Gli armatori italiani di traghetti iniziano a chiarirsi le idee sui carburanti del futuro
Dal comparto pare emergere una certa avversione verso il possibile impiego di ammoniaca, ma a predominare è ancora l’incertezza rispetto a capacità produttive o logistiche
Napoli – Indicare oggigiorno quale sarà il carburante marittimo del futuro e di conseguenza come una compagnia di navigazione intende muoversi nel prossimo futuro (fra nuovi ordini, retrofit o acquisti second hand di navi) sarebbe, secondo l’a.d. di Gnv Matteo Catani, come “rispondere alla domanda delle cento pistole”. Eppure, nonostante l’estrema incertezza che permea la materia, qualche orientamento di base inizia a intravedersi tra le compagnie attive nel settore italiano dei traghetti.
A sbilanciarsi maggiormente, nel corso del Business Meeting di SHIPPING ITALY appena andato in scena a Napoli e dedicato a questo comparto, è stato Grimaldi Group che, per voce di Dario Bocchetti, ha spiegato innanzitutto di vedere l’ammoniaca come inadatta all’alimentazione dei traghetti che trasportano passeggeri in quanto tossica, ma di ritenerla un’opzione percorribile ad esempio per le navi car carrier. Altre alternative, secondo Bocchetti, potrebbero invece essere quelle del bio-fuel e del metanolo.
A esprimere una posizione abbastanza netta durante il Business Meeting è stato anche Giorgio Barabino di Shell, che ha indicato una strada per il passaggio ai carburanti alternativi che vede allo stato attuale la preferenza per il Gnl e il Fame (fatty acid metil esther, ovvero il bio-diesel). Poi sarà il turno del bio-gnl, e ancora dopo quello dei synthetic fuel. Scartata invece dal manager al momento l’ammoniaca per via della sua tossicità (“la teniamo in stand-by”), mentre – sempre considerando lo stato attuale – secondo Barabino il metanolo non è una opzione perché “i modelli di business non lo indicano come economico”. Nonostante queste indicazioni di massima, il contesto secondo il manager di Shell resta altamente incerto, tanto che “non abbiamo risposta alla domanda se avremo disponibilità di carburanti sufficiente per soddisfare la domanda di tutti i mercati”, i quali peraltro competeranno tra loro per accaparrarsi fuel alternativi.
Anche Gnv, per voce dell’a.d. Catani, nonostante le premesse ha comunque delineato quella che è al momento la politica dell’azienda e del gruppo in materia. Allo stato attuale “riteniamo il Gnl l’unico carburante alternativo, sebbene Msc abbia anche un orientamento anche sui bio-lng, del quale la disponibilità sul mercato è però risibile”. Spostando lo sguardo più in là, ha aggiunto, “i tecnici ci dicono che il metanolo prodotto con energia rinovabile è il carburante del futuro perché consentirebbe di raggiungere il net zero, noi come gruppo abbiamo questo obiettivo fissato per il 2050, ma è difficile capire quali saranno i paesi produttori e se riusciranno a soddisfare la domanda”.
Tra gli armatori presenti al convegno, anche Lorenzo Matacena, vertice di Caronte & Tourist, ha ricordato di avere compiuto un passo in direzione del biometano (dopo quelli già percorsi verso il Gnl), perché può essere impiegato sugli stessi motori che utilizzano gas naturale liquefatto. A fornirlo alla compagnia, come già spiegato, sarà con un sistema truck-to-ship una società produttrice siciliana al prezzo di 1.900 euro al metro cubo. Restando nell’ambito della produzione di fuel alternativi made in Italy, da segnalare anche l’intervento di Dario Mazzarelli (Biobunker Med) che ha illustrato la proposta dell’azienda, basata sulla produzione di biobunker composto da olio combustibile italiano e componente biodiesel italiana. Al riguardo l’imprenditore ha spiegato di ritenere che per questo carburante non ci sarà “un grande problema di capacità produttiva: sarà piuttosto un problema di logistica”.
In questo scenario incerto, un ulteriore elemento rassicurante è stato introdotto nel dibattito da Mauro Iguera (Cambiaso Risso), secondo il quale “c’è serenità” da parte del comparto assicurativo rispetto alla transizione energetica del settore marittimo. “Per un grande gruppo quale può essere Axa, Generali o Allianz, il navale pesa solo per il 3%” ha evidenziato, sottolineando come i carburanti alternativi non creino incrementi di rischio (anche se tra questi si guarda con più attenzione alla ammoniaca), ma di contro migliorino la reputazione delle aziende in ambito Esg, mostrandole come “al passo coi tempi”. Il rischio più impattante da incidenti che si possono verificare in questo ambito, ha aggiunto Iguera, è quello “mediatico, perché i sinistri possono avere ripercussioni sull’andamento dei titoli” per le aziende quotate in Borsa. Serenità è pervenuta poi anche da Pierre Mattei (Corsica Ferries), che si è detto fiducioso rispetto al fatto che “fornitori e operatori si adatteranno, come fatto in passato, trovando come interessante il mercato del trasporto marittimo”.
Sul tema dei carburanti alternativi da citare anche Francesco Russo (K-Ships), che ha invitato a non assumere posizioni rigide: “Non creiamo mode o scuole di pensiero: chiaramente trader e produttori di motori spingono sull’una o sull’altra, ma le nuove tecnologie devono essere studiate e valutate in quanto confacenti a un specifica tipologia di nave e al suo profilo operativo”. Ad esempio, “la nave che trasporta prodotti liquidi è più predisposta, anche per competenze dell’equipaggio, a gestire metanolo, mentre una unità passeggeri potrebbe prediligere il Gnl”. Il punto quindi sarà “in quel tale porto che tipo di carburante trovo: le valutazioni tecniche cioè vanno a incastrarsi con quelle sulla disponibilità”.
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