Oltre 30 portacontainer già ferme davanti ai porti della costa est Usa
Mentre sale la tensione tra Ila e Usmx, anche i due candidati alla presidenza Trump e Harris si scherano con i portuali e contro le “compagnie straniere”
Sono 38 – quindi 10 in più rispetto a ieri – secondo Bloomberg le portacontainer in attesa davanti alla costa est e del Golfo degli Stati Uniti in conseguenza dello sciopero dei portuali iniziato il 1 ottobre. L’aggiornamento è fornito dalla agenzia di stampa sulla base di quanto osservato sulla piattaforma Seaexplorer di Kuehne Nagel: precisamente, ha contato tre navi nei pressi di Houston, due al largo di Mobile, in Alabama, 13 vicino a Savannah, 6 a Charleston, 8 a Norfolk e altre 6 nell’area di New York. Il conteggio tuttavia potrebbe essere approssimativo, per difetto: secondo l’analista Lars Jensen, che ha diffuso un suo report nelle stesse ora in cui l’ha fatto Bloomberg, un “calcolo rapido” mostrerebbe già 54 portacontainer nei pressi degli scali toccati dalle proteste. A queste si dovrebbero sommare ulteriori 10 unità in attesa a Freeport, Bahamas, che secondo Jensen probabilmente cercheranno di lasciare nel porto caraibico carichi destinati agli scali della costa est Usa in modo da poter proseguire il viaggio. Considerando non solo portacontainer ma anche navi ro-ro, Marine Traffic ha contato 68 unità il cui arrivo è atteso negli stessi porti statunitensi fino al 6 ottobre.
Secondo le stime di Sea-Intelligence, qualora la protesta dei portuali della International Longshoremen’s Association si dovesse protrarre, nel corso della prima settimana risulterebbe messo fuori mercato il 2,5% della capacità di trasporto container globale (ovvero 775.000 Teu), considerate sia le unità già ferme in rada sia quelle che dovrebbero approdare negli scali interessati nel corso dei primi sette giorni della protesta. Questa quota salirebbe nelle settimane successive rispettivamente al 3,9%, a, 5,3% e al 6,8% (nella eventuale quarta settimana di sciopero). Secondo i calcoli di Bloomberg Economics, inoltre, ogni giornata ‘persa’ si traduce in una perdita di circa 3 miliardi di dollari per l’economia Usa.
Nonostante il suo impatto potenzialmente enorme sulle economie globali (inclusa quella italiana), lo sciopero dei circa 45mila portuali della Ila non sembra vicino a una fine, anzi. Nella ultima giornata i toni del confronto tra le due parti si sono ulteriormente inaspriti, con il sindacato che ha replicato alle accuse lanciate contro le sue richieste dalla Usmx, evidenziando tra le altre cose come quest’ultima abbia “convenientemente omesso” di segnalare che molti dei lavoratori suoi iscritti operano in terminal multi-milionari per “soli 20 dollari all’ora”. Il sindacato ha poi segnalato che il suo presidente e capo negoziatore Harold J. Daggett avrebbe ricevuto minacce di morte e quindi criticato l’atteggiamento riservatogli da parte della stampa, inclusa la pubblicazione di alcune foto e dell’indirizzo della sua abitazione da parte del New York Post (il Wall Street Journal parallelamente ha evidenziato come, in virtù del suo ruolo in Ila e di quello in Port Newark, il suo reddito durante lo scorso anno è ammontato a 728.694 dollari). Di contro la Usmx ha poi nuovamente risposto rilevando che il suo obiettivo è ancora quello di giungere a un contratto collettivo che affronti tutte le criticità sollevate. “Raggiungere un accordo richiederà negoziazioni, e la nostra attenzione è tutta rivolta al come tornare al tavolo per trattare questi elementi centrali, molti dei quali sono tra loro intrecciati” ha scritto, sottolineando poi di non poter “accettare delle precondizioni per poter tornare alla trattativa” ma di “essere ancora impegnata a negoziare in buona fede”.
Nel frattempo, sulla vertenza incombono anche le elezioni Usa, in programma il prossimo 5 novembre e che sembrano giocare a favore dei portuali. A favore della Ila si sono infatti schierati non solo il presidente uscente Joe Biden, ma anche i due candidati Donald Trump e Kamala Harris. Il primo in particolare ha dichiarato che “i lavoratori americani dovrebbero essere in grado di negoziare salari migliori, soprattutto perché le compagnie di navigazione sono per lo più navi battenti bandiera straniera, compreso il più grande consorzio One”. La attuale vice di Biden ha da parte sua parlato dello sciopero come di una “questione di equità” e pure ha puntato il dito contro le “compagnie di navigazione di proprietà straniera” che “hanno realizzato utili record”, invocando per i lavoratori “una congrua parte di questi profitti”.
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