Modello La Spezia (container terminal) e austerity: Fontana interviene nel dibattito portuale
Il numero uno degli agenti spezzini: “Traffici stagnanti da anni, non servono nuove banchine”. Vettosi risponde a Santi e Robba e rilancia: “Una privatizzazione parziale delle Adsp valorizzerebbe l’asset pubblico”
Introdotto dai (vaghi) rumor sulla presunta volontà del Governo di introdurre una non meglio precisata forma di privatizzazione della portualità nella prossima legge di bilancio, il dibattito sul futuro assetto amministrativo delle banchine italiane continua a interessare i protagonisti dell’economia marittima.
“L’unico porto in cui un privato si è costruito il suo terminal, partendo dalle banchine sino ad arrivare alle gru passando per piazzali, uffici, sistema informatico, è stato La Spezia. E quando si parla di privatizzazione degli scali marittimi italiani forse non si potrebbe e non si dovrebbe prescindere da questa esperienza di successo che è e rimane un unicum” ha osservati Andrea Fontana in rappresentanza della Community portuale della Spezia e dell’Associazione spezzina degli agenti marittimi che presiede.
“L’Italia è davvero un paese strano nel quale anche a fronte di esperienze di successo, prevale la volontà di reinventare tutto e di riscrivere norme e parametri. Nel caso del La Spezia Container Terminal, considerato anche per i suoi incontestabili successi, una cellula anomala della portualità nazionale la formula è stata tanto semplice da apparire oggi banale. Un imprenditore privato ha messo a disposizione le risorse per finanziare la costruzione di un terminal container che non esisteva, lo ha allestito e fatto funzionare con standard di efficienza e produttività per anni irraggiungibili altrove. Per parte sua, lo Stato attraverso le sue emanazioni locali, che non si chiamavano ancora Autorità di Sistema Portuale, ha tarato i tempi e i valori del canone di concessione in modo che l’imprenditore privato fosse in grado di far quadrare un piano industriale, rientrare del suo investimento e realizzare profitti”.
Al di là di privatizzazione dei porti e regia unica, per Fontana “la necessità primaria sarebbe quella di garantire una pianificazione nazionale delle risorse allocate alla portualità mentre oggi ogni Autorità di Sistema Portuale riceve risorse pubbliche e realizza banchine e terminal che probabilmente non serviranno a nessuno e non potranno essere gestiti economicamente. È il caso di affermare con chiarezza che ormai da anni il traffico globale che gravita sui porti italiani ha un andamento stazionario e che un aumento record nell’offerta di servizi di movimentazione delle merci, specie container, come è quello in atto, otterrà solo un risultato: quello di generare un altro gigantesco buco nei conti pubblici”.
Da Fabrizio Vettosi, intanto, riceviamo e pubblichiamo la controreplica ai rilievi sollevati da Alessandro Santi e Luigi Robba a un suo precedente intervento a favore del modello greco:
Si dice che occorre ancora una volta “riformare la norma”:
Ma non bastano due volte in sei anni senza avere alcun successo? a mio avviso quando si rivede una norma concernente le infrastrutture in sei anni vuol dire o che la norma non funziona, oppure chi la interpreta e la attua non ne ha le giuste capacità. Aggiungo: ma perché continuiamo a parlare di norma? purtroppo il mondo portuale vive in una foresta di “molte norma” che si sovrappongono, per cui parlerei di “caos regolamentare”. Sono anni che sento parlare in tutte le conferenze sempre delle stesse cose, cioè del bisogno di mettere ordine e del famoso “regolamento sulle concessioni”, ma guarda caso si continua ad operare su basi semi-soggettive in ogni porto tra la ben evidenziata congerie di leggi, decreti, regolamenti e circolari.
Si parla di potenziale confusione tra Ente Centrale Holding ed i soggetti Privati che gestiscono attualmente i terminal con potenziali conflitti di interesse:
Mi sembra che non si viva la realtà attuale e che non bastino le continue diatribe (e anche qualche scandalo) che viviamo nei porti Italiani a far comprendere che è proprio la norma attuale che genera conflitti (a maggior ragione se invoca un ruolo attivo degli stakeholders nella governance). E dispiace sentirlo da chi viene direttamente penalizzato nella propria operatività (i maggiori costi alla fine le pagano le merci e gli armatori). Ma l’attuale modello non genera forse conflitti di interesse? ci sarebbe da chiedersi piuttosto se, in quanto frutto di una governance che riflette prettamente gli indirizzi politici, non finisca per determinare le medesime storture che vediamo in altri ambiti. Anzi in questo caso la scelta del soggetto privato avverrebbe a monte con un processo oggettivo ed asettico teso a massimizzare il valore e, soprattutto, a farlo pagare. Oggi assistiamo al dominio di fatto dei privati in ambito portuale con, spesso, una sottostima della redditività degli asset demaniali e con una soggezione ed autoreferenzialità del soggetto pubblico verso il privato stesso. Tra l’altro, io non ho mai parlato di cambio di modello di struttura operativa, che rimarrebbe quello landlord, ma di mutamento della struttura giuridica e dell’assetto proprietario del “gestore del porto”. Dispiace vedere anche la poca attenzione al mio assunto; io ho fatto cenno ad una “parziale privatizzazione” con un “classamento” di “quote di minoranza” attraverso un “processo di quotazione”; quindi la governance rimarrebbe in mani pubbliche, attraverso un soggetto centrale, finalmente sottraendolo alle beghe ed interesse elettorali locali. Non vedo davvero dove sia il conflitto di interesse, visto che il vero conflitto lo viviamo oggi, e ripeto con ampie dimostrazioni quotidiane.
