Armella (Arcom Formazione): “Deglobalizzazione dei commerci in corso”
Nelle imprese mancano le figure professionali capaci di districarsi tra divieti di importazione, dazi doganali, accordi di libero scambio e altre questioni doganali che possano migliorare l’export italiano
Il Forum del commercio internazionale andato in scena a Milano e organizzato da ARcom Formazione “certifica” il ritorno al protezionismo commerciale. Anche in sede europea, infatti, proliferano i regolamenti che hanno raggiunto quota 35 e spesso le imprese italiane non sanno affrontare queste complessità non avendo al proprio interno esperti di commercio internazionale ed essendo la formazione carente. Solo l’11% delle aziende ha un responsabile delle questioni doganali al proprio interno, mentre il 9% sta formando questa figura.
Nell’incontro è emerso come la ‘deglobalizzazione’ del commercio sia cominciata con la crisi finanziaria del 2008 ma la pandemia ha dato un’accelerazione significativa: le misure protezionistiche in vigore nel mondo sono salite a circa 3.000 tra dazi, sanzioni e quote di esportazione con un incremento del 714% dal 2008 al 2022.
Il ritorno al protezionismo commerciale riguarda anche l’Unione Europea, con 350 differenti obblighi normativi da rispettare in fase di import e di export e rappresenta un fattore di notevole complessità per tutti gli operatori che operano nel commercio internazionale. “Queste difficoltà dovrebbero essere vissute come un’autentica urgenza dalle imprese italiane ma solo un’impresa su due prevede procedure interne di prevenzione dei rischi doganali e di aggiornamento circa divieti, limitazioni, contingenti previsti per l’import e per l’export” ha affermato Sara Armella, direttore scientifico di ARcom Formazione e tra i maggiori esperti europei in materia doganale in Italia.
Il Forum del Commercio ha constatato il tramonto del sistema multilaterale fondato sui principi liberisti dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) che si era consolidato negli anni ‘90. Durante l’emergenza pandemica le catene di approvvigionamento si sono interrotte, inducendo molti Paesi ad avviare politiche di riduzione della dipendenza strategica dall’estero, con effetti significativi su investimenti e scambi mondiali. Una tendenza che si è rafforzata anche a causa del disaccoppiamento tra l’economia statunitense e quella cinese, fino al conflitto russo-ucraino e a quello recente scoppiato in Medio Oriente.
“L’Italia è il sesto Paese al mondo per volumi di esportazioni e ottavo nella classifica mondiale dei Paesi importatori” ha proseguito l’avvocato Armella, aggiungendo che “un’impresa italiana che vende in tutto il mondo deve essere a conoscenza delle barriere come delle opportunità presenti alle dogane di destinazione, altrimenti si corre il rischio che i suoi prodotti vengano respinti o restino bloccati in porti e hangar fino magari a deteriorarsi. Va benissimo parlare di Made in Italy e di export ma tutti i ragionamenti devono essere agganciati alla realtà concreta di queste merci che si muovono in giro per il globo terracqueo. In Italia operano 120.319 imprese esportatrici e 99.995 imprese importatrici ma mancano le figure professionali capaci di districarsi tra divieti di importazione, dazi doganali, accordi di libero scambio e altre questioni doganali che possano migliorare l’export italiano, il cui valore nel 2022 ha superato i 625 miliardi di euro. Soltanto l’11% delle aziende ha un responsabile delle questioni doganali aziendali, mentre il 9% sta formando questa figura”.
Attualmente sono in vigore circa 350 provvedimenti in materia, di cui 177 misure definitive di difesa commerciale, 117 antidumping definitive, 21 antisovvenzioni e una misura di salvaguardia, con un incremento di 14 misure rispetto al 2021. In un anno l’Unione europea ha sottoposto a controllo 38.500 domande di esportazione per beni dual use (per uso civile e militare), per un valore di 45,5 miliardi di euro, mentre sono state vietate 560 operazioni di export, per un valore totale di 7 miliardi di euro. Sono in costante aumento anche i divieti: dall’invasione russa dell’Ucraina, l’Unione europea ha adottato undici diversi pacchetti di sanzioni che vietano l’importazione e l’esportazione di numerosi prodotti.
Le catene di fornitura internazionale devono fare i conti anche con un crescente intervento dei Governi nella regolamentazione dei flussi di prodotti esteri, motivata da valori etici quali la sostenibilità ambientale, la tutela dei lavoratori, i conflict minerals, ecc. L’Unione europea ha da poco approvato una serie di divieti e nuovi dazi, come il Cbam, la plastic tax, le norme sulla deforestazione, regolamenti di cui però due imprese italiane su dieci non sono a conoscenza, come emerge dalla ricerca condotta da ARcom Formazione con AstraRicerche.
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