“Serve un Ministero del Mare che difenda i valori industriali e produttivi del sistema Paese”
Secondo Merlo (Federlogistica) il 2024 dovrà dimostrare che la conversione sulla via del mare non è solo uno slogan, ma si carica di misure concrete ed efficienti in grado di incidere in modo permanente sulla strategia del Paese.
Contributo a cura di Luigi Merlo *
* presidente Federlogistica
L’Italia, forse, ha scoperto i porti e la logistica, ma specialmente ha scoperto il mare, inteso come sistema articolato che rappresenta l’asse portante di un sistema economico basato essenzialmente su un flusso costante di importazioni ed esportazioni. E non è un risultato da poco per un Paese per decenni terrigno che ha considerato il mare come un valore ad assetto variabile. Il 2024 ora dovrà dimostrare che la conversione sulla via del mare non è solo uno slogan, ma si carica di misure concrete ed efficienti in grado di incidere in modo permanente sulla strategia del Paese.
Per la prima volta il Paese annovera un Ministero del Mare, ma ha bisogno di trasformare quella che è oggi un’idea o un auspicio, in un ‘vero’ Ministero del Mare, capace di agire con una visione globale sul rischio ambientale, e al contempo intervenire per dar impulso alla crescita del settore marittimo. Un Ministero del Mare che abbia reali competenze e forti connessioni con altri settori imprenditoriali, tecnologici e ambientali.
L’Italia, ma anche tutta l’Europa, si trova di fronte a cambiamenti epocali determinati dalle mutazioni climatiche, primo fra tutti quello relativo al rapido innalzamento delle acque. Un problema che la maggioranza dei cittadini ritiene sia confinato a Venezia e alla sua Laguna, ma che invece – come hanno dimostrato recenti mareggiate – riguarda tutte le coste italiane e tutti i porti italiani. Un esempio fra i tanti che potrebbero essere evocati per avvalorare la necessità di una vera e propria cabina di regia del mare, che consenta al Paese di affrontare le emergenze e di sfruttare le opportunità.
Se dal punto di vista ambientale l’elenco delle criticità che deriva dal cambiamento climatico è di tale magnitudo da far tremare le vene ai polsi di chiunque con buon senso comune si occupi di queste tematiche, l’Italia è oggi chiamata anche a difendere i suoi asset produttivi e industriali connessi con il mare, in primis l’industria cantieristica.
La notizia che è stata costruita la prima nave da crociera interamente in Cina non ha suscitato le reazioni allarmate che avrebbe dovuto sollevare. Il fatto che la componente più low cost dell’industria cantieristica mondiale, per l’appunto quella cinese, si cimenti in un settore in cui l’Italia è leader e che richiede skill e professionalità specifiche, avrebbe dovuto far scattare più di un allarme, ma non è stato così.
Come non pensare oggi a uno scenario in cui i colossi cinesi tenteranno di acquistare anche a prezzi enormemente alti quelle aziende dell’indotto cantieristico che garantiscono alle navi da crociera Made in Italy il valore aggiunto di stile, innovazione e qualità che è tipico della produzione italiana?
Il rischio di perdere il più importante asset industriale che l’Europa, e segnatamente Italia e Francia, erano riusciti prima a generare, quindi a difendere, è altissimo. Sulle rotte del Mediterraneo navigano già traghetti per il trasporto di passeggeri che sono stati realizzati in Cina; potrà accadere a breve anche con le navi da crociera, certo complesse, ma proprio per questo caratterizzate da professionalità e da specializzazioni aziendali che possono essere acquistate?
Di queste tematiche auspichiamo possa occuparsi coordinando gli sforzi e le scelte un vero Ministero del Mare che sia in grado di varare azioni incisive su temi delicati come quelli relativi alla sicurezza in mare e alla difesa delle infrastrutture portuali, esposte ai cambi di scenario prospettati o già in essere per le mutazioni climatiche. Un Ministero del Mare che sappia anche coordinare gli altri dicasteri e schierare una forza compatta a difesa dei valori industriali e produttivi del sistema Paese. E ciò in forza di una politica e di una strategia marittima che, dopo decenni di quella che eufemisticamente si potrebbe chiamare “carenza di attenzione”, deve diventare un elemento di forza e non una penalizzazione per il Paese e l’intera sua economia.
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