“L’automazione e la produttività dei terminal non sia vanificata dai colli di bottiglia a terra”
Farneti (MacPort) sottolinea la necessità che gli investimenti privati siano accompagnati da sostegno e supporto pubblico allo sviluppo di infrastrutture adeguate
Gli investimenti in macchine per la movimentazione portuale di ultima generazione – green, performanti e ad alto tasso di automazione – rischiano talvolta di essere parzialmente vanificati se non sono accompagnati da retroporti e infrastrutture portuali all’altezza. Lo ha evidenziato Giorgio Farneti, general manager di MacPort, durante il Business Meeting ‘Container Italy: integrazioni verticali e cambiamenti epocali’ organizzato da SHIPPING ITALY e SUPPLY CHAIN ITALY, che si è svolto a San Donato Milanese lo scorso 13 novembre.
“Grazie ai contributi di Industria 4.0 il parco macchine italiano è stato attraversato da una grande ondata di rinnovamento, ad esempio nel terminal Sct di Gallozzi a Salerno” ha ricordato il manager. “Questa tecnologia però non può essere presa come elemento a sé stante, non può essere decontestualizzata” ha aggiunto, sottolineando poi – come fatto durante l’evento anche dall’imprenditore portuale genovese Giulio Schenone – che l’intermodalità deve essere accompagnata dal supporto pubblico: “Dal 2015 al 2021 nella Ue sono stati riversati 1.500 miliardi nelle strade e solo 930 milioni in reti ferroviarie”. Se pure i privati, da parte loro, “continueranno a investire”, queste innovazioni devono “trovare sponda nelle realtà che collegano porti ai retroporti”.
Uno sguardo ‘al futuro’ durante il meeting sul tema delle operazioni portuali è stato offerto anche da Gianmarco Bilotti, terza generazione della famiglia che ha fondato Macport, realtà da 14 anni parte di Liebherr, nonché suo sales manager. Nel corso del suo intervento Bilotti ha presentato i casi delle gru portuali ship-to-shore semi automatiche installate dal gruppo a Brisbane nel Patrick Terminal. Nei mezzi, a guida remota, “il ciclo operativo viene eseguito dall’operatore nella fase di pick del contenitore e di sollevamento fino ad una quota di sicurezza” ha spiegato. “Dopo di che entra in azione la guida automatica che posiziona il contenitore in un punto target, ad esempio la navetta, ottimizzando il percorso e l’energia richiesta”. Un secondo esempio è stato quello delle tre Rmg installate nel terminal intermodale Carolina Connector Intermodal Terminal di Rocky Mount, nel North Carolina. In questo caso “il sistema operativo della gru dialoga direttamente con il TOS del terminal per definire le azioni da compiere”, anche se “per ragioni di sicurezza e per poter gestire alcuni carichi speciali, vi è la possibilità di operare in remoto le gru facendo sempre uso delle Remote Operating Stations”. Ultimo caso mostrato è stato quello delle Rtg alimentare a diesel del porto di Duqm, in Oman, “che non hanno quindi il cablaggio elettrico per l’alimentazione, entro il quale passa la fibra ottica per la trasmissione dei dati. Grazie ad una configurazione speciale, è stato possibile dotare il terminal di una Mesh Wi-fi,che garantisce una stabilità di segnale adeguata per poter operare in sicurezza”.
Bilotti ha infine invitato a indirizzare l’attenzione, “in un periodo storico così incerto”, sui costi totali di un progetto di automazione per valutarne la sostenibilità. Se l’esborso per la gru è visibile, si tratta però della punta di un iceberg di cui è bene considerare anche altri elementi quali il suo ciclo di vita, la sua affidabilità, i costi legati ai downtime e alla manutenzione, la disponibilità e le spese per le parti di ricambio.
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