“War risk, gigantismo navale e nuove tecnologie i rischi emergenti che preoccupano lo shipping”
Il mercato assicurativo supporta il business del trasporto marittimo ma talvolta stenta a tenere il passo secondo quanto emerso all’evento convegnistico “Mare, Finanza e Assicurazioni”
Genova – Il rapporto fra armamento e mercato assicurativo è cordiale e costruttivo, ma temi di confronto e anche qualche difformità di vedute non mancano. Lo ha dimostrato il panel dedicato ai nuovi rischi emergenti andato in scena al Business Meeting “Mare, finanza e assicurazioni” organizzato a Genova da SHIPPING ITALY in collaborazione con SUPER YACHT 24.
Del resto lo scenario globale dello shipping non lesina quanto a criticità assicurative ed è sul rischio guerra che Rocco Bozzelli, Risk & Insurance executive Head of global insurance di Msc Cruises, dopo aver stuzzicato “un mercato assicurativo dialogante ma che deve dimostrare di poter star dietro alle sfide poste dallo sviluppo dell’industria marittima (sostenibilità, cyber risk, transizione energetica, etc.)”, ha affondato: “Quando la guerra era men d’un’ipotesi, tutti offrivano polizze, oggi è diventato un rischio difficile da sottoscrivere”.
Ovviamente non s’è ritratto Luca Florenzano, Chief Insurance Officer – Siat: “È un falso che non ci sia capacità sul rischio guerra. Qualcuno sarà anche ‘scappato’, ma in generale le compagnie sono rimaste vicine ai clienti, magari, certo, chiedendo notifiche puntuali e ritoccando i premi. Però è anche vero che i rischi sono aumentati, anche col periplo dell’Africa, con viaggi più lunghi ed esposti a zone in cui la pirateria s’è attrezzata anche ad attaccare le navi in alto mare”.
Di opposto avviso, rispetto a Bozzelli, l’altro esponente armatoriale, Lorenzo d’Amico, Insurance director del gruppo d’Amico Società di Navigazione, che, definito “grande” il sostegno prestato all’armamento dalle assicurazioni “in un momento in cui la geopolitica fa acqua, i paese sono sempre più ‘distanti’ e una compliance a 360 gradi diventa sempre più complessa”, ha poi messo il focus sulla “complessità cui stiamo via via sottoponendo le professioni di bordo”.
Il tema geopolitico e la necessità di adattarvisi è subito tornato nell’intervento di Stefano Parodi, Marine underwriting manager della compagnia assicurativa Hdi Global, che ha evidenziato “l’esigenza, data l’impossibilità di intervenire quotidianamente sui contratti, di scrivere clausole chiare e polizze ricettive, in grado di garantire i rischi anche a fronte di mutamenti velocissimi di scenario, per quanto si aprano continuamente zone grigie: la crisi degli Houthi ha ad esempio posto il tema del rischio di transito, appannaggio normalmente delle polizze corpo&macchine, anche per la merce”. Per gli assicuratori merci diventa perciò determinante riuscire a proporre coperture che siano continuamente aggiornate all’evoluzione del mercato e del contetso geopolitico internazionale.
Deciso sul fattore umano è tornato anche Nicolò Iguera, Claims executive di Cambiaso Risso Marine: “La principale causa di avaria è la negligenza dell’equipaggio, per stress, condizioni estreme, etc. Alla luce del fatto che nel 2026, quando la flotta sarà ancora ‘standard’ si prevede un gap di personale marittimo del 30%, è decisivo porsi il problema delle sfide che porrà anche in termini di rischio un mercato pieno di navi a nuova tecnologia, per gestire le quali i sistemi di formazione del personale paiono molto indietro”.
Del resto al “rischio demografico”, nell’accezione della carenza di personale adeguatamente formato, aveva già fatto cenno Luca Mangini, socio fondatore di A.I.Per.T. – Associazione Italiana Periti Trasporto, in una disamina delle maggiori criticità che il settore sta affrontando. Al primo posto quella dei cambiamenti climatici, “che incidono in modo oggi imprevedibile su dinamiche produttive e di costo: basti pensare all’esplosione dei prezzi di commodities come caffè e cacao legate a frequenza di piogge o parassiti finora inediti”. Altro tema delicato è quello relativo allo sdoganamento in mare o nell’hinterland delle merci che velocizza il transito e l’uscita del carico in porto ma al tempo stesso rende difficile il mestiere dei periti che devono poter controllare la spedizione e collocarne eventuali criticità in un momento preciso del viaggio.
Stimolante e appassionata anche la presentazione di Alessio Gnecco, presidente di Aipam – Associazione Ingegneri Periti Avarie Marittime, perché imperniata su una matrice Rumsfeld in cui erano inserite le criticità sulla base della conoscenza delle medesime e dei loro impatti, “dall’incertezza sui risvolti legali e di responsabilità della navigazione autonoma e in generale dei danni eventualmente cagionati dall’intelligenza artificiale”, agli interrogativi sulle batterie al litio, “sempre più diffuse ma relativamente alle quali non sappiamo come intervenire ad esempio in caso di incendio. E se la Dali è stata un cigno nero, con cause e impatti sconosciuti, fino a che punto potremo arroccarci dietro alla mancata conoscenza delle eventuali conseguenze di determinate scelte? Come gestire i risvolti legali?”.
Domande generali, ma la cui risposta è forse da rinvenire nelle parole di Fabrizio Pescaglia, Claims manager di Lockton – P.L. Ferrari, che proprio a proposito della Dali, ha ricordato come l’incidente di Baltimora sia “il primo per cui le richieste, pari a 4 miliardi di dollari, superino il limite di copertura garantito dal sistema dei P&I Clubs (3,1 miliardi): il resto dovranno coprirlo mutualmente gli armatori iscritti ai Clubs. Le statistiche dicono che di sinistri marittimi ce ne sono meno rispetto al passato ma il valore di ciascuno di essi oggi è enormemente più alto”.
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