Si dice che i porti non sono come gli aeroporti:
Si tratta a mio avviso di una “non giustificazione” dando per scontato un dogma che non esiste. Gli aeroporti sono un’infrastruttura fisica e immateriale dove viene svolta una funzione logistica a vantaggio di tutto il territorio. Non lo affermo io, ma lo fanno tutti (inclusi gli agenti marittimi ed i terminalisti) quando devono giustificare il ruolo strategico a vantaggio dell’ecosistema territoriale dei crocieristi e anche delle merci, visto, tra l’altro, che in alcuni aeroporti Italiani la componente “cargo”, soprattutto in termini di unità paganti, non è banale. Quindi, mi spiegate dov’è la differenza? d’altro canto io ho espressamente parlato della necessità di trasformare le AdSP in AdSL (Autorità di Sistema Logistico) proprio per la funzione sistemica svolta da queste ultime (e ho portato ad esempio i casi di Trieste e Ravenna).
Si parla di fallimento delle Privatizzazioni, “prendi i soldi e scappa”, di “svendita”:
Evidentemente si è posta poca attenzione al mio scritto. Provo a replicare. In molti casi in Italia le privatizzazioni parziali hanno dato risultati straordinari; vogliamo parlare di una delle prime banche d’Europa (Intesa Sanpaolo)? vogliamo parla dell’Eni? vogliamo parlare, appunto, degli aeroporti? e potrei andare avanti con molti casi. Ma, soprattutto, le privatizzazioni, quando fatte bene, hanno definito un metodo oggettivo e di mercato per prezzare e, soprattutto, migliorare l’utilizzo dell’asset pubblico. Nel caso di specie, lo ripeto fino alla noia, la mia idea non è quello della privatizzazione integrale e, soprattutto, non ho mai parlato di “svendita”, anzi al contrario, parlo della miglior valorizzazione, e nemmeno del “prendi i soldi e scappa”, visto che si parla di “vendita di una minoranza attraverso un processo di quotazione in Ops classato su investitori istituzionali, stabili, semmai italiani quali Fondi Previdenza, Fondazioni, Banche e Assicurazioni, oltre che con una quota offerta anche ai risparmiatori”. Chiedo ad Alessandro: lui è più contento nel vedere il Fondo di Previdenza di medici, avvocati, ingegneri, etc. (incluso forse anche la sua pensione) investire in quote di fondi di Private Equity stranieri che vengono in Italia a comprare terminalisti italiani per poi rivenderle dopo qualche anno, lucrando enormemente e senza lasciare alcun valore all’interno dell’economia nazionale? sembra giusto questo? nella mia idea ci sarebbe proprio l’opposto.
Art. 11 Ter:
Ne ho parlato più volte con Luigi di questo tema e, soprattutto, ricordo quando in sede di riforma ebbi un lungo colloquio con l’amico Gigi Merlo che doveva essere designato dall’allora governo a tale funzione di coordinamento. A mio avviso sarebbe uno straordinario strumento, penso di averlo affermato molte volte, ma se non si dà un vero senso tecnico a questa funzione, sradicandola dall’influenza politica e dandole contenuti sostanziali, di autonomia, indipendenza e adeguate competenze tecniche, si rischia che diventi la tea room delle AdSP dove andare sentire la predica del Ministro di turno, oppure peggio ancora il rifugio peccatorum di qualche elefante politico
Il mio auspicio sarebbe davvero quello di parlarne con maggiore oggettività in un ambito più ampio senza apparire una specie di “pecora nera” della portualità italiana. Ciò che rattrista è la volontà della maggior parte degli attori di voler rimanere nella “foresta pietrificata” fatta di autoreferenzialità che genera alla fine piattezza e rifiuto del cambiamento in un mondo (la logistica) che invece cambia ciclopicamente.
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