Contenzioso milionario intorno al Roma Terminal Container di Civitavecchia
Il Tar rimette al Tribunale ordinario la lite fra terminalista e Adsp sui presunti reciproci inadempimenti degli obblighi concessori. Annullato intanto un primo licenziamento di un dirigente, “intimato in frode alla legge”
Chiusasi un anno e mezzo fa la cosiddetta ‘guerra delle banane’, una nuova sentenza del Tar Lazio svela l’esistenza di un altro importante contenzioso fra il concessionario Roma Container Terminal del gruppo Msc e l’Autorità di sistema portuale di Civitavecchia concedente.
La sentenza non risolve la lite, perché accogliendo un’eccezione dell’ente pubblico rimette il giudizio al Tribunale ordinario. Ma offre uno spaccato di un rapporto fra la port authority laziale e uno dei suoi principali concessionari che è ai minimi termini da almeno sei anni, risalendo il ricorso al 2018 e trattando il cuore stesso della relazione concessoria avviata nel 2006.
Rtc, infatti, imputa all’Adsp di non aver mai finora adempiuto all’impegno “ad estendere fino a 700 ml la lunghezza del fronte banchina del Terminal Container; a procedere con l’approfondimento del pescaggio della banchina n. 25 (c.d. dragaggio) fino 18 metri; a fornire al concessionario i mezzi meccanici (gru) necessari per lo svolgimento delle operazioni portuali all’interno del Terminal Container (cfr. art. 3 dell’atto aggiuntivo)” e di non aver “provveduto a realizzare i collegamenti infrastrutturali necessari per l’ampliamento del traffico commerciale da e per il porto di Civitavecchia”.
Adsp, rivendicata la vittoria nel succitato caso Cfft (Civitavecchia Fruit Forest Terminal), ha a sua volta respinto gli addebiti, lamentando il mancato pagamento di oltre 3,7 milioni di euro delle gru messe a disposizione di Rtc (che in primo grado ha ottenuto l’annullamento della relativa ingiunzione di pagamento: pende giudizio in Corte d’Appello) e che Rtc “si sarebbe impegnata allo sviluppo del terminal container del Porto di Civitavecchia ed in particolare a raggiungere una movimentazione di container pari a circa 200.000 Teu ma che non avrebbe mai adempiuto a detto obbligo, mentre l’Autorità avrebbe realizzato il terminal che occupa dotandolo di attrezzaggio ed in particolare di due gru di grandi dimensioni”.
Dagli atti non risulta tuttavia che Adsp abbia mai avviato la revoca della concessione che tali presunte inadempienze le avrebbero consentito, ma l’ente ha eccepito che “non avrebbe mai assunto l’obbligo di realizzare il collegamento ferroviario ed il dragaggio e, ad ogni modo, le asserite e non dimostrate carenze strutturali non potrebbero aver pregiudicato il raggiungimento dell’obiettivo della movimentazione di container per circa 200.000 Teu che rappresentava, sin dal momento della sottoscrizione della concessione, un target a breve raggiungibile”. Secondo Adsp, inoltre, Rtc “si era obbligata a sostenere gli oneri del mutuo Cdp per acquisizione gru e a stipulare un contratto di locazione dei mezzi meccanici, ma non avrebbe adempiuto a nessuna di tali obbligazioni”.
Come detto il Tar ha dichiarato inammissibile il ricorso “per difetto di giurisdizione del giudice adito” e a deciderne le sorti sarà ora (se Rtc vi ricorrerà) il Tribunale ordinario di Civitavecchia
La cui sezione lavoristica, nel frattempo, ha annullato il primo dei recenti licenziamenti di alcuni dirigenti di Adsp arrivato a sentenza, con parole molto dure nei confronti dell’operato dei vertici. Il giudice ha infatti definito “non conforme a buona fede” il licenziamento dato che “il lavoratore è stato, invero, dapprima trasferito ad una posizione di lavoro creata ad hoc e sostanzialmente superflua, per poi essere licenziato proprio in ragione della superfluità della posizione di lavoro”. Da qui il “recesso radicalmente nullo, in quanto intimato in frode alla legge”.
Per il giudice “Il trasferimento del lavoratore ad altra posizione lavorativa creata in quel momento e poco dopo soppressa (…) non può che ritenersi preordinato a conseguire un risultato vietato dalla legge, ovvero ad individuare il dirigente destinatario del licenziamento non sulla base di criteri oggettivi e conformi a buona fede (titolare di un incarico divenuto superfluo, di una professionalità non più spendibile, etc.) bensì in modo arbitrario”.
In una nota a valle della sentenza del Tribunale del lavoro, il presidente di Adsp Musolino ne ha sottolienato più aspetti a suo dire degni d’attenzione: “Il primo è che la notizia era già in mano agli organi di stampa prima ancora che la sentenza fosse notificata all’ente e senza nemmeno chiedere un eventuale commento. Non vorrei che fosse iniziato il periodo degli esami ai presidenti senza possibilità di contraddittorio. Il secondo aspetto, più tecnico, impone di rilevare come il giudice, ribadendo la piena effettività della riorganizzazione posta in essere dall’Adsp, e degli atti collegati e conseguenti, che come noto non sono stati in alcun modo modificati o rettificati dal competente organo giursdizionale, abbia dichiarato nullo il licenziamento del dirigente Malcolm Morini perché “non conforme a buona fede”, basandosi essenzialmente sulla testimonianza in udienza resa dal Segretario Generale Paolo Risso, che va incredibilmente sottolineato come, nonostante egli fosse al tempo stesso il responsabile unico della procedura della riorganizzazione, del trasferimento del dirigente ad altra mansione di lavoro, sempre come emerge dal testo della sentenza, il dipendente fosse stato dallo stesso Risso posto alle sue dirette dipendenze senza avere ricevuto incarichi di sorta e quindi di aver portato al licenziamento per la “superfluità della posizione di lavoro” ricoperta dal dirigente dopo il suo trasferimento. In sintesi durante la testimonianza che avrebbe dovuto essere resa a tutela dell’Ente, il dott. Risso ha dichiarato che il suo operato sia stato essenzialmente errato e tale dichiarazione ha portato, direi quasi inevitabilmente, ad una sentenza sfavorevole. Preme ulteriormente sottolineare che di questa testimonianza e del contenuto della stessa io sia venuto a conoscenza solo oggi dal testo della sentenza. A tutela dell’ente e dell’operato complessivo dell’amministrazione ho già incaricato il legale che rappresentava l’Adsp di ricorrere in appello valutando la possibilità di richiedere la sospensione degli effetti della sentenza del giudice del lavoro di primo grado. Un punto più generale sento di dover portare alla luce a seguito di questo episodio ed è relativo ad una necessità ormai di chiarimento normativo che definisca una volta per tutte il rapporto tra Presidente e Segretario Generale, una situazione di oggettiva difficoltà che condivido con molti colleghi. Non è pensabile che tutte le responsabilità e tutte le relazioni esterne siano gestite ed imputate in capo ai presidenti mentre le figure dei segretari generali possano, in alcuni casi, svolgere un ruolo di destabilizzazione dietro le quinte che mette a repentaglio la piena operatività amministrativa dell’Ente portuale”.
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