Perché l’imminente riforma doganale non funzionerà secondo Paolo Massari (Ctrade)
Oltre ad alcuni nuovi rischi segnalati, la critica è che sia stato riscritto il TULD senza il reale obiettivo di semplificare la vita delle aziende bensì per adeguarsi ai dettami unionali
Contributo a cura di Paolo Massari *
* Customs & international trade advisor – Partner Ctrade
Autentico genio eccentrico della filosofia moderna, Bertrand Russell scriveva che “Il fatto che un’opinione sia ampiamente condivisa, non è affatto una prova che non sia completamente assurda…”.
Flashback: primavera 2002, da qualche mese le controversie doganali sono devolute al giudice tributario, il Presidente della Commissione Tributaria Regionale (Ctr) della Liguria chiama l’estensore di queste righe e chiede se sia possibile fornire ai giudici un testo dove studiare la materia doganale.
Domanda giustificabile, da chi è abituato a fondare i propri convincimenti su testi di legge, ma senza risposta, in materia doganale.
E infatti, per molti anni, anche i supremi consessi di giurisdizione tributaria hanno sentenziato innumerevoli sciocchezze in materia di preferenzialità, valore, classificazione, origine non preferenziale.
Perché il sapere doganale non si studia (solo) sui libri, il sapere doganale è un sapere circolare, che nasce dall’osservazione della realtà e da questa trae linfa per modificarla in meglio: se una delle due premesse manca, il sillogismo non funziona.
Leggendo il testo della novella legislativa, l’impressione che noi abbiamo avuto è esattamente questa: non funziona.
Un ponte verso l’Europa, ha detto il Direttore Alesse, che sul Corriere della Sera, ribadisce l’importanza di una di semplificazione della normativa vigente per tutelare le libertà costituzionali e garantire ai cittadini un diritto soggettivo alla semplicità nell’azione amministrativa.
È proprio sicuro, sig. Direttore, che quella intrapresa sia la via giusta, crede davvero che questa riforma giovi alle aziende?
Noi abbiamo l’impressione opposta, che giovi all’amministrazione finanziaria, che si sia tornati a innalzare il vessillo dell’azione penale come arma di inutile terrore, che si siano conservati istituti assolutamente inutili, come il servizio di riscontro e la visita approdi da parte dei militari della Guardia di Finanza, che, in sintesi, si sia riscritto il TULD senza il reale obiettivo di semplificare la vita delle aziende, bensì per adeguarsi ai dettami unionali.
La Corte di Giustizia UE e la Corte di Cassazione affermano che il rappresentante indiretto non ha responsabilità ai fini Iva, in assenza di una norma che individui tale responsabilità e la nuova normativa cosa fa? Inserisce l’Iva tra i diritti di confine, ovvero anzi che agire sul soggetto (il rappresentante indiretto) modifica l’oggetto (il tributo).
E non importa se le Sezioni Unite della Corte di Cassazione abbiano sollevato la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 70, D.P.R. n. 633/72, che applica la sanzione della confisca doganale, in quanto, non essendo l’Iva un diritto di confine, non può prevedersi in importazione una pena maggiormente afflittiva di quella applicabile alle transazioni interne; e non importa se la Corte di Giustizia UE dice, fina dal lontano 1988, che l’Iva non è un diritto di confine.
L’art. 303, TULD è una ignominiosa violazione al principio di proporzionalità dettato dal Codice unionale e noi cosa inventiamo? Introduciamo le figure di omessa dichiarazione e di dichiarazione infedele e le qualifichiamo come reato di contrabbando, punibile con la sanzione amministrativa solo se non aggravato o se uno dei diritti dovuti (Iva compresa, grazie al colpo di genio di cui si è appena detto) è inferiore a € 10.000,00.
Diversamente, notizia di reato e solo se l’autorità giudiziaria non ravviserà l’intento doloso, applicazione di una sanzione amministrativa dall’80% al 150% dei diritti di confine dovuti; rallegriamoci, la sanzione è notevolmente inferiore a quella del precedente art. 303, TULD! Come dite? L’azione penale, il costo dell’avvocato, il possibile danno di immagine, i tempi della giustizia italiana? Suvvia, che volete che sia!
Uno sguardo al futuro o una preoccupante cecità?
Importare beni, destinati ad altro Paese UE, senza versare l’Iva, domani, sarà ben più complesso, poiché l’autorità doganale può chiedere la costituzione di una garanzia, che verrà incamerata, tra l’altro, se entro 45 giorni l parte non dimostrerà documentalmente l’avvenuto trasferimento dei beni.
Qualcuno obietterà: la novella dice che la dogana “può” chiedere, non “deve” chiedere; e qui si manifesta, palese, il problema della conoscenza operativa: nell’ottica degli uffici, in assenza di disposizioni chiare che limitano esemplificativamente i casi, al fine di evitare contestazioni disciplinari, quel “può” si legge “deve”.
E qui ci fermiamo.
Dunque? Una occasione sprecata.
Direttore Alesse, ben altra strada è da seguire per raggiungere l’Europa; un’amministrazione capace, competente, aggiornata, moderna, nella quale entri l’azienda, così come noi portiamo la dogana in azienda; e non servono tanti concorsi e giovani anche motivati, se nessuno è in grado di formarli correttamente.
E saper ascoltare, agire con autorevolezza, senza nascondersi dietro l’autorità.
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER QUOTIDIANA GRATUITA DI SHIPPING ITALY
SHIPPING ITALY E’ ANCHE SU WHATSAPP: BASTA CLICCARE QUI PER ISCRIVERSI AL CANALE ED ESSERE SEMPRE AGGIORNATI