“Una riforma dei porti verso il modello Spa aiuterebbe un recupero di efficienza e redditività”
L’analista finanziario interviene a favore della discussa ipotesi di privatizzazione delle port authority da attuarsi sulla falsa riga del settore aeroportuale o guardando agli scali greci: “L’interesse pubblico sarebbe meglio tutelato”
Mentre le recenti indiscrezioni su una possibile riforma portuale del Governo orientata a una possibile sdemanializzazione e patrimonializzazione di una o più port authority Spa a controllo pubblico hanno suscitato sdegno e contrarietà sia fra i sindacati (Uiltrasporti) che presso l’opposizione politica (la deputata Pd Valentina Ghio ha preannunciato un’interrogazione), c’è chi per un ritocco sul modello aeroporti o modello greco spezza più di una lancia.
Contributo a cura di Fabrizio Vettosi *
* Managing director Vsl Club e Responsabile shipfinance group dell’European Community Shipowners Association (Ecsa)
Questa mattina transitando attraverso la rassegna stampa ho avuto un momento di seria preoccupazione sul mio stato di salute visivo quando ho letto quella che appare essere più di un’indiscrezione rappresentata dalla possibilità che il nostro Esecutivo valuti l’ipotesi di una privatizzazione selettiva e parziale del nostro sistema portuale sul modello di quanto avvenuto per gli aeroporti.
Come molti sanno, ho sempre contestato l’ipertrofia riformista che porta a revisionare con periodicità frequente gli assetti normativi portuali, di per se già opportunamente congestionati da leggi primarie, decreti e circolari Ministeriali, Circolari dell’Art, regolamenti interni delle singole AdSP. Ho sempre, invece, sostenuto che, se dobbiamo riformare per la terza volta (la seconda in otto anni) la legge 84/94 tanto vale cambiare il modello. Ai più, solo per memoria, ricordo che in questo momento al Dl 169/2016 che ha novellato la l. 84/94, si aggiungono il Dm 1462/2010, la Circolare n. 57 dell’Art, due Regolamenti Comunitari (352 e 1084/2017) e, per non farci mancare nulla, il Dm 202/2022 che, grazie all’alacre lavoro dell’amico Stefano Zunarelli, avrebbe dovuto compendiare l’intero impianto regolamentare e che, invece, nonostante la sua adozione formale, viene praticamente disapplicato lasciando spazio al far west portuale che, ovviamente, genera un effetto repulsivo da parte di operatori e investitori nazionali e internazionali. Se poi vogliamo consolarci aggiungiamoci anche la madre di tutte le norme in materia portuale: il Codice della Navigazione con i suoi ottantadue anni di vita.
Come accennavo in apertura, questa mattina mi sono sentito un po’ come Aldo Biscardi al Processo del lunedì il quale, apparendo come l’unico matto in una stanza, invocava molti anni fa la moviola in campo, fino a quando poi tale sua ambizione si è materializzata con il Var. Bene, sapete tutti quante volte, sia in sedi Istituzionali che private, ho sollecitato attori politici e stakeholders a valutare la possibilità di adottare un modello diverso, non solo nella forma ma anche nella sostanza.
Come ripetuto in altre occasioni, ciò potrebbe avvenire attraverso un processo graduale e mirato teso a esaltare la flessibilità della struttura privatistica e a eliminarne le potenziali storture e deficit. D’altro canto ricordiamoci di quando l’Italia aveva un numero pressoché infinto di inutili aeroporti e confrontiamolo con il sistema aeroportuale moderno in cui il numero degli stessi si è sostanzialmente ridotto, e non vi è un solo aeroporto che non abbia performance operative ed economico-finanziarie di alto livello.
A suo tempo si scelse la strada della privatizzazione parziale e progressiva mediante anche processi di quotazione. In pratica, senza mutare la norma di base che regolava la gestione del demanio, gli aeroporti vennero trasformati in Spa e quotati in borsa attraverso Opvs (Offerte di vendita e sottoscrizione) di quote di minoranza destinate a investitori istituzionali stabili e non speculativi, oltre che in parte anche al dettaglio rappresentato da privati risparmiatori.
