La crisi del Mar Rosso mette in difficoltà 154 miliardi di interscambio Italia -Cina
Le minacce al passaggio per Suez penalizzano import e approvvigionamenti necessari alla produzione
Vista dal lato degli scambi tra Italia e Cina, la crisi dei traffici via mare nel Mar Rosso e nel canale di Suez rischia di fare molto male non solo alle esportazioni ma anche all’import dal paese asiatico nella Penisola, fondamentale per gli approvvigionamenti di materie prime e semilavorati necessari alla produzione tricolore. Anche su questo tema hanno puntato l’attenzione Aice (la Associazione Italiana Commercio Estero, aderente a Confcommercio) e l’Iccf (Italy China Council Foundation), con un webinar andato ‘in onda’ oggi dal titolo “La crisi del canale di Suez: scenari sulla rotta commerciale Cina-Europa”.
La situazione è “molto, molto preoccupante” ha affermato David Doninotti, Segretario Generale Aice, nel corso dell’incontro on line, nel suo insieme attraversato da un non celato senso di nostalgia per l’iniziativa cinese della Belt & Road Initiative e alle opportunità logistiche che avrebbe potuto offrire (e dal conseguente rammarico per la fuoriuscita dell’Italia dal piano, definita dal governo Draghi e poi formalizzata da quello Meloni.
“Tutte le imprese sono coinvolte: chi opera internazionalmente in primis, ma a cascata anche tutte le altre”, ha continuato Doninotti evidenziando come i ritardi negli approvvigionamenti si traducano in ritardi produttivi. “Le nostre imprese lamentano difficoltà a rispettare i contratti di fornitura” ha aggiunto.
Concretamente, il solo scambio Italia Cina via mare, ha chiarito Alessandro Panaro, a capo del dipartimento Marittimo del centro studi Srm collegato a Intesa San Paolo, corrisponde a un valore di 154 miliardi di euro ed è pari al 40% del totale dell’import-export che passa per l’intero canale di Suez. In particolare Pechino rappresenta il primo partner per le importazioni via mare italiane il terzo paese di destinazione per l’export, dopo Usa e Regno Unito.
“Sia chiaro, l’infrastruttura non è chiusa, ma i transiti sono ora in media 58 al giorno (contro i 71 di prima della crisi e a fronte una capacità del canale di gestirne 90), ma il calo è in particolare del 55% per i transiti di portacontainer” ha sottolineato. Conseguenza diretta di questa tendenza è che i porti italiani più colpiti dai cali saranno quelli di Genova, Gioia Tauro, Trieste, La Spezia, ovvero quelli dove è più importante il traffico di contenitori.
Affrontare però le criticità generate dalla crisi del Mar Rosso in modo puntuale, ovvero porto per porto, chiedendo “supporti anziché attenzione”, vorrebbe dire però “non avere capito un’acca” della logistica e del fatto che questa è inserita nelle catene del valore, ha sottolineato da parte sua Umberto Ruggerone. Il presidente di Assologistica nel suo intervento ha inserito la crisi della tradizionale rotta via mare dall’Asia in un contesto già di grave difficoltà per l’Italia per via delle interruzioni sugli assi stradali e ferroviari transalpini. “L’ intero sistema paese ha difficoltà a comunicare con il mondo”, ha sintetizzato Ruggerone, evidenziando la necessità di avviare sul tema tavoli, anche a livello ministeriale, in cui al fianco delle associazioni della logistica siedano anche rappresentanti della committenza.
Quanto alle strategie operative da mettere in campo per fronteggiare la situazione, Riccardo Fuochi, qui nelle vesti di presidente di Olg International ltd di Hong Kong come già nei giorni scorsi Alice Arduni di Alix International ha indicato come buona pratica quella di diversificare i rischi del trasporto via mare imbarcando il proprio carico su più navi e rotte diverse. Dai rappresentanti delle due case di spedizione intervenute durante il webinar, ovvero la Logwin dello stesso Fuochi e Furlog, è poi emerso con nettezza come la via ferroviaria rappresenti ora una alternativa ancora più valida alternativa agli incerti transiti marittimi, anche rispetto alla costosa via aerea, nonostante alcune difficoltà (le chiusure in conseguenza della guerra in Ucraina) e grazie ad alcuni investimenti infrastrutturali che hanno risolto alcuni colli di bottiglia. I treni merci dalla Cina all’Europa, aveva evidenziato già nella sua presentazione anche Panaro, nel 2023 hanno toccato le 17mila unità, rivelando una crescita del 6% sull’anno precedente, per un totale di 1,9 milioni di Teu trasportati.
A concordare sulla opportunità di ricorrere al trasporto ferroviario per risolvere parte delle criticità attuali è stato nel corso del webinar anche Giampaolo Botta, che – come Fuochi prima di lui- ha descritto negativamente la scelta italiana di abbandonare l’iniziativa della Bri. Come Ruggerone, anche il direttore generale di Spediporto – associazione che riunisce spedizionieri, corrieri e trasportatori genovesi – ha inquadrato poi la criticità generata dagli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso non come un fenomeno a sé, ma che si aggiunge ad altre criticità logistiche italiane che impattano sulla “qualità dei servizi per le merci”, come la carenza di controlli rapidi a livello sanitario su quelle che arrivano nei porti.
Gettando lo sguardo ancora più avanti, ovvero provando a immaginare una nuova futura riconfigurazione del trasporto merci nel medio-lungo periodo, nel corso del webinar Panaro ha indicato alcuni fenomeni che potrebbero affermarsi come il ricorso a navi più piccole e il ritorno in auge, come già durante la pandemia, di un approccio just-in-case (ovvero “più magazzino”) al posto del just-in-time che nei mesi scorsi si stava rifacendo strada. Dal managing director di Furlog, Giuseppe Buganè è arrivato infine un richiamo alla decarbonizzazione, come tema che guiderà la prossima evoluzione delle supply chain nel contesto globale.
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