Mazzarelli (Biobunker Med) presenta il progetto del carburante green ‘made in Italy’
Dai risultati dei test in laboratorio il biobunker ottenuto è, in termini di viscosità e di potere calorifico, ancora migliore della miscela con biodiesel e riporta risultati parimenti importanti rispetto alla riduzione di Co2, di Nox e anche di costi
Il percorso degli armatori verso la decarbonizzazione nel trasporto marittimo imposta dall’Imo e dalla Unione Europea da anni è in salita e ora accelera in vista delle scadenze dettate dall’Ets (Emission Trading System). La società Bio Bunkermed, ‘start up’ ideata e guidata dall’amministratore delegato Dario Mazzarelli, ha come scopo la produzione e lo stoccaggio di un combustibile che sarebbe già pronto e utilizzabile senza dover stravolgere la tecnologia della quasi totalità delle navi mercantili esistenti, né la logistica, né altro. Proprio Mazzarelli in questa intervista rilasciata a SHIPPING ITALY, parla di questa novità e delle prospettive possibili per le compagnie di navigazione.
Mazzarelli partiamo dal raccontare come è nata questa iniziativa?
“Vengo da una famiglia di armatori, ma ho un’esperienza di 20 anni maturata nel settore del bunkeraggio. Dal 2011 ho scelto di dedicarmi principalmente all’attività di biocarburante, in cui ho sempre creduto. Non appena si è cominciato a parlare di CII, Imo Ets, sulla scorta delle mie esperienze anche nel Nord Europa e Far East, ho proposto al mio attuale socio Riccardo Marchetti (del gruppo Adamant, attivo a livello europeo nel biodiesel e nel feedstock) di costituire una realtà operante nel campo del bio-bunkeraggio. Una realtà che auspico possa prendere il via anche in Italia a marzo 2024.”
Qual è esattamente l’obiettivo di Biobunker Med?
“Quello di ‘avere’ un nostro biobunker che sia un ‘Made in Italy’: composto da olio combustibile italiano e componente biodiesel italiana. Stiamo portando avanti una trattativa con una società petrolifera per produrlo e avere nostri stoccaggi del nostro prodotto che può essere utilizzato, da subito, dalle navi che vanno ad olio combustibile, sto parlando quindi del 90% del naviglio mercantile esistente. In seguito prevediamo di realizzare una miscela di gasolio 001 e biodiesel.”
Qual è il freno a questa che sembra una soluzione quasi ‘miracolosa’ per gli armatori?
“Purtroppo in Italia il problema è sempre quello di rimanere ingessati in normative poco chiare e nella lentissima burocrazia. Normativa che oggi non è ancora definitiva e che tra l’altro sta imponendo ulteriori aggravi agli armatori in Italia, che dai primi rumors dovranno essere certificati, come lo siamo noi produttori.
Quello che stiamo proponendo, insieme ad Assarmatori, è un combustibile semplificato come già è possibile avere nel Nord Europa che si ottiene con la miscela di olio combustibile con la cosiddetta ‘materia prima pretrattata’ (invece del biodiesel), cioè nello specifico l’olio di anacardo. Dai risultati del trial di laboratorio che abbiamo svolto il biobunker che ne deriva è, in termini di viscosità e di potere calorifico, ancora migliore della miscela con biodiesel (Fame) e riporta risultati parimenti importanti riguardo alla riduzione della Co2, di Nox e anche di costi.”
Non ci sono criticità di nessun genere?
“La materia prima è reperibile in grande quantità. Dal lato utilizzo da parte della nave non esiste alcun problema perché con le nostre sperimentazioni sappiamo che la miscela dal 10 al 20%, che siamo praticamente già riusciti ad ottenere, è quella che fornisce il risultato ottimale. Con la materia prima pretrattata poi il tutto è ancora più semplice: miscelandola al 24% (e non oltre) con l’olio combustibile si ottiene la soluzione ottimale. Gli armatori dovranno unicamente orientarsi insieme verso pochi tipi di biocarburante per permettere la migliore distribuzione. Con tutto ciò sottolineo che, dai calcoli eseguiti, oggi per essere compliance con l’Ets del 2025 è sufficiente miscelare al 4-5% l’olio combustibile.”
Riguardo al costo del prodotto di che livello di riduzione stiamo parlando?