Quale è stata la conseguenza di ciò? Recupero di efficienza e redditività, attrazione di talenti manageriali, flessibilità finanziaria nelle decisioni di investimento e crescita, e anche, soprattutto, la canalizzazione del risparmio e della previdenza degli italiani, accumulatasi nei Fondi Previdenza/Pensioni, verso le infrastrutture italiane evitando una vera aggressione di tali infrastrutture strategiche da parte di soggetti finanziari stranieri. Non ultimo, aggiungiamoci che i privati cittadini hanno potuto anche direttamente beneficiare della buona redditività di questi asset sottoscrivendone le azioni.
Ingenuamente mi sono sempre domandato perché mai tale modello non potesse funzionare per un porto che, oggi a maggior ragione, ha una valenza logistica e funzionale molto più sistemica e rilevante di un aeroporto, come dimostrano i casi di Trieste e Ravenna; tant’è che ho provato a coniare il termine AdSL (Autorità di Sistema Logistico anziché Portuale). Ovviamente la risposta è banale: gli interessi economici ed elettorali di un porto sono ben superiori a quelli di un aeroporto.
Eppure questa mia convinzione era suffragata da un’esperienza osservata direttamente a inizio anni duemila, ovvero quando il governo greco decise di attuare un simile modello scegliendo la via della privatizzazione parziale e mirata dei due porti nazionali più rilevanti: Pireo e Salonicco. Al di là delle fandonie che raccontano alcuni politici italiani che collegano la privatizzazione al 2015 quando Cosco lanciò l’Opa su Olp (Port Authority of Piraeus), tale fase iniziò appunto nel 2002 con il processo di quotazione di una minoranza (30%) alla Borsa di Atene; e contestualmente si agì in similitudine con ThPA (Port Authority of Thessaloníki). Per anni queste sono state le aziende più performanti della Borsa Greca e, appunto, nel 2015 Cosco decise di lanciare per il Pireo un Opa ad un prezzo irrifiutabile pari ad oltre 16 volte il Margine Operativo Lordo.
Quindi, sgombriamo il campo da equivoci polemici dei miei detrattori: fare il Presidente Esecutivo di una SpA non è solo un fatto formale, lo dice il codice civile, infatti, pur non mutando l’assetto della gestione demaniale (la l. 84/94 e il Codice della Navigazione), il ruolo comporta responsabilità (si pensi ai soli obblighi societari ordinari o connessi alla crisi d’impresa) e flessibilità finanziaria non tipici di un Presidente di un Ente Pubblico Non Economico. Su tale aspetto si immagini la possibilità di un Presidente e di un CdA di ricorrere al mercato finanziario liberamente per finanziare un progetto di investimento o acquisizione.
Colgo questa preziosa opportunità per chiarire definitivamente che la mia idea non è quella di un’indiscriminata svendita a sanguinarie locuste; ma giusto l’opposto, ovvero offrire un’opportunità di buon investimento alle nostre future pensioni e, quindi, anche alle future generazioni, preservando le nostre infrastrutture strategiche. I miei detrattori spesso sostengono che questa mia idea non vada a tutelare l’interesse pubblico. Ed invece, come ben spiegato, questa va giusto nella direzione opposta; non solo, è proprio l’attuale e incerto modello landlord che, invece, lascia spazio, attraverso una non omogenea, e a volte distorta (ne abbiamo recenti esempi), applicazione delle procedure concessorie e autorizzative, che lascia spazio all’arbitrarietà più spinta, sino a generare, di fatto, un dominio del privato sul pubblico e, quindi, uno svilimento del compendio demaniale.
Tutto ciò è ancor più rilevante in un contesto in cui i soggetti privati assumono dimensioni rilevantissime e globali fino al punto da prevalere sul soggetto pubblico ponendolo in una situazione di sudditanza e timore reverenziale. Già 10 anni fa, in una sua ricerca, Patrick Verhoeven metteva in luce le profonde differenze tra il modello Anseatico e quello Latino evidenziando di fatto i rischi del nostro sistema pseudo-dirigistico, che poi si è tradotto spesso in un modello pubblicistico incapace sia in chiave regolatoria che di efficientamento dell’utilizzo dell’asset pubblico.
Mi auguro davvero che l’indiscrezione letta questa mattina sia un serio momento di riflessione da parte di chi ha la responsabilità di valorizzare e difendere le nostre infrastrutture portuali.
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