Allerta del Paris Mou sugli accordi per aggirare le detentions legate alle dark fleet
Il focus del Comitato segue l’allarme lanciato dai P&I sulle criticità del meccanismo del price cap al greggio russo, prima delle quali la crescita ormai fuori controllo d’una flotta ombra
C’è un allarme dark fleet fra i paesi del Paris Mou, l’accordo relativo alle operazioni di Port State Control in Europa.
Nella nota diramata a valle della 57ma riunione del Comitato del Paris Mou, tenutasi a Madrid poche settimane fa, si evidenziano infatti, definendoli inaccettabili ma senza fare nomi, “i recenti tentativi da parte di Stati di bandiera di concludere accordi bilaterali con gli Stati di approdo per evitare detenzioni”.
La crescita della cosiddetta flotta ombra sulla scia della guerra tra Russia e Ucraina ha visto molte bandiere di comodo raddoppiare o triplicare le dimensioni. L’Organizzazione marittima internazionale (Imo) ha recentemente invitato gli stati di bandiera a reprimere le attività illecite delle petroliere ombra e ad applicare le normative sulle operazioni da nave a nave. L’Imo ha inoltre chiesto agli Stati di approdo di sottoporre queste navi che trasportano greggio da Paesi soggetti a sanzioni internazionali a ispezioni rafforzate.
Tuttavia, contrastare il commercio illecito di petrolio russo e iraniano si sta rivelando difficile, poiché le reti di contrabbando impiegano metodi sofisticati e vi è una continua domanda dall’Asia di petrolio scontato.
Il mese scorso l’International Group of P&I Clubs ha presentato al parlamento britannico un report per dimostrare che il tetto al prezzo del petrolio, introdotto 17 mesi fa nel tentativo di tagliare le entrate russe, non funziona. I politici britannici hanno avviato un’inchiesta per verificare come funzionano le sanzioni contro la Russia. L’International Group, composto da 12 club P&I che coprono oltre l’85% del tonnellaggio mondiale, ha segnalato che più di 800 petroliere sono entrate in una zona d’ombra da quando è entrato in vigore il limite, mentre crescevano le critiche al meccanismo.
Il tetto consente a trader, armatori, noleggiatori e fornitori di servizi finanziari di impegnarsi nella vendita, nell’acquisto e nel trasporto di petrolio e prodotti petroliferi russi via mare, a condizione che il prezzo di vendita del petrolio o dei prodotti petroliferi russi sia pari o inferiore al prezzo stipulato dal G7. La prova del prezzo di vendita di tali prodotti dipende da un processo di attestazioni che devono essere fornite inizialmente dal commerciante di prodotti petroliferi.
“Queste attestazioni possono o meno fornire informazioni accurate sui prezzi, eventualmente esponendo armatori e assicuratori all’accusa di aver violato le regole” ha spiegato l’International Group: “Quello dell’attestazione è un sistema difettoso che potenzialmente espone sia il P&I Club che l’armatore, l’operatore o il noleggiatore a una violazione”. Le società assicurative hanno quindi avvertito che il price cap “appare sempre più inapplicabile” man mano che sempre più navi e servizi associati si spostano nella flotta ombra.
Il trasporto del petrolio russo attraverso l’Europa è stato oggetto di un controllo molto più approfondito nelle ultime settimane e non si esclude che l’Unione Europea adotti ulteriori e più stringenti misure. La marina greca ha reso impossibili i trasferimenti da nave a nave in una delle principali destinazioni europee per tali attività, nelle acque internazionali a sud-est delle isole del Peloponneso, sei miglia nautiche al largo della costa della Laconia, uno specchio d’acqua che ha visto petroliere legate alla Russia punteggiare l’orizzonte negli ultimi due anni.
Nel nord Europa, nel frattempo, gli stati litorali attorno al Baltico, guidati dalla Svezia, nuovo membro della Nato, stanno conducendo una campagna diplomatica per convincere altri paesi a sostenere una maggiore repressione della flotta ombra russa che attraversa la regione, preoccupati anche dal rischio di catastrofi ambientali legato all’uso di navi dal dubbio stato manutentivo e assicurativo, come sottolineato recentemente da Allianz: “Gran parte della flotta ombra è probabilmente mal mantenuta e potrebbe non essere stata sottoposta a ispezioni adeguate. Le petroliere ombra partecipano anche alla pratica pericolosa dei trasferimenti da nave a nave in mare aperto, oltre a disattivare i transponder Ais per oscurare la loro identità”.
Secondo Allianz, tali navi sono state coinvolte in almeno 50 incidenti fino ad oggi, tra cui incendi, guasti ai motori, collisioni, perdita di controllo e fuoriuscite di petrolio. “Nonostante gli sforzi per ridurlo, il numero di petroliere ombra è in realtà in aumento e abbiamo assistito a numerosi incagli e incidenti di collisione. Finché ci sono sanzioni contro paesi come Russia e Iran, la flotta ombra sembra destinata a restare”. Nondimeno si rileva che a questo punto lo smantellamento troppo rapido della flotta ombra di petroliere potrebbe causare un grave shock economico globale in termini di gap domanda-offerta di stiva.
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