Federagenti propone “un modello Italia per i porti italiani”
Il presidente Santi ha invitato anche a ripensare l’allontanamento dalla Cina, promuovendo al contempo la Via del Cotone
Modello spagnolo o porti-città in salsa anseatica? Rotterdam o Pireo? Niente di tutto questo, per Federagenti la portualità italiana ha bisogno di un altro modello, il modello italiano. Lo ha ribadito a Taranto, durante l’assemblea annuale della federazione nazionale degli agenti marittimi (non a caso intitolata “Porto Italia”), il presidente Alessandro Santi, declinando la posizione degli associati nel dibattito del momento sull’annunciata (dal Governo) riforma portuale: “Un identikit di quello che dovrebbe essere, dal nostro punto di visto molto pratico e ‘di banchina’, l’assetto della portualità italiana”.
Santi prima sintetizza i desiderata di Federagenti: “Per troppo tempo abbiamo cercato di emulare modelli che non sono replicabili per l’Italia. Quello che occorre è una visione unitaria e centrale, un controllo statale della risorsa demaniale e delle scelte strategiche su di essa e un modello da applicare che sia personalizzato, ‘made in Italy’, che sappia cioè cogliere le peculiarità italiane”.
E poi li esplicita: “Non abbiamo bisogno di uno stravolgimento della 84/94 ma abbiamo bisogno di un aggiornamento e di un completamento attuativo che vadano nella direzione dello snellimento burocratico (semplificazione e digitalizzazione dei processi) e dell’armonizzazione del sistema di gestione delle risorse pubbliche da parte delle singole Adsp (concessioni, tasse d’ancoraggio, ad esempio). Abbiamo bisogno di una più forte collaborazione e interazione tra pubblico e privato sia a livello di investimenti strategici (nel perimetro dello strumento concessorio) che a livello di governance delle Adsp, rivedendo lo strumento degli organismi di partenariato e anche dei comitati di gestione nella misura in cui in essi non vediamo maturare la sintesi sperata ed auspicabile delle tensioni tra porto e città. Abbiamo bisogno di una regia nazionale in seno al Mit che diventi la cabina di regia operativa per le Adsp”.
Ma come l’Italia dei porti ha bisogno di rivendicare una propria autonomia organizzativa, così, secondo il numero uno degli agenti marittimi, occorre più in generale che il Paese si svincoli da politiche dettate altrove per interessi altri. “Dobbiamo, noi e gli altri paesi Ue, seguire gli Stati Uniti nella politica di disaccoppiamento dalla Cina?” si chiede ad esempio Santi: “Noi come gli altri paesi della Ue? La risposta è, compatibilmente con i legami extra-economici che ci legano agli Usa, è no. La Cina è un soggetto antagonista per la politica americana ma partner fondamentale e in parte insostituibile per i paesi europei”.
Atteggiamento che secondo Santi non precluderebbe le possibilità della Via del Cotone: “L’Imec (India-Middle East-Europe Economic Corridor), che punta a spostare in maniera più efficiente merci, energia pulita e dati, creando un’alternativa geoeconomica al collo di bottiglia di Suez (ed eventualmente a quello dello Stretto di Hormuz) e ‘ideologica’ alla Belt and Road Initiative (Bri), la Via della Seta cinese, ha un vantaggio: mentre la Bri è progettata a livello centrale, l’Imec si basa sulla consultazione di tutti gli interessati”.
Un’agenda fitta, quella di Federagenti, su cui è stato subito smarcato un impegno, con la firma avvenuta proprio a Taranto – ha spiegato una nota –di “un accordo quadro di collaborazione col Comando Generale delle Capitanerie di porto, accordo in base al quale proprio gli agenti marittimi fungeranno da “dichiaranti” e quindi da “sentinelle” per la verifica quotidiana dei risultati di semplificazione, efficientamento e quindi anche di miglioramento operativo delle navi con effetti economici tangibili così come con benefici altrettanto pratici sull’ambiente.
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