Legittime le maggiorazioni dei canoni di banchine “asservite” ad aree private
Ribaltato il verdetto iniziale su Sintermar e Grandi Molini a Livorno: i terminal sono maggiormente sfruttabili se contigui a spazi privati
Sintermar e Grandi Molini Italiani dovranno pagare il canone maggiorato che dal 2021 chiede loro l’Autorità di sistema portuale di Livorno, ma gli effetti della pronuncia del Consiglio di Stato potrebbero travalicare i confini toscani e investire quei porti dove più frequente è il caso di terminal portuali collocati in adiacenza ad aree private.
Il caso delle due società concessionarie di banchine e aree nel primo caso e di sola banchina nel secondo, infatti, riguarda il surplus chiesto loro dalla locale Adsp per il fatto che in entrambi i casi trattasi di spazi contigui ad aree di proprietà dell’una e dell’altra azienda. Il Tar in primo grado aveva accolto il ricorso di Sintermar e Grandi Molini, ma ora il Consiglio di Stato ne ha cassato la sentenza perché errata è l’attribuzione al canone, da parte dei giudici di prime cure, di una natura tributaria che per i giudici di palazzo Spada invece non sussiste.
“Il canone assolve ad una funzione sia corrispettiva del vantaggio scaturente dal diritto di uso esclusivo del bene demaniale, sia compensativa del nocumento patito dall’interesse pubblico soddisfatto dal non più consentito o limitato originario diritto di uso collettivo del bene medesimo” scrive il Consiglio di Stato, evidenziando che “In passato si è molto discusso sulla natura giuridica di corrispettivo pecuniario o di tributo del canone per l’uso di beni demaniali dati in concessione. Le diverse tesi elaborate in dottrina muovevano dalla differente concezione della demanialità e dunque del ruolo svolto dall’ente concedente. Tra queste prevalse originariamente la configurazione tributaria del canone concessorio (Cass. S.U. 1395/1968). La Corte di Cassazione, poi, ha mutato completamente avviso ed ha consolidato l’affermazione della natura di corrispettivo del canone di utenza, escludendone il carattere tributario. La Corte costituzionale ha avvalorato tale interpretazione”.
La disamina è molto approfondita e destinata a fare presumibilmente giurisprudenza: “Il canone concessorio è una «prestazione imposta» ai sensi dell’art. 23 Cost. che non ha tuttavia natura tributaria né può essere considerato come un mero canone locatizio poiché alla sua struttura e quantificazione concorre la specifica destinazione all’interesse pubblico impressa al bene demaniale. Tale destinazione impone che la determinazione del canone sia la più idonea al perseguimento dei fini di interesse pubblico che si ritengono meritevoli di soddisfazione”.
E la conclusione, che promuove le maggiorazioni, sarà senz’altro di interesse laddove – l’esempio più significativo è quello di Ravenna – laddove il demanio in concessione è pressoché limitato alle banchine affidate ai privati proprietari delle aree ad esse contigue: “Nella specie, la maggiorazione della tariffa assume quale mero presupposto di fatto la proprietà privata, che resta un elemento estraneo alla debenza del canone. È solo l’area demaniale concessa in uso esclusivo che acquisisce un maggior valore, risultando maggiormente sfruttabile e più facilmente utilizzabile, in conseguenza della sua contiguità con altra area di proprietà dello stesso soggetto concessionario”.
A.M.
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