Su del 15% i noli Cina – Italia nell’ultima settimana
Ikea e Abercrombie&Fitch sono intanto tra le prime aziende di peso mondiale ad ammettere possibili problemi di fornitura a seguito della crisi del Mar Rosso
L’ultima edizione dell’indice relativo ai noli container elaborato da Drewry pare recepire già, ma non del tutto, la spinta al rialzo data dall’abbandono della via per il Mar Rosso dalle compagnie di navigazione.
Secondo la società di analisi, i prezzi delle spedizioni per l’invio di box da 40’ nell’ultima settimana hanno guadagnato in media il 9%, portandosi a quota 1.661 dollari per effetto in particolare dei rincari visti sulle tratte direttamente toccate dalle deviazioni. Nel dettaglio i noli per le spedizioni da Shanghai a Genova sono aumentati del 15% a 1.956 dollari nella settimana che si chiude oggi, mentre quelli dallo stesso porto cinese verso Rotterdam risultano in crescita del 16% a 1.667 dollari.
Si tratta, rileva l’analista Lars Jensen, esperto del settore, di incrementi che risultano inferiori ai surcharge che i vettori stanno iniziando ad annunciare e che portano le tariffe per le spedizioni marittime di container ai livelli dello scorso settembre. Come sottolinea Jensen, l’aumento medio dei noli non appare però solo legato all’”effetto-Houthi” sul percorso dal Mar Rosso e quindi da Suez, ma anche alla siccità del canale di Panama, che sta innalzando le tariffe per viaggi dall’Asia verso la costa orientale degli Stati Uniti (+8% sulla tratta Shanghai – Los Angeles nell’ultima settimana, che raggiunge così i 3.074 dollari per la spedizione di un box da 40’) e di riflesso anche verso la West Coast (+6%, 2.100 dollari), dove si presume che molti importatori stiano reindirizzando i loro carichi.
Al momento non si registrano invece conseguenze sui costi della tratta transatlantica, per la quale le tariffe variano di poco (stabile a 592 dollari la New york-Rotterdam, mentre la Rotterdam – New York addirittura cala del 2% a 1.480 dollari).
Ikea e Abercrombie&Fitch sono intanto tra le prime aziende di peso mondiale ad ammettere possibili problemi di fornitura a seguito della crisi del Mar Rosso, e della conseguente decisione di pressoché tutte le principali compagnie container di deviare i loro traffici per il Capo di Buona Speranza. L’azienda svedese di arredamento – riferisce Bloomberg – ha detto di paventare il rischio di carenze di alcuni prodotti, e ha evidenziato che sta cercando “altre opzioni” per assicurarsi la disponibilità di quelli che normalmente passano per il Mar Rosso e il canale di Suez, nel loro tragitto dall’Asia all’Europa. Ikea – ha dichiarato un portavoce aziendale – “rimane in stretto dialogo con i suoi fornitori di servizi di trasporto “per garantire la sicurezza delle persone che lavorano nella catena del valore” dell’azienda e per “prendere tutte le precauzioni necessarie per mantenerle al sicuro”.
Più radicale la reazione dell’azienda di abbigliamento statunitense Abercrombie&Fitch, che secondo un’email indirizzata ai suoi fornitori – riporta sempre Bloomberg – punta laddove possibile a trasferire le spedizioni sulla via aerea per evitare interruzioni nella supply chain. Interpellate da Reuters, numerosi altri big dell’economia mondiale – da Danone a Whirpool a Volvo – hanno spiegato che i loro carichi stanno seguendo rotte alternative ma segnalato di non attendersi al momento particolari difficoltà. Tra coloro che hanno ammesso “limitati impatti” sulle consegne si annoverano le svedesi Electrolux ed Essity (azienda specializzata in prodotti per l’igiene personale) e la norvegese Yara, che realizza prodotti chimici tra cui fertilizzanti. L’abbandono della via del Mar Rosso e di Suez avrà però impatti anche su altri tipi di merce quali prodotti del settore agroalimentare. Un allarme è stato lanciato ad esempio dagli esportatori indiani di uva da tavola, che si troveranno ad affrontare problemi molto simili a quelli che devono fronteggiare i loro colleghi sudamericani che vendono i loro grappoli negli Usa. La testata specializzata FreshPlaza ha riportato il caso dell’indiana Janki Freshyard Private Limited, che teme un grande impatto sulle prossime esportazioni dirette verso Europa, Regno Unito e in generale i mercati occidentali, e dell’egiziano Elteriak Farms, che per poter continuare a effettuare consegne ha detto di lavorare “con piccole aziende che non hanno problemi a transitare lungo la rotta del Mar Rosso”.
Passando infine alle aziende italiane, per il momento sulla crisi del Mar Rosso si è espressa Illy Caffè. Pur esplicitando preoccupazioni rispetto all’aumento dei prezzi, il presidente Andrea Illy, a margine delle celebrazioni per i 90 anni dell’azienda, ha detto di non temere ricadute sulla produttività aziendale.
“Con la crescente instabilità del Mondo, buona parte dei conflitti e delle crisi anche climatiche avranno protagonista, direttamente e indirettamente, il mare. Per questa ragione anche l’Italia deve dotarsi di strutture permanenti capaci di analizzare e prevedere i possibili scenari di crisi nelle diverse aree”.
Luigi Merlo, presidente di Federlogistica-Conftrasporto, nel corso della presentazione del suo libro ‘Rivoluzionare la politica marittima italiana’ a cura del Propeller Club di Spezia, ha affrontato la crisi in atto nel Mar Rosso dicendo: “Ciò che sta accadendo, unitamente alle limitazioni al canale di Panama, condizionerà ogni programmazione produttiva e distributiva e avrà probabilmente effetti negativi sull’inflazione. Giusto quindi che la Marina Militare Italiana partecipi alla missione in Mar Rosso, ma occorre dotarsi di una organizzazione stabile e non episodica e probabilmente anche nel nostro Paese, come accade già in diverse nazioni, il rapporto tra Marina Mercantile e Marina Militare rispetto ai traffici internazionali dovrà essere più forte, tenuto conto anche dello sviluppo delle tecnologie subacquee. L’economia di un Paese marittimo portuale basato sugli scambi commerciali come l’Italia è fortemente condizionata da ciò che succede in mare, e bisognerà tenerne conto”.
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