“Va fatta questa considerazione: con l’Ets l’armatore, nell’ipotesi più favorevole, pagherà un surplus di 90 euro per tonnellata di Co2 prodotta, il che significa che dovrà sostenere un costo enorme per quella che è sostanzialmente una multa. Stiamo lottando proprio per far avere gli incentivi alla materia pretrattata, che in questo momento non li ha, a differenza del biodiesel. A quel punto con il pretrattato non ci sarebbe alcun aggravio di costo. Mentre con la miscela con il biodiesel, che è comunque più cara del gasolio normale, cercheremo di arrivare a un ‘punto di indifferenza’ inducendo l’armatore ad essere compliance per non essere soggetto a una multa che tra l’altro peggiora il rating della sua flotta.”
Quale previsione potete azzardare per il recepimento della normativa completa?
“I ministri Pichetto Fratin e Musumeci hanno abbracciato questa nostra istanza, ma al momento non siamo in grado di sapere quanto tempo sarà necessario per ottenere i chiarimenti che ci occorrono. Per ora il quadro normativo afferma che il biobunker in Italia sarà possibile. Ma questo quadro normativo dovrà essere chiarissimo perché ad esso sono collegate le problematiche doganali e logistiche che nel nostro Paese, come tutti sappiamo, si prestano a diverse interpretazioni.
A gennaio-febbraio dovrebbe uscire una direttiva che regola tutta la serie di operatività relativamente al biobunker. Speriamo in questa tempistica perché poi dovrà essere armonizzata con le norme europee e da lì potremo capire anche se i benefici previsti per l’utilizzo del biocarburante saranno intestati agli armatori, o ai trader, o a chi gestisce la fase del consumo. Sono differenze di non poco conto. Una prima versione prevedeva l’intestazione a chi li immetteva al consumo, cioè era la società petrolifera che si prendeva questi vantaggi, adesso sembra ci sia un’apertura più europea, ma per ora sono solo indiscrezioni.”
Nel frattempo come riuscite a procedere senza perdere la rotta?
“Siamo impegnati nel trovare ugualmente gli accordi con chi ha la logistica, ma la mancanza di tempi certi rende tutto più complicato e farraginoso.”
A suo parere quale strada prenderanno gli armatori nei prossimi mesi?
“A marzo 2025 gli operatori dovranno rendicontare sull’Ets, quindi o pagheranno le multe o inizieranno a ridurre le emissioni. La soluzione per essere compliance con l’Ets è abbattere le emissioni con le miscele di biocarburante.
Abbiamo già saputo che alcuni armatori aumenteranno il noleggio del container di 300 dollari al giorno sulle navi che transiteranno nell’area Eca del Mediterraneo. E che stanno già comprando le quote Ets, in previsione anche di un aumento della quota stessa.
Da qui a due-quattro mesi, se in Italia saranno chiariti tutti quei punti che riguardano le modalità, la miscelazione e anche il feedstock (materia prima) per miscelare il biobunker, l’armatore si troverà di fronte a due reali possibilità: comprare le quote o miscelare con biocarburante. Per lui è più semplice la prima: comprare le quote, essere compliance e ribaltare il costo sul noleggio del container. Viceversa noi stiamo cercando di rendere il biocarburante attrattivo anche dal punto di vista del prezzo, in modo che l’armatore scelga questa seconda strada.”
Mentre nel Nord Europa a che punto stanno sotto questo aspetto?
“A Rotterdam vengono movimentate circa 600.000 tonnellate l’anno di biocarburante ed alcune autorità portuali si stanno già muovendo per vietare ai camion che transitano in porto l’alimentazione a gasolio chiedendo anche per questi l’alimentazione a biocarburante oppure con l’elettricità.”
Dove sarà focalizzata l’attività di BioBunker Med?
“Siamo focalizzati sull’Italia e speriamo di poter fornire prodotto a Genova, Livorno, Civitavecchia, Napoli e nell’Adriatico a Venezia, Ravenna, Trieste e Ancona. Ovviamente non potremo avere logistica in tutti i porti citati: in alcuni avremo partnership con altre realtà. Aspettiamo quindi con ansia che il Ministero delle Infrastrutture, le autorità fiscali, la dogana e il ministero della Transizione Energetica ci diano delle indicazioni chiare.”
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