell’Europa mediterranea.
Rossi, spiega, numeri alla mano, perchè le misure anti-elusione introdotte dall’Unione Europea (la cd. “regola delle 300 miglia”) non è sufficiente a evitare che le compagnie di navigazione decidano di trasferire l’attività di trasbordo container sulla sponda opposta del Mediterraneo, in Nord Africa, penalizzando porti come Pireo, Malta, Gioia tauro, Sines e altri del Sud Europa.
Lo strumento anti-elusione pensato da Bruxelles “non è adeguato per una ragione economica e si sa che, quando i conti non tornano, rimane poco spazio per le chiacchere” scrive Rossi. “Una compagnia marittima che ha eletto un porto UE per le proprie attività di transhipment (sia essa CMA-CGM a Malta, MSC a Gioia Tauro o Cosco al Pireo per semplificare) ed effettuato cospicui investimenti per rendere tali impianti efficienti, dovrà mettere in conto che affronterà costi operativi ben maggiori (dovuti al regime ETS) rispetto ai propri competitors che avessero prescelto di operare (e investire) nei porti del nord Africa (Tanger Med e Port Said in testa)”.
Aiuta nella comprensione “l’esempio di una nave che parte da Singapore (porto non UE), scala Gioia Tauro (porto UE) e poi va ad Anversa (altro porto UE). La compagnia si troverà a pagare il 50% delle emissioni generate fra i primi due porti e il 100% di quelle fra i secondi due. Ma se lo scalo intermedio fosse a Port Said o a Tanger Med, ecco che anche sulla seconda tratta pagherebbe il 50%. La differenza – scrive il segretario generale di Assarmatori – per una nave di medie dimensioni di circa 8000 TEUs di portata è di circa 100 mila euro a viaggio (su un totale di 450 mila euro a viaggio). Le navi impegnate su questi trade sono migliaia, circostanza che porta il gap competitivo a decine di milioni di euro all’anno”.
Secondo l’esperto avvocato marittimista, però, “non è questo il vero problema. Circa il 50% del traffico intercontinentale negli hub è rappresentato da linee che collegano la regione Asiatica con le Americhe. La nave che parte da Singapore, scala Port Said e poi si dirige a New York non pagherà nulla, visto che verrebbero toccati tre porti non UE. Se lo scalo intermedio fosse Gioia Tauro, invece, ecco che dovrebbe pagare il 50% su entrambe le tratte per un costo che si aggira sui 500 mila euro a toccata. Questa è la vera differenza insostenibile”.
Il contributo aggiunge: “Il regime ETS è pensato per applicarsi al mercato in maniera indifferenziata e così farà laddove il relativo costo sarà assorbito dal cliente come peraltro avviene per l’energia elettrica prodotta da fonti fossili o per il trasporto aereo. Se invece il regime consentisse che due operatori (coloro che sono onerati dell’acquisto del certificato) vengano incisi in modo difforme, pare evidente che tale regime andrebbe modificato. Ecco spiegato che lo strumento pensato per garantire il level playing field non funziona perché ipotizzare di non contare (semplicemente) Tangeri come porto di scalo per rotte marittime con destini o provenienze europee riduce il gap dei costi per queste rotte, ma non incide affatto e quindi non risolve il tema relativamente alle rotte che passano in quei porti in transito da paesi extra Ue. Si parla di centinaia di milioni di euro/anno di extra costi che, se non aboliti con idonee modifiche alla Direttiva, comporteranno la de-localizzazione delle linee di transhipment attualmente nei porti hub del mediterraneo (Gioia Tauro in testa ma anche Malta, Algeciras e Sines) presso porti nord africani (i soliti noti, ma anche nelle neo costruite strutture degli algerini che saranno sicuramente a fregarsi le mani per questo ennesimo autogol della Unione)”.
Evidenti i rischi per l’Italia se l’impegno di Msc su Gioia Tauro dovesse ridimensionarsi: “Perdita di posti di lavoro, ma anche mancanza di controllo da parte del nostro Paese degli snodi fondamentali della logistica”.
Rossi conclude sottolineando che “occorre velocizzare il riesame da parte della Commissione Europea circa il funzionamento della Direttiva, per individuare e prevenire già in una fase iniziale i comportamenti elusivi, con l’obiettivo di giungere a una revisione tempestiva della stessa prima che i processi di trasferimento delle linee marittime diventino potenzialmente irreversibili. Ed è necessario, al contempo, arrivare a escludere dalla definizione di ‘porto di scalo’ anche i porti UE maggiormente a rischio (per quanto riguarda i traffici extra UE/UE) e sospendere il regime ETS per i traffici in transito per le rotte extra UE/extra UE”.